In quanto al Teatro dei Vampiri a Parigi, il grande scandalo che sconvolgeva i nostri simili in tutto il mondo, bene, ci avrebbero creduto quando l’avessero visto con i loro occhi. Vampiri che recitavano in palcoscenico, vampiri che incantavano gli spettatori mortali con trucchi e mimiche… pensavano che fosse terribilmente parigino. E ridevano.
Naturalmente, io ero informato direttamente della situazione del teatro. Prima ancora che arrivassi a Pietroburgo, Roget mi aveva mandato una lunga testimonianza sulla «bravura» della nuova compagnia.
Si presentano come gigantesche marionette di legno. Dalle travi scendono cordicelle dorate, legate alle caviglie e ai polsi e alla sommità della testa, e sembra che siano questi fili a manovrarli mentre eseguono le danze più affascinanti. Hanno le guance tinte di rosso e gli occhi sono grandi come bottoni di vetro. Non potete immaginare con quanta perfezione riescono a sembrare inanimati. Ma l’orchestra è un’altra meraviglia. Con le facce dipinte nello stesso modo, i suonatori imitano i musicisti meccanici, quei pupazzi snodati che si caricano con una chiave e strimpellano sugli strumenti o soffiano nelle trombe e producono vera musica! È uno spettacolo delizioso, e le dame e i gentiluomini che assistono discutono con accanimento se gli attori sono pupazzi o persone. Alcuni giurano che siano di legno e che le voci siano prodotte da ventriloqui.
In quanto ai testi, sarebbero assai sconvolgenti se non fossero tanto ingegnosi e così ben rappresentati.
C’è un dramma molto popolare in cui appare un vampiro che esce dalla tomba sul palcoscenico. È terrificante, con i capelli spioventi e le zanne. Ma s’innamora subito di una donna-marionetta e non immagina che non è viva. E, poiché non può bere il sangue dalla sua gola, presto il povero vampiro muore; in quel momento la marionetta rivela di essere viva anche se è di legno, e con un sorriso perfido esegue una danza trionfante sul corpo del mostro sconfitto. Vi assicuro che è uno spettacolo da agghiacciare il sangue. Tuttavia il pubblico va in delirio.
In un altro tableau, i ballerini-marionette si dispongono in cerchio intorno a una giovane umana e la convincono a lasciarsi legare con le cordicelle dorate come se fosse anche lei un pupazzo. Il risultato è doloroso: i fili la fanno ballare fino alla morte. La ragazza implora a gesti di venire liberata, ma le marionette vere continuano a ridere e a piroettare mentre lei agonizza.
La musica è incredibile. Ricorda gli zigani delle fiere di campagna. Il direttore è Monsieur de Lenfent. Ed è il suono del suo violino che spesso apre le rappresentazioni.
Quale vostro procuratore, vi consiglio di richiedere una parte degli utili guadagnati da questa straordinaria compagnia. Ogni sera ci sono davanti al botteghino file lunghissime che si snodano in tutto il boulevard.
Le lettere di Roget mi turbavano sempre. Mi lasciavano con il batticuore, e non potevo fare a meno di chiedermi: cosa mi ero aspettato che facesse la compagnia? Perché tanta audacia e tanta inventiva mi sorprendevano? Tutti noi avevamo il potere di fare cose simili.
Quando mi stabilii a Venezia, dove trascorsi molto tempo cercando invano i dipinti di Marius, ricevetti notizie di Eleni. Le sue lettere erano scritte con squisita grazia vampiresca.
Erano la più grande attrazione della Parigi notturna, mi scriveva. Da tutta Europa erano arrivati altri «attori» per unirsi a loro. La compagnia contava venti elementi, e persino la metropoli stentava a «mantenerli».
«Ammettiamo soltanto gli artisti più abili, coloro che possiedono un talento davvero eccezionale; ma apprezziamo soprattutto la discrezione. Non vogliamo scandali, come puoi bene immaginare.»
In quanto al «caro violinista», Eleni scriveva di lui con affetto: diceva che era il loro grande ispiratore e scriveva testi ingegnosissimi traendoli dalle storie che leggeva.
«Ma quando non lavora, spesso è insopportabile. Bisogna sorvegliarlo di continuo perché non ingrandisca il nostro numero. Si ciba in modo molto scorretto. E ogni tanto dice cose sconvolgenti agli estranei, ma per fortuna quelli hanno troppo buon senso per credergli.»
