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Coloro-che-devono-essere-conservati.

Armand rimuginava, impaurito. Ma la cosa peggiore era che gli sottraeva il Maestro; e imparava a non aver paura solo quando il Maestro tornava ogni volta da lui.

«Coloro-che-devono-essere-conservati sono in pace, o in silenzio», diceva mentre si toglieva dalle spalle il manto di velluto rosso. «Più di questo, non potremo mai sapere.»

E Armand e il Maestro uscivano di nuovo a banchettare, a tendere agguati ai malfattori nelle calli di Venezia.

Per quanto tempo sarebbe continuato… Per una vita mortale? Per cento vite?

Non trascorsero sei mesi in quella beatitudine tenebrosa, prima della sera in cui il Maestro si accostò alla sua bara nella cantina appena sopra il livello dell’acqua, e disse:

«Alzati, Armand. Dobbiamo andar via. Loro sono venuti!»

«Loro? Chi, Maestro? Coloro-che-devono-essere-conservati?»

«No, tesoro mio. Gli altri. Vieni, dobbiamo affrettarci.»

«Ma come possono farci male? Perché dobbiamo andar via?»

Le facce bianche alle finestre, i pugni battuti sulle porte. I vetri infranti. Il Maestro che girava lo sguardo sui quadri. L’odore di fumo. L’odore della pece che bruciava. Salivano dalla cantina. Scendevano dall’alto.

«Fuggi. Non c’è tempo di salvare nulla.» Su per la scala, fino al tetto.

Nere figure incappucciate che lanciavano le torce attraverso le porte, il fuoco che ruggiva nelle stanze più in basso, faceva scoppiare le finestre, saliva ribollendo la scala. Tutti i quadri stavano bruciando.

«Sul tetto, Armand. Vieni!»

Esseri come noi in quelle vesti scure! Altri come noi. Il Maestro li disperse mentre saliva correndo le scale. Le ossa s’incrinavano quando sbattevano contro il soffitto e le pareti,

«Bestemmiatore, eretico!» urlavano le voci. Braccia afferravano Armand e lo trattenevano. E in cima alla scala il Maestro si voltò per chiamarlo:

«Armand! Fidati della tua forza. Vieni!»

Ma loro si buttarono addosso al Maestro. Lo circondarono. Per ognuno che veniva scagliato contro il muro ne apparivano altri tre, e cinquanta torce vennero protese verso gli abiti di velluto del Maestro, le lunghe maniche rosse, i capelli bianchi. Il fuoco salì rombando al soffitto, lo consumò, lo trasformò in una torcia vivente, mentre con le braccia in fiamme si difendeva incendiando gli assalitori che gettavano le torce accese ai suoi piedi, come legna da ardere.

Ma Armand venne trascinato via, fuori dalla casa, con gli apprendisti mortali che urlavano. E sull’acqua, lontano da Venezia, tra grida e gemiti, nel ventre di un vascello terrificante come la nave dei mercanti di schiavi, in una radura sotto il cielo notturno,

«Bestemmiatore, bestemmiatore!» Il falò che ardeva e, intorno, la catena delle figure incappucciate e il salmodiare che saliva al cielo. «Nel fuoco.»

«No, no!»

E mentre guardava impietrito, vide trascinare verso la pira gli apprendisti mortali, i suoi fratelli, i suoi unici fratelli che urlavano atterriti e venivano scagliati tra le fiamme.

«No… basta, sono innocenti! Per amor di Dio, fermatevi, sono innocenti…» Urlava, ma era venuto il suo momento. Lo sollevarono mentre si dibatteva, e fu scagliato in alto, in alto, per ricadere tra le vampe.

«Maestro, aiutatemi!» Poi tutte le parole lasciarono il posto a un grido disperato.

Urla e pazzia.

Ma era stato trascinato via, riportato alla vita. Giaceva al suolo e guardava il cielo. Sembrava che le fiamme lambissero le stelle; ma era lontano e non sentiva più neppure il calore. C’era l’odore dei suoi abiti bruciati, dei capelli bruciati. Il dolore al viso e alle mani era terribile e il sangue defluiva da lui, e a stento riusciva a muovere le labbra.

