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4.

Trascorse un’ora. Forse di più. Armand era seduto accanto al fuoco. Sul suo volto non c’erano più i segni della battaglia dimenticata. Nella sua immobilità sembrava fragile come una conchiglia vuota.

Gabrielle gli sedeva di fronte e anche lei guardava le fiamme in silenzio. Aveva un’espressione stanca e compassionevole. Per me era doloroso non conoscere i suoi pensieri.

Io pensavo a Marius. Marius e Marius… il vampiro che aveva dipinto quadri nel mondo reale e del mondo reale. Trittici, ritratti, affreschi sulle pareti del suo palazzo.

E il mondo reale non aveva mai sospettato di luì, non gli aveva dato la caccia, non l’aveva respinto. Era stata la banda di demoni incappucciati a bruciare i dipinti, coloro che avevano in comune con lui il Dono Tenebroso… chissà se lui l’aveva mai chiamato così. Erano stati loro ad affermare che non poteva vivere e creare tra i mortali: non erano stati i mortali a farlo.

Vedevo il palcoscenico del teatro di Renaud e sentivo me stesso cantare, sentivo il canto diventare un ruggito. Nicolas diceva «È splendido». Io dicevo: «È meschino». Ed era come percuotere Nicolas. Nella sua immaginazione diceva ciò che non aveva detto quella notte: «Lascia che io abbia ciò in cui posso credere. Tu non lo faresti mai».

I trittici di Marius erano nelle chiese e nelle cappelle dei conventi, forse nelle sale dei palazzi di Venezia e Padova. I vampiri non sarebbero entrati nei luoghi sacri per staccarli. Perciò erano in qualche posto, forse con la firma inserita nei dettagli, creazioni del vampiro che si circondava di apprendisti mortali, aveva un’amante mortale dal quale beveva un po’ di sangue, e usciva da solo per uccidere.

Pensai alla notte nella locanda quando avevo visto l’insignificanza della vita, e la disperazione sconfinata della storia di Armand sembrò un oceano in cui potevo annegare. Era peggio della riva desolata nella mente di Nicki. Durava da tre secoli, quell’oscurità, quel nulla.

Il giovane radioso dai capelli fulvi che stava accanto al fuoco poteva aprire di nuovo la bocca: ne sarebbe uscita una tenebra simile all’inchiostro per avvolgere il mondo.

Cioè, se non vi fossero stati quel protagonista, quel maestro veneziano che aveva compiuto l’atto eretico di creare un significato sulle tavole dipinte da lui — perché doveva esserci un significato — e la nostra specie, eletta di Satana, che l’aveva trasformato in una torcia vivente.

Gabrielle aveva visto quei quadri nella storia, come li avevo veduti io? Ardevano nell’occhio della sua mente come ardevano nel mio?

Marius percorreva una strada nella mia anima, una strada che gli avrebbe permesso di vagare per sempre, con i demoni incappucciati che avevano ritrasformato i quadri in caos.

Con sofferenza sorda, pensai ai racconti dei viaggiatori… Marius era vivo, era stato visto in Egitto o in Grecia.

Volevo chiedere ad Armand se non era possibile. Marius doveva essere stato molto forte… Ma mi sembrava irrispettoso domandarlo.

«Una vecchia leggenda», mormorò. La sua voce era precisa quanto la voce interiore. Continuò, senza mai distogliere lo sguardo dalle fiamme. «Una leggenda dei tempi andati, prima che ci annientassero entrambi.»

«Forse no», dissi io. Un’eco delle visioni, i quadri appesi ai muri. «Forse Marius è vivo.»

«Noi siamo miracoli od orrori», disse Armand a voce bassa. «Dipende dal modo in cui vuoi vederci. E quando incominci a sapere di noi, attraverso il sangue scuro o le promesse o le apparizioni, pensi che tutto sia possibile. Ma non è così. Il mondo si rinserra subito intorno a questo miracolo; e non speri che se ne compiano altri. Ti abitui ai nuovi limiti e i limiti definiscono di nuovo tutto. Perciò dicono che Marius continua a esistere. Tutti loro continuano a esistere, chissà dove: è ciò che vuoi credere.