In altre parole, Nicki cercava di creare altri vampiri. E non andava a caccia con la dovuta discrezione.
Nel complesso è il nostro Più-vecchio-amico [Armand, naturalmente] che deve provvedere a tenerlo a freno. Lo fa con le minacce più caustiche. Parla spesso di antiche consuetudini religiose, di fuochi rituali, del passaggio a nuovi reami dell’essere. Non posso dire che non lo amiamo. Per amor tuo, avremmo cura di lui anche se così non fosse. Ma lo amiamo. E il nostro Più-vecchio-amico, in particolare, ha un grande affetto per lui. Devo tuttavia notare che nei tempi andati una persona simile non sarebbe durata molto in mezzo a noi.
In quanto al nostro Più-vecchio-amico, mi chiedo se ora lo riconosceresti. Ha costruito una grande dimora ai piedi della tua torre, e vi risiede tra libri e quadri come un gentiluomo colto, senza eccessivo interesse per il mondo reale.
Ogni sera, però, si presenta alla porta del teatro con la sua carrozza nera e assiste alla rappresentazione dal palco. Poi viene a risolvere tutte le dispute tra noi, a governare come ha sempre fatto, a minacciare il Nostro Divino Violinista: ma non acconsente mai a esibirsi sul palcoscenico. È lui che accetta i nuovi attori. Come ti ho detto, giungono da ogni parte. Non abbiamo bisogno di sollecitarli. Bussano alla nostra porta… Torna da noi. Vedrai, siamo molto più interessanti di un tempo. Vi sono mille meraviglie che non posso raccontare per lettera. Siamo stelle nella storia della nostra specie. E non avremmo potuto scegliere un momento più adatto nella vita di questa grande città, per la nostra piccola iniziativa. E la splendida esistenza che conduciamo è merito tuo. Perché ci hai lasciati? Ritorna!
Conservavo le lettere. Le conservavo con cura come le lettere che i miei fratelli m’inviavano dall’Alvernia. Vedevo le marionette con l’immaginazione. Sentivo il pianto del violino di Nicki. E vedevo Armand che arrivava con la carrozza nera e prendeva posto nel palco. E descrivevo tutto questo, in termini velati ed eccentrici nei miei lunghi messaggi a Marius, quando lavoravo freneticamente con lo scalpello in qualche strada buia nelle ore in cui i mortali dormivano.
Ma non pensavo di tornare a Parigi, per quanto potessi soffrire di solitudine. È mondo intorno a me era diventato il mio amante e il mio maestro. Ero affascinato da cattedrali e castelli, musei e palazzi. In ogni luogo che visitavo, entravo nel cuore della società, assimilavo i suoi svaghi e i suoi pettegolezzi, la sua letteratura e la sua musica, l’architettura e l’arte.
Potrei riempire interi volumi con tutte le cose che studiavo e mi sforzavo di comprendere. Ero incantato dai violinisti zigani e dai burattinai non meno che dai grandi soprani castrati dei teatri d’opera e dei cori delle chiese. Mi aggiravo nei bordelli, nelle bische e nei luoghi dove i marinai bevevano e litigavano. Leggevo i giornali dovunque andassi e battevo le taverne, dove spesso ordinavo cibo che non toccavo, solo per averlo davanti a me, e parlavo incessantemente con i mortali nei luoghi pubblici, offrivo loro da bere, aspiravo con l’odore delle loro pipe e dei loro sigari mentre fumavano, e lasciavo che tutti quegli odori mortali mi impregnassero i capelli e gli abiti.
E, quando non ero in giro, viaggiavo nel regno dei libri che era stato dominio esclusivo di Gabrielle per tutti i tetri anni mortali vissuti a casa.
Ancor prima che andassimo in Italia conoscevo abbastanza il latino per studiare i classici; e creai una biblioteca nel vecchio palazzo veneziano dove abitavo. Spesso leggevo per tutta la notte.
Naturalmente, era la storia di Osiride che mi incantava, e rievocavo la vicenda di Armand e le parole enigmatiche di Marius. Mentre studiavo l’antica versione, ero profondamente colpito da ciò che leggevo.