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Ma le assenze di Gabrielle non erano le sole cose che distruggevano il nostro affetto reciproco con il passare degli anni. Era il suo modo di comportarsi quand’era con me… le idee che esponeva.

Aveva ancora l’abitudine di dire tutto ciò che le passava per la mente, e ben poco di più.

Una notte, nella nostra casetta in via Ghibellina a Firenze, ricomparve dopo un mese d’assenza e cominciò subito a spiegare.

«Sai, le creature della notte sono pronte per un grande capo», disse. «Non un superstizioso seguace dei riti, ma un grande monarca tenebroso che ci faccia agire secondo i nuovi princìpi.»

«Quali princìpi?» chiesi. Lei continuò, senza far caso alla mia domanda.

«Immagina», disse. «Non solo questo furtivo, ripugnante nutrirci dei mortali, bensì qualcosa di grandioso come era grandiosa la Torre di Babele prima di venir abbattuta dalla collera di Dio. Io parlo di un capo insediato in una reggia satanica, che mandi i suoi seguaci a mettere i fratelli contro i fratelli, a indurre le madri a uccidere i figli, a bruciare tutte le splendide realizzazioni dell’umanità, a devastare la terra stessa in modo che tutti muoiano di fame, innocenti e colpevoli! A creare dovunque sofferenze e caos e colpire le forze del bene, così che gli uomini disperino. Questo meriterebbe d’essere chiamato male, questa sarebbe veramente l’opera di un diavolo. Noi non siamo nulla, lo sai, se non creature esotiche nel Giardino Selvaggio, come tu mi hai detto. E il mondo degli uomini, ora, non è diverso da quello che vedevo nei miei libri in Alvernia, tanti anni fa.»

Detestavo quella conversazione. Tuttavia ero lieto che Gabrielle fosse in quella stanza con me, ero lieto di parlare con qualcuno che non fosse un povero mortale tratto in inganno, di non essere solo con le mie lettere da casa.

«E i tuoi interrogativi estetici?» chiesi. «Ciò che avevi spiegato ad Armand, il fatto che volevi sapere perché la bellezza esiste e continua a influire su di noi?»

Alzò le spalle.

«Quando il mondo dell’uomo andrà in rovina, la bellezza trionferà. Gli alberi ricresceranno dove ci sono le strade; i fiori ammanteranno di nuovo il prato che adesso è popolato di tuguri. Questo sarà lo scopo del maestro satanico: vedere l’erba e la foresta coprire ogni traccia delle città un tempo grandi, fino a quando non rimanga più nulla.»

«E perché chiami satanico tutto questo?» chiesi. «Perché non lo chiami caos? Non sarebbe altro.»

«Perché gli uomini lo chiamerebbero così. Sono stati loro a inventare Satana, no? Satanico è semplicemente il nome che danno al comportamento di quanti vorrebbero alterare il modo ordinato in cui gli umani aspirano a vivere.»

«Non capisco.»

«Ebbene usa la tua intelligenza sovrannaturale», disse Gabrielle, «mio bell’Uccisore di Lupi, mio bel figlio dagli occhi azzurri e dai capelli d’oro. È possibile che sia stato Dio a creare il mondo come diceva Armand.»

«È questo che hai scoperto nella foresta? Te l’hanno detto le foglie?»

Rise.

«Certo, Dio non è necessariamente antropomorfo», disse. «O ciò che nel nostro egotismo sentimentale e gigantesco chiamiamo ‘una persona per bene’. Ma probabilmente c’è un Dio. Satana, però, è invenzione dell’uomo, un nome per la forza che cerca di sovvertire l’ordine civile delle cose. Il primo uomo che fece le leggi, fosse Mosè o l’antico re egizio Osiride, creò anche il diavolo. Il diavolo era colui che ti tentava per indurti a violare le leggi. E noi siamo veramente satanici in quanto non rispettiamo le leggi per la protezione dell’uomo. Quindi, perché non distruggere veramente? Perché non creare un grande rogo del male che consumi tutte le civiltà della terra?»

Ero troppo inorridito per rispondere.

«Non preoccuparti.» Gabrielle rise. «Non lo farò. Ma mi chiedo che cosa accadrà nei decenni futuri. Non ci sarà qualcuno che lo farà?»

«Mi auguro di no!» dissi. «O meglio, lascia che mi esprima così. Se uno di noi tenterà, vi sarà la guerra.»

