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Anche Armand emetteva lo stesso suono… E poi, voltandosi, stordito dalle vertigini, balzò in alto nell’aria. Mani lo afferravano, labbra lo baciavano: volteggiava e veniva trascinato dagli altri, e alcuni gridavano in latino, altri rispondevano, altri ancora gridavano più forte, e risuonavano altre risposte.

Volava. Non era più vincolato alla terra e alla sofferenza terribile della morte del suo Maestro e della morte dei quadri e dei mortali che amava. Il vento l’avvolgeva, il calore gli investiva la faccia e gli occhi. Ma il canto era così bello che non aveva importanza se non conosceva le parole, se non sapeva pregare Satana, non sapeva credere né formulare una preghiera. Nessuno sapeva ciò che lui non sapeva, ed erano tutti in coro, e gridavano e si lamentavano e volteggiavano e spiccavano alti balzi e poi, ondeggiando, rovesciavano le teste mentre il fuoco li accecava e li lambiva e qualcuno gridava: «Sì, sì!»

E la musica ingigantì. Un ritmo barbarico esplose tutto intorno a lui da tamburi e tamburelli, e le voci divennero finalmente una melodia precipitosa. I vampiri alzarono le braccia, ulularono, volteggiarono intorno a lui in contorsioni folli, con le schiene inarcate, i piedi che battevano al suolo. Era il giubilo degli spiriti maligni nell’inferno. L’inaridiva e lo attirava. E quando le mani lo afferravano e lo facevano voltare, si torceva e danzava come gli altri, lasciava che la sofferenza lo pervadesse, piegava le membra e lanciava grida allarmate.

E prima dell’alba era in delirio, e aveva intorno una dozzina di fratelli che lo accarezzavano e lo acquietavano e lo conducevano giù giù per la scala aperta nelle viscere della terra.

A volte, nei mesi che seguirono, Armand sognò che il suo Maestro non fosse morto bruciato.

Sognò che il suo Maestro era caduto dal tetto come una cometa in fiamme ed era piombato nelle acque salvatrici del sottostante canale. E adesso era vivo, tra i monti dell’Italia settentrionale. Il suo Maestro lo chiamava. Il Maestro era nel sacrario di Coloro-che-devono-essere-conservati.

A volte, nel sogno, il Maestro era potente e radioso come sempre, e sembrava vestito di bellezza. Altre volte era annerito e incartapecorito, come una brace animata, con gli occhi immensi e gialli, e solo i suoi capelli bianchi erano lustri e abbondanti come un tempo. Era debole e si trascinava per terra e implorava Armand di aiutarlo. E dietro di lui una luce calda si irradiava dal sacrario di Coloro-che-devono-essere-conservati; c’era odore d’incenso e sembrava che vi fosse la promessa di un’antica magia, la promessa di una bellezza fredda ed esotica al di là del bene e del male.

Ma erano immagini vane. Il Maestro gli aveva detto che il fuoco e la luce del sole potevano distruggerli, e lui stesso aveva visto il Maestro avvolto dalle fiamme. Quei sogni… era come desiderare di ridiventare mortale.

E quando i suoi occhi si aprivano sulla luna e sulle stelle e sullo specchio immobile del mare davanti a lui, non conosceva né speranze né angosce né gioie. Tutte queste cose gli erano venute dal Maestro e il Maestro non c’era più.

«Io sono il figlio del diavolo.» Questa era poesia. Ogni volontà era estinta in lui, e non c’era altro che la confraternita tenebrosa; e adesso uccideva gli innocenti non meno dei colpevoli. E uccidere era soprattutto crudele.

A Roma, nella grande congrega delle catacombe s’inchinò a Santino, il capo che discese i gradini di pietra per accoglierlo a braccia aperte. Quel grande era nato dalla tenebra al tempo della Morte Nera, e parlò ad Armand della visione che gli era apparsa nell’anno 1349, quando la peste infuriava; la visione che anche noi dovevamo essere come la Morte Nera, un tormento senza spiegazioni, per indurre l’uomo a dubitare della misericordia e dell’intervento di Dio.

Nel sacrario ornato di teschi umani, Santino raccontò ad Armand la storia dei vampiri.