«… Distrutte tutte le opere vane del tuo Maestro, tutte le creazioni vane da lui fatte tra i mortali con i Poteri Tenebrosi, immagini di angeli e santi e di viventi? Vuoi essere distrutto anche tu? O vuoi servire Satana? Scegli. Hai assaggiato il fuoco e il fuoco ti aspetta, affamato. L’inferno ti aspetta. Vuoi scegliere?»

«… sì …»

«… servire Satana come deve essere servito.»

«Sì…»

«… Tutte le cose del mondo sono vanità, e non userai mai i tuoi Poteri Tenebrosi per le vanità mortali, né per dipingere, né per creare musica, per danzare o per recitare a svago dei mortali, ma soltanto e per sempre al servizio di Satana, userai i tuoi Poteri Tenebrosi per sedurre e terrorizzare e distruggere, solo per distruggere,.,»

«Sì…»

«… consacrato al tuo unico signore, Satana, Satana per l’eternità, sempre e per sempre… per servire il tuo vero signore nella tenebra e nella sofferenza, e sottomettere la tua mente e il tuo cuore…»

«Sì.»

«E non avrai segreti per i tuoi fratelli in Satana, rivelerai tutto ciò che sai del bestemmiatore e del suo onere…»

Silenzio.

«Rivelerai tutto ciò che sai dell’onere, figliolo! Suvvia, le fiamme attendono.»

«Non ti capisco…»

«Coloro-che-devono-essere-conservati. Parla.»

«Che cosa devo dire? Non so nulla, se non che non voglio soffrire. Ho tanta paura.»

«La verità, Figlio delle Tenebre. Dove sono? Chi sono Coloro-che-devono-essere-conservati?»

«Non lo so. Guarda nella mia mente, se hai questo potere. Non c’è nulla che posso dire.»

«Ma che cosa sono, che cosa, figlio? Lui non te l’ha mai detto? Che cosa sono Coloro-che-devono-essere-conservati?»

Dunque non lo comprendevano neppure loro. Non era altro che una frase, per loro come per lui. Quando sarai abbastanza forte perché nessuno possa strapparti la conoscenza contro la tua volontà. Il Maestro era stato saggio.

«Quale significato ha? Dove sono? Dobbiamo avere una risposta!»

«Lo giuro, non la conosco. Lo giuro sulla mia paura, l’unica cosa che ormai possiedo. Non lo so.»

Facce bianche che apparivano sopra di lui, una alla volta. Le bocche prive di sapore che gli davano baci aspri e dolci, le mani che l’accarezzavano, e dai loro polsi cadevano gocce scintillanti di sangue. Volevano che la verità uscisse nel sangue. Ma che importanza aveva? Il sangue era il sangue.

«Ora sei figlio del diavolo.»

«Sì.»

«Non piangere per il tuo maestro Marius. Marius è all’inferno come merita. Ora bevi il sangue risanatore, e levati e danza con i tuoi simili per la gloria di Satana! E l’immortalità sarà veramente tua!»

«Sì…» Il sangue gli bruciò la lingua quando alzò la testa, lo riempì con torturante lentezza. «Oh, vi prego.»

Tutto intorno a lui frasi latine e il rullo sordo dei tamburi. Erano soddisfatti. Sapevano che aveva detto la verità. Non l’avrebbero ucciso e l’estasi metteva in ombra ogni altra considerazione. La sofferenza al viso e alle mani s’era dissolta in quell’estasi…

«Alzati, o giovane, e unisciti ai Figli delle Tenebre.»

«Sì, sì.» Mani bianche protese verso le sue mani. Corni e liuti che risuonavano striduli, più forti del rullo dei tamburi, le arpe pizzicate in ritmi ipnotici mentre il cerchio cominciava a muoversi. Figure incappucciate di nero come mendicanti, tonache che ondeggiavano quando sollevavano le ginocchia e incurvavano le schiene.

E poi spezzavano la catena delle mani, piroettavano e saltavano e ricadevano, giravano in tondo, e un canto sussurrante saliva più forte e più forte delle loro labbra chiuse.

Il cerchio girava più svelto. Il mormorio era una grande vibrazione malinconica senza forma o continuità, tutto sembrava un linguaggio, un’eco dei pensieri. Diventava sempre più alto, come un gemito che non riusciva a spezzarsi in un grido.