I suoi occhi si velarono, ma non irradiò nessuna visione. Qualunque fosse la strada che percorreva nei suoi pensieri, la percorreva da solo.
«Il carnale e lo spirituale», disse Gabrielle, «congiunti nel teatro come nei dipinti. Siamo per nostra natura demoni sensuali. Questa sia la tua chiave.»
Armand chiuse gli occhi per un momento, come per escluderci.
«Va’ da loro e ascolta la musica di Nicki», disse Gabrielle. «Crea l’arte insieme con loro nel Teatro dei Vampiri. Devi allontanarti da ciò che ti ha deluso e passare a ciò che può aiutarti. Altrimenti… non ci sono speranze.»
Avrei preferito che Gabrielle non lo dicesse con tanta brusca precisione.
Ma Armand annuì e strinse le labbra in un sorriso amaro.
«La sola cosa che è davvero importante per te», disse lentamente lei, «è spingerti agli estremi.»
La fissò senza capire. Non poteva comprendere ciò che intendeva. E io pensai che fosse una verità troppo brutale. Ma Armand non oppose resistenza. Il suo volto ridivenne pensieroso, levigato e fanciullesco.
Guardò a lungo il fuoco. Poi parlò:
«Ma perché dovete partire?» chiese. «Ora nessuno è in guerra contro di voi. Nessuno cerca di scacciarvi. Perché non potete costruirla insieme a me, questa piccola impresa?»
Intendeva forse che sarebbe andato a raggiungere gli altri, sarebbe entrato a far parte del teatro sul boulevard?
Non mi contraddisse. Mi stava chiedendo ancora perché io non potevo creare l’imitazione della vita, se era così che volevo chiamarla, proprio sul boulevard?
Ma si stava arrendendo. Sapeva che non potevo sopportare la vista del teatro o la vista di Nicolas. Non potevo spingerlo in quella direzione. L’aveva già fatto Gabrielle. E Armand sapeva che era troppo tardi per insistere ancora.
Alla fine Gabrielle disse:
«Non possiamo vivere tra i nostri simili, Armand».
E io pensai: «Sì, questa è la risposta più vera, e non so perché non potevo darla io».
«Noi cerchiamo la Strada del Diavolo», continuò Gabrielle. «E per ora bastiamo l’uno all’altra. Forse tra molti anni, quando saremo stati in mille luoghi e avremo visto mille cose, ritorneremo. E allora parleremo come abbiamo fatto questa notte.»
Per Armand non fu un trauma. Ma era impossibile capire che cosa pensava.
Rimanemmo a lungo in silenzio. Non so per quanto tempo restammo così.
Cercavo di non pensare più a Marius e neppure a Nicolas. Il senso del pericolo era scomparso, ma avevo paura della separazione e della sua tristezza, della sensazione di aver avuto da quell’essere la sua storia sbalorditiva e di avergli dato ben poco in cambio.
Fu Gabrielle che spezzò il silenzio. Si alzò e si accostò alla panca, con grazia.
«Armand», disse. «Noi ce ne andiamo. Se tutto avverrà come desidero, prima di domani a mezzanotte saremo a molte miglia da Parigi.»
Armand la guardò con calma rassegnata. Ormai era impossibile capire cosa aveva deciso di nascondere.
«Anche se non andrai al Teatro», disse Gabrielle, «accetta le cose che possiamo darti. Mio figlio ha ricchezze sufficienti per facilitarti l’entrata nel mondo.»
«Puoi prendere questa torre come tuo covo», dissi io. «Usala finché vorrai. Magnus l’aveva trovata piuttosto sicura.»
Dopo un momento lui annuì, serio e compito. Ma non disse nulla.
«Lascia che Lestat ti dia l’oro necessario per fare di te un gentiluomo», disse Gabrielle. «E in cambio ti chiediamo solo che lasci in pace la congrega, se decidi di non guidarla.»
Armand guardava di nuovo il fuoco. Il suo volto era sereno e di una bellezza irresistibile. Poi annuì di nuovo in silenzio. Quel cenno significava soltanto che aveva udito, non che faceva qualche promessa.
«Se non vuoi andare con loro», dissi io, «allora non far loro alcun male. Non far male a Nicolas.»