«Perché? Tutti lo seguiranno.»

«Io no. Io gli farò guerra.»

«Oh, sei troppo divertente, Lestat», disse lei.

«È meschino», dissi.

«Meschino!» Aveva girato lo sguardo verso il cortile; ma tornò a volgerlo verso di me e le sue guance si colorarono. «Rovesciare tutte le città della terra? Capivo quando hai definito meschino il Teatro dei Vampiri… ma ora ti contraddici.»

«È meschino distruggere qualcosa per il solo gusto di distruggere, non credi?»

«Sei impossibile», disse Gabrielle. «In un lontano futuro, forse ci sarà un capo come quello di cui parlo. Ridurrà l’uomo alla nudità e alla paura da cui è uscito. E noi ci nutriremo senza sforzo come abbiamo sempre fatto, e il Giardino Selvaggio, come tu lo chiami, coprirà il mondo.»

«Quasi spero che qualcuno tenti di farlo», dissi. «Perché mi leverei contro di lui e farei tutto il possibile per sconfiggerlo. E forse potrei essere salvato, potrei essere di nuovo buono, secondo il mio giudizio, perché avrei agito per salvare l’uomo.»

Ero molto in collera. Mi alzai e andai in cortile.

Gabrielle mi seguì.

«Hai appena esposto il più antico argomento dei cristiani a sostegno dell’esistenza del male», disse. «Esiste perché noi possiamo combatterlo e compiere il bene.»

«E squallido e stupido», dissi io.

«Ecco ciò che non capisco in te», disse Gabrielle. «Ti aggrappi alla vecchia fede nel bene con una tenacia virtualmente incrollabile. Tuttavia sei così efficiente nell’essere ciò che sei. Dai la caccia alle tue vittime come un angelo delle tenebre. Uccidi senza pietà. Quando decidi di farlo, banchetti tutta la notte a spese dei mortali.»

«E con ciò?» La guardai freddamente. «Non posso fare a meno di essere malefico.»

Rise di nuovo.

«In gioventù ero un buon tiratore», continuai. «E un buon attore. Adesso sono un buon vampiro. Tutto sta a intendersi sul significato della parola ‘buono’.»

Dopo che Gabrielle se ne fu andata, mi stesi supino sulle pietre del cortile e guardai le stelle, pensando a tutti i quadri e alle statue che avevo visto nella sola città di Firenze. Odiavo i luoghi dove esistono soltanto degli alberi torreggiami, e per me la musica più dolce era il suono delle voci umane. Ma aveva davvero importanza ciò che pensavo e provavo?

Non sempre, tuttavia, Gabrielle mi sferrava mazzate con la sua strana filosofìa. Ogni tanto, quando ricompariva, parlava delle cose pratiche che aveva imparato. Era più coraggiosa e avventurosa di me. Mi insegnava parecchio.

Potevamo dormire nella terra, come lei aveva accertato prima che lasciassimo la Francia. I sarcofagi e le tombe non erano indispensabili. E risorgeva naturalmente dalla terra, al tramonto, ancora prima di risvegliarsi.

E i mortali che ci trovavano durante le ore del giorno, a meno che ci esponessero subito al sole, erano spacciati. Per esempio, nei pressi di Palermo lei aveva dormito nella cantina di una casa abbandonata; quando s’era svegliata, gli occhi e il viso le bruciavano come se fossero ustionati, e stringeva con la mano destra un umano morto, che apparentemente aveva cercato di disturbare il suo riposo.

«Era stato strangolato», mi disse. «E la mia mano era ancora stretta alla sua gola. Avevo il viso scottato dalla poca luce che penetrava dalla porta aperta.»

«E se i mortali fossero stati più d’uno?» chiesi, vagamente affascinato.

Scosse la testa e alzò le spalle. Ora dormiva sempre nella terra, non nelle cantine e nelle bare. Nessuno avrebbe più disturbato il suo riposo.

Non lo dicevo, ma ritenevo che fosse piacevole dormire nella cripta. Era molto poetico levarsi dalla tomba. Mi spingevo addirittura fino al punto di farmi fabbricare i sarcofagi nei luoghi dove sostavamo a lungo, e non dormivo nel camposanto o nella chiesa, com’era nostra consuetudine, bensì in nascondigli all’interno della casa.