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E il dolore che provavo non era soltanto per aver perduto Armand, ma per Nicki e per Parigi e per me stesso.

5.

Non appena ridiscesi nella cripta vidi che Gabrielle stava attizzando il fuoco con l’ultima legna. Con movimenti lenti e stanchi ravvivava le fiamme e la luce era rossa sul suo profilo e nei suoi occhi.

Sedetti sulla panca a guardarla in silenzio, a guardare Pesplosione delle scintille sullo sfondo dei mattoni anneriti.

«Ti ha dato ciò che volevi?» chiesi.

«A suo modo, sì», disse lei. Posò l’attizzatoio e sedette di fronte a me, i capelli sciolti sulle spalle. Posò le mani sul piano della panca. «Ti assicuro, non mi dispiacerà se non dovrò più vedere un altro della nostra specie», disse freddamente. «Ne ho abbastanza delle loro leggende, delle loro maledizioni e delle loro angosce. E ne ho abbastanza della loro insopportabile umanità, forse la cosa più sorprendente che abbiano rivelato. Sono pronto a ritornare nel mondo, Lestat, come la notte in cui sono morta.»

«Marius…» dissi, emozionato. «Madre, vi sono gli antichi… coloro che hanno usato l’immortalità in un modo del tutto diverso.»

«Esistono davvero?» chiese lei. «Lestat, sei troppo generoso con la tua immaginazione. La storia di Marius sembra una favola.»

«Non è vero.»

«Il demonio orfano afferma di discendere non già dai luridi diavoli contadini cui somiglia», disse Gabrielle, «ma da un aristocratico perduto, quasi un dio. Ti assicuro che qualunque ragazzetto paesano che sogna davanti al fuoco della cucina ti racconterà una storia simile.»

«Madre, non può aver inventato Marius», dissi. «Forse io ho molta fantasia, ma lui non ne ha. Non avrebbe potuto inventare le immagini. Ti assicuro che ha visto tutte quelle cose…»

«Non avevo pensato a questo», ammise lei con un sorriso. «Ma potrebbe aver preso a prestito Marius dalle leggende…»

«No», dissi io. «Marius è esistito ed esiste ancora. E vi sono altri come lui. Vi sono i Figli dei Millenni, che hanno saputo usare i loro doni meglio di questi Figli delle Tenebre.»

«Lestat, l’importante è che li usiamo meglio noi», disse Gabrielle. «Tutto ciò che ho imparato da Armand è che gli immortali trovano seducente e irresistibile la morte e non riescono a sconfiggere la morte e l’umanità nelle loro menti. Ora, io voglio prendere quella conoscenza e portarla come un’armatura mentre mi muovo nel mondo. E non alludo al mondo del cambiamento che quegli esseri hanno trovato tanto pericoloso; mi riferisco al mondo che è sempre lo stesso dai tempi dei tempi.»

Ributtò i capelli all’indietro mentre guardava di nuovo nel fuoco. «Io sogno i monti coperti di neve», disse, «i deserti… le giungle impenetrabili e le grandi foreste del Nord America dove dicono che i bianchi non hanno mai messo piede.» Il suo volto si animò un poco quando mi guardò. «Pensaci», continuò. «Possiamo andare dovunque. E se i Figli dei Millenni esistono, forse sono là… lontano dal mondo degli uomini.»

«E come vivono, se è così?» le chiesi. Pensavo al mio mondo, pieno di esseri mortali, e alle cose che i mortali facevano. «Noi ci nutriamo degli umani.»

«Vi sono cuori che battono in quelle foreste», disse lei in tono sognante. «C’è sangue che scorre per chi lo prende… Ora posso fare le cose che facevi tu. Potrei combattere da sola contro quei lupi…» La voce si smorzò, come se fosse assorta nei suoi pensieri. «L’importante», disse dopo una lunga pausa, «è che possiamo andare dove vogliamo, Lestat. Siamo liberi.»

«Io ero libero prima», dissi. «Non mi curavo di ciò che diceva Armand. Marius, però… so che Marius è vivo. Lo sento. L’ho sentito quando Armand ne ha parlato. E Marius sa molte cose… non solo di ciò che ci riguarda, e di Coloro-che-devono-essere-conservati o altri antichi misteri… sa molte cose sulla vita stessa, sul nostro modo di muoverci nel tempo.»