Siamo esistiti in tutte le epoche, come i lupi, flagello dei mortali. E nella congrega di Roma, ombra tenebrosa della Chiesa Romana, stava la nostra perfezione finale.

Armand conosceva già i rituali e le proibizioni comuni: ora doveva apprendere le grandi leggi:

Prima — ogni congrega doveva avere il suo capo, il solo che poteva ordinare di compiere l’Opera Tenebrosa su un mortale, e fare in modo che venissero debitamente rispettati i metodi e i riti.

Seconda — i Doni Tenebrosi non dovevano mai essere conferiti agli storpi, ai menomati, ai bambini e a coloro che, anche con i Poteri Tenebrosi, non potevano sopravvivere da soli. Inoltre, tutti gli umani che ricevevano i Doni Tenebrosi dovevano essere bellissimi, in modo che l’insulto a Dio fosse più grande nel compimento dell’Opera Tenebrosa.

Terza — un vampiro vecchio non doveva mai compiere questa magia, perché il sangue del novizio sarebbe diventato troppo forte. Infatti, i nostri doni crescono naturalmente con il tempo, e i vecchi hanno troppa forza da trasmettere. Le ferite e le ustioni… se queste ingiurie non annientano il Figlio di Satana, ne accresceranno i poteri quando sarà guarito. Tuttavia Satana protegge il gregge dalla potenza dei vecchi perché quasi tutti impazziscono.

A questo proposito, Santino fece notare ad Armand che a quel tempo non esisteva un vampiro che avesse più di trecento anni. Nessuno di coloro che erano vivi ricordava la prima congrega romana. Spesso il diavolo richiama a casa i suoi vampiri.

Ma Armand doveva anche sapere che l’effetto dell’Opera Tenebrosa è imprevedibile, anche quando viene trasmessa a un vampiro giovanissimo e con tutte le dovute precauzioni. Per ragioni a tutti ignote alcuni mortali, quando nascevano alla Tenebra, diventavano potenti come Titani, mentre altri erano soltanto cadaveri semoventi. Perciò i mortali dovevano essere scelti con acume. Coloro che possedevano grande passione e volontà indomabile dovevano essere evitati non meno di coloro che non le possedevano affatto.

Quarta — nessun vampiro può mai annientare un altro vampiro, ma il capo della congrega ha potere di vita e di morte su tutto il suo gregge. Inoltre è suo dovere guidare i vecchi e i pazzi nel fuoco quando non possono più servire Satana come dovrebbero. È suo dovere annientare tutti i vampiri che non sono stati creati secondo le regole. È suo dovere annientare coloro che sono feriti gravemente al punto di non poter sopravvivere da soli. E infine è suo dovere cercare di distruggere tutti coloro che hanno infranto le leggi.

Quinta — nessun vampiro deve rivelare la sua vera natura a un mortale e permettere che questo mortale viva. Nessun vampiro deve rivelare la storia della sua specie a un mortale e permettere che questo mortale viva. Nessun vampiro deve mettere per iscritto la storia della sua specie o notizie vere sui vampiri, perché questa storia potrebbe essere trovata e creduta dai mortali. E il nome di un vampiro non deve essere mai noto ai mortali, se non sulla sua pietra tombale, e nessun vampiro deve mai rivelare ai mortali l’ubicazione del suo covo o del covo di un suo simile.

Questi erano quindi i grandi comandamenti cui dovevano obbedire tutti i vampiri. Erano le condizioni dell’esistenza tra tutti i Non Morti.

Eppure Armand doveva sapere che s’era sempre parlato di antichi vampiri eretici dal potere spaventoso che non riconoscevano nessuna autorità, neppure quella del diavolo… vampiri che erano sopravvissuti per migliaia di anni. A volte venivano chiamati Figli dei Millenni. Nell’Europa settentrionale si parlava di Mael, che dimorava nelle foreste dell’Inghilterra e della Scozia; e in Asia minore c’era la leggenda di Pandora. E in Egitto c’era l’antica storia del vampiro Ramses, riapparso anche in quei tempi.

Erano storie che si ritrovavano in ogni parte del mondo. Era facile considerarle fantasie, ma c’era un particolare. L’antico eretico Marius era stato trovato a Venezia e punito dai Figli delle Tenebre. La leggenda di Marius era vera. Marius, però, non esisteva più.