Quando pronunciai queste parole, sul suo volto si operò un cambiamento sottile. Era quasi un sorriso quello che si insinuò sui suoi lineamenti. I suoi occhi si volsero verso di me, e vi lessi il disprezzo.
Distolsi lo sguardo: ma la sua occhiata era stata un colpo violento.
«Non voglio che gli si faccia male», dissi in un bisbiglio teso.
«No. Tu vuoi che venga distrutto», sussurrò in risposta Armand. «Così non dovrai più temere o addolorarti per lui.» L’espressione di disprezzo divenne più acuta.
Gabrielle intervenne.
«Armand», disse, «per loro non è pericoloso. La donna basterà a tenerlo sotto controllo. E ha tante cose da insegnare a tutti voi a proposito di questo tempo, se lo ascolterete.»
Si guardarono a lungo in silenzio. Il viso di Armand era di nuovo tenero, bello e gentile.
Con un gesto stranamente decoroso, prese la mano di Gabrielle e la tenne. Si alzò con lei, le lasciò la mano, si scostò un poco e raddrizzò le spalle. Ci guardò entrambi,
«Andrò da loro», disse con la voce più dolce. «E prenderò l’oro che mi offrite e cercherò rifugio in questa torre. E imparerò dal vostro appassionato novizio tutto ciò che ha da insegnarmi. Ma mi aggrapperò a queste cose solo perché galleggiano sulla superficie della tenebra in cui sto affogando. E non vorrei sprofondare senza aver capito qualcosa di più. Non vorrei lasciare l’eternità a voi senza… senza una battaglia finale.»
Lo studiai. Ma non irradiava nessun pensiero che chiarisse queste parole.
«Forse, con il passare degli anni», aggiunse, «il desiderio tornerà a me. Conoscerò di nuovo l’appetito, forse anche la passione. Forse, quando ci incontreremo in un’altra epoca, queste cose non saranno astratte e fuggevoli. Parlerò con un vigore che eguaglierà il tuo anziché limitarsi a rispecchiarlo. E discuteremo sull’immortalità e la saggezza. Parleremo di vendetta e di rassegnazione. Per ora mi basta dire che voglio rivederti. Voglio che le nostre strade s’incrocino nel futuro. E solo per questa ragione farò ciò che tu chiedi e non ciò che vuoi: risparmierò il tuo sciagurato Nicolas.»
Emisi un sospiro di sollievo. Eppure il suo tono era così cambiato, così forte, da destare in me un allarme profondo e silenzioso. Era il signore della congrega, sicuramente, taciturno ed energico, colui che sarebbe sopravvissuto anche se l’orfano che era in lui piangeva.
Ma poi sorrise con grazia, e il suo volto divenne triste e accattivante. Ridiventò il santo di Leonardo o, più esattamente, il giovane dio del Caravaggio. E per un momento sembrò che non potesse essere malefico e pericoloso. Era troppo radioso, troppo saturo di saggezza e di bontà.
«Ricordate i miei avvertimenti», disse. «Non le mie maledizioni.» Gabrielle e io annuimmo.
«E quando avrete bisogno di me», continuò Armand, «io ci sarò.»
Poi Gabrielle fece una cosa sorprendente: lo abbracciò e lo baciò. Io feci altrettanto.
Armand era docile e gentile e affettuoso tra le nostre braccia. E ci fece sapere, senza parlare, che sarebbe andato a raggiungere la congrega e che l’avremmo trovato là l’indomani sera.
Un attimo dopo se n’era andato e Gabrielle e io eravamo soli, come se lui non fosse mai stato in quella stanza. Non sentivo alcun suono nella torre. C’era soltanto il vento che soffiava nella foresta.
E, quando salii la scala, trovai la porta aperta e i campi che si estendevano fino ai boschi nella quiete ininterrotta.
Lo amavo. Lo sapevo, per quanto mi apparisse incomprensibile. Ma ero lieto che fosse finita, lieto che potessimo proseguire. Tuttavia rimasi a lungo aggrappato alle sbarre, a guardare i boschi lontani, e più oltre il riflesso fioco della città sulle nubi basse.