«Quindi lascia che sia il tuo santo patrono, se ne hai bisogno», disse Gabrielle.

La risposta m’irritò, e non dissi altro. I suoi discorsi sulle giungle e le foreste mi avevano spaventato. E ricordai tutto ciò che Armand aveva detto per dividerci, come avevo previsto mentre pronunciava le parole scelte con cura. Perciò viviamo con le nostre divergenze, pensai, come i mortali, e forse i nostri dissidi sono esagerati quanto le nostre passioni e il nostro amore.

«C’era un solo indizio», disse Gabrielle mentre fissava il fuoco «una piccola indicazione che la storia di Marius contenesse un po’ di verità.»

«C’erano mille indicazioni», dissi io.

«Ha detto che Marius uccideva i malfattori», continuò lei. «E ha chiamato il malfattore Set, il fratricida. Lo ricordi?»

«Pensavo alludesse a Caino, l’uccisore di Abele. È Caino che ho visto nelle immagini, sebbene abbia sentito l’altro nome.»

«Appunto. Armand non capiva il significato di quel nome, Set: tuttavia l’ha ripetuto. Ma io so cosa significa.»

«Dimmelo.»

«È tratto dai miti greci e romani… la vecchia storia del dio egizio Osiride, ucciso dal fratello Set e divenuto signore dell’Oltretomba. Naturalmente, poteva darsi che Armand l’avesse letto in Plutarco; ma non è così, e questo è strano.»

«Ah, allora vedi: Marius esiste. Quando ha detto che era vissuto un millennio, diceva la verità.»

«Forse, Lestat, forse», disse Gabrielle.

«Madre, parlami di quella leggenda egiziana…»

«Lestat, hai anni a disposizione per leggere tu stesso tutte le antiche storie.» Si alzò e si curvò per baciarmi, e io sentii che, come sempre prima dell’alba, era diventata fredda e intorpidita. «In quanto a me, ho finito con i libri. Li leggevo quando non potevo fare niente altro.» Mi prese le mani. «Dimmi che domani saremo in viaggio, che non rivedremo i bastioni di Parigi fino a quando non avremo visto l’altra parte del mondo.»

«Come desideri», dissi io.

Si avviò verso le scale.

«Ma dove vai?» chiesi mentre la seguivo. Aprì la porta e si avviò verso gli alberi.

«Voglio vedere se posso dormire nella terra», rispose voltandosi verso di me. «Se domani non mi sveglierò, saprai che ho fallito.»

«Ma è una pazzia.», dissi. L’idea mi faceva inorridire. Raggiunse un boschetto di vecchie querce, s’inginocchiò e scavò con le mani tra le foglie morte e il terriccio umido. Era spaventoso: come se fosse una bella strega bionda che raspava il suolo con la rapidità di una bestia.

Poi si alzò e mi lanciò un bacio di commiato. Chiamò a raccolta tutte le sue forze e discese come se la terra le appartenesse. E io rimasi a guardare, incredulo, il vuoto dove lei stava poco prima, e le foglie che si riassestavano come se nulla le avesse disturbate.

Mi allontanai dal bosco, mi diressi a sud, lontano dalla torre. E mentre affrettavo il passo, cominciai a cantare sommessamente tra me una canzoncina, forse un frammento di melodia che i violini avevano suonato, quella sera al Palais Royal.

E ritornò il senso d’angoscia, la certezza che saremmo partiti davvero, che era tutto finito con Nicolas e con i Figli delle Tenebre e il loro capo, e non avrei rivisto Parigi, non avrei rivisto nulla di familiare per anni e anni. E nonostante il mio desiderio di essere libero, avrei voluto piangere.

Mi sembra, tuttavia, che il mio vagabondaggio avesse uno scopo che non avevo ammesso. Circa mezz’ora prima che spuntasse la luce del mattino ero sulla strada, presso le rovine di una vecchia locanda. Era l’avamposto cadente di un villaggio abbandonato, e solo i muri erano rimasti intatti.

Presi il pugnale e incominciai a incidere nella pietra tenera:

A MARIUS L’ANTICO: LESTAT TI STA CERCANDO. È IL MESE DI MAGGIO DELL’ANNO 1780 E Io MI DIRIGO A SUD DA PARIGI IN DIREZIONE DI LIONE. TI PREGO DI METTERTI IN CONTATTO CON ME.