«Nella congrega di Roma non è rimasto uno solo, da quelle notti in cui mi fu insegnato il rituale; e forse neppure la congrega esiste più. Sono passati anni e anni dall’ultima volta che c’è stata qualche comunicazione. Ma esistono ancora tutti da qualche parte, no? Dopotutto, non possiamo morire.» Armand sospirò. «Non importa» disse.

C’era qualcosa che aveva importanza: qualcosa di più grande e terribile, la possibilità che quella disperazione potesse schiacciarlo, e che, nonostante la sete che c’era in lui, il sangue perduto nella lotta e la fornace silenziosa del suo corpo che guariva i lividi e la carne lacerata, non volesse avventurarsi a caccia lassù nel mondo, e preferisse la sete e il calore della fornace silenziosa. Pur di restare lì con noi.

Ma conosceva già la risposta. Sapeva che non poteva rimanere.

Io e Gabrielle non avevamo bisogno di parlare per farglielo sapere. Non dovevamo neppure risolvere la questione nelle nostre menti. Armand sapeva come Dio può conoscere il futuro, perché Dio è in possesso di tutti i fatti.

Un’angoscia intollerabile. È l’espressione di Gabrielle ancora più stanca e triste.

«Sai che con tutta la mia anima vorrei portarti con noi», dissi, sorpreso dalla mia emozione. «Ma sarebbe un disastro per tutti.»

Niente cambiò in lui. Sapeva. Gabrielle non si oppose.

«Non riesco a smettere di pensare a Marius», confessai.

Lo so. E non pensi a Coloro-che-devono-essere-conservati, e questo è molto strano.

«È solo un altro mistero», dissi. «E vi sono mille misteri. Io penso a Marius. Sono troppo schiavo delle mie ossessioni. È spaventoso insistere così su Marius, trarre dal racconto quell’unica figura radiosa.»

Non ha importanza. Se ti piace, prendila. Io non perdo ciò che dono.

«Quando un essere rivela la sua sofferenza in un simile torrente, è doveroso rispettare l’intera tragedia. Bisogna cercare di comprendere. E questa impotenza, questa disperazione sono per me quasi incomprensibili. Ecco perché penso a Marius. Capisco Marius, mentre non capisco te.»

Perché?

Silenzio.

Non meritava la verità?

«Sono sempre stato un ribelle», dissi. «Tu sei sempre stato lo schiavo di ciò che ti si imponeva.»

«Ero il capo della mia congrega!»

«No, eri lo schiavo di Marius, e poi dei Figli delle Tenebre. Eri caduto sotto l’incantesimo dell’uno e poi degli altri. Ciò che ora ti fa soffrire è l’assenza di un incantesimo. Mi fa rabbrividire che tu me l’abbia fatto credere per un po’, come se io fossi un essere diverso da ciò che sono.»

«Non importa», disse Armand, con gli occhi ancora fissi sul fuoco. «Tu pensi troppo in termini di decisione e di azione. Questo racconto non è una spiegazione. E io non sono un essere che richiede un riconoscimento rispettoso nei tuoi pensieri o nelle tue parole. E tutti sappiamo che la tua risposta è troppo immensa per essere espressa a voce, e tutti e tre sappiamo che è definitiva. Ma non so il perché. Quindi sono un essere molto diverso da te, e tu non puoi capirmi. Perché non posso venke con voi? Farò tutto ciò che vorrete, se mi condurrete con Voi, e sarò sotto il vostro incantesimo.»

Pensai a Marius e al suo pennello e ai barattoli di tempera al tuorlo d’uovo.

«Come hai potuto credere a ciò che ti hanno detto dopo che avevano bruciato quei quadri?» chiesi. «Come hai potuto votarti a loro?»

Agitazione, una collera crescente.

Prudenza sul volto di Gabrielle, ma non paura.

«E tu, quando sei salito sul palcoscenico e hai visto gli spettatori che urlavano e si affrettavano a fuggire, secondo le descrizioni dei miei seguaci, dal vampiro che terrorizzava la folla, la folla che si precipitava nel Boulevard du Temple… tu, che cosa credevi? Che non vi fosse posto per te fra i mortali, ecco. Sapevi che era così. Eppure non c’era una banda di diavoli incappucciati che te lo diceva. Lo sapevi. Così per Marius non c’era posto tra i mortali. E per me.»