Выбрать главу

C’era anche una lettera allarmante di Roget.

Parigi era in preda alla follia rivoluzionaria. Il re Luigi era stato costretto a riconoscere l’Assemblea Nazionale. Il popolo di tutte le classi s’era unito contro di lui come non era mai avvenuto. Roget aveva mandato un messaggero al sud per parlare con i miei familiari e cercare di accertare quali erano gli umori rivoluzionari nella campagna.

Risposi alle due lettere con tutta la preoccupazione comprensibile e tutto il prevedibile senso d’impotenza.

Ma, mentre spedivo la mia roba al Cairo, avevo il timore che tutte le cose da cui dipendevo fossero in pericolo. Esteriormente ero immutato, mentre continuavo a spacciarmi da gentiluomo viaggiatore; interiormente il cacciatore diabolico delle viuzze buie era ammutolito e sperduto.

Naturalmente mi dissi che dovevo andare a sud, in Egitto, che l’Egitto era una terra di antiche meraviglie grandiose, e mi avrebbe incantato e mi avrebbe fatto dimenticare le cose che accadevano a Parigi e che non avevo il potere di cambiare.

Ma nella mia mente esisteva un nesso. L’Egitto, più di ogni altra terra al mondo, era innamorato della morte.

Finalmente Gabrielle giunse come uno spirito dal deserto arabo, e c’imbarcammo insieme.

Trascorse quasi un mese prima che arrivassimo al Cairo; e quando trovai la mia roba ad attendermi nel caravanserraglio europeo, vidi che c’era anche uno strano pacco.

Riconobbi subito la scrittura di Eleni, ma non capii perché mai mi avesse inviato un pacco: restai a fissarlo per un quarto d’ora, con la mente vuota.

Roget non aveva mandato notizie.

Perché Roget non mi ha scritto? pensai. Cosa c’è nel pacco? Perché è qui?

Alla fine mi resi conto che ero da un’ora nella stanza tra i bauli e le casse e fissavo quel pacco. E Gabrielle, che non aveva ancora deciso di scomparire, si limitava a osservarmi.

«Ti dispiace uscire?» sussurrai.

«Se vuoi», mi rispose.

Era importante aprire il pacco, sì, aprirlo e vedere che cos’era. Eppure mi sembrava altrettanto importante girare lo sguardo sulla stanzetta spoglia e immaginare che fosse una camera nella locanda di un villaggio dell’Alvernia.

«Ti ho sognato», dissi a voce alta mentre guardavo il pacco. «Ho sognato che viaggiavamo per il mondo insieme, tu e io, ed eravamo sereni e forti. Ho sognato che ci nutrivamo dei malfattori come aveva fatto Marius, e mentre ci guardavamo intorno provavamo timore e sofferenza per le miserie che vedevamo. Ma eravamo forti. Potevamo continuare per sempre. E parlavamo. La ‘nostra conversazione’ non s’interrompeva.»

Strappai l’incarto e vidi la custodia dello Stradivari.

Feci per dire ancora qualcosa, parlando a me stesso; ma un nodo mi strinse la gola. E la mia mente non riuscì a continuare il discorso. Presi la lettera che era scivolata sul legno lucido.

Come temevo, è accaduto il peggio. Il nostro Più-vecchio-amico, esasperato dagli eccessi del Nostro Violinista, ha finito per imprigionarlo nella tua vecchia residenza. E, sebbene gli avesse lasciato il violino nella cella, gli ha tolto le mani.

Ma sappi che, per noi, queste appendici possono sempre essere restituite. E le appendici in questione erano custodite dal nostro Più-vecchio-amico, che per cinque notti non ha concesso alcun nutrimento al nostro mutilato.

Finalmente l’intera compagnia ha convinto il nostro Più-vecchio-amico a liberare N. e a rendergli tutto ciò che era suo. Così è stato fatto.

Ma N., stravolto dalla sofferenza e dalla fame (perché queste possono alterare in modo completo il temperamento), si è chiuso in un silenzio infrangibile ed è rimasto così molto a lungo. Infine è venuto da noi e ha parlato solo per dirci che, come fanno i mortali, aveva messo ordine nei suoi affari. C’erano a nostra disposizione un mucchio di commedie appena scritte. E dovevamo andare con lui in campagna, per celebrare l’antico Sabba con il falò tradizionale. Se non avessimo acconsentito, avrebbe fatto del teatro la sua pira funebre.

Il nostro Più-vecchio-amico gli ha accordato solennemente il consenso; e ti assicuro che non hai mai assistito a un Sabba come questo perché credo che apparissimo più infernali che mai con le nostre parrucche e gli eleganti costumi neri di scena da vampiri, mentre formavamo il cerchio e cantavamo i vecchi canti con la tipica spavalderia degli attori.

«Avremmo dovuto farlo sul boulevard», ha detto N. «Ma ecco, manda questo al mio creatore.» E mi ha messo tra le mani il violino. Abbiamo cominciato a danzare tutti, per indurre la consueta frenesia; e credo che non avessimo mai provato più commozione, più terrore e più tristezza. Lui si è buttato tra le fiamme. So quanto ti colpirà questa notizia. Ma sappi che abbiamo fatto tutto il possibile per impedirlo. Il nostro Più-vecchio-amico era angosciato e amareggiato. E penso tu debba sapere che, al nostro ritorno a Parigi, abbiamo scoperto che N. aveva ordinato di chiamare ufficialmente Teatro dei Vampiri il nostro teatro e che la scritta era già stata dipinta sulla facciata. Dato che i suoi drammi migliori hanno sempre incluso vampiri e lupi mannari e altri esseri sovrannaturali, il pubblico pensa che la nuova denominazione sia divertente e nessuno ha chiesto di cambiarla. A Parigi, di questi tempi, è considerata molto spiritosa.

Diverse ore più tardi, quando finalmente scesi in strada, vidi nell’ombra uno spettro pallido e bellissimo… l’immagine del giovane esploratore francese con l’abito di lino bianco impolverato e gli stivali, e il cappello di paglia calcato sugli occhi.

Sapevo chi era e sapevo che un tempo ci eravamo amati, lei e io: ma sembrava che per il momento fosse qualcosa che non potevo ricordare o credere veramente.

Volevo dirle qualcosa di cattivo, per ferirla e allontanarla. Ma quando si avvicinò a me e mi si affiancò, non aprii bocca. Le diedi la lettera in modo che non fosse necessario parlare. La lesse e la mise via, quindi mi cinse con un braccio come usava fare molto tempo prima, e ci avviammo insieme per le vie buie.

Odore di morte e di fuochi, di sabbia e di stereo di cammello. L’ odore dell’Egitto. L’odore di un luogo rimasto immutato per seimila anni.

«Che cosa posso fare per te, carissimo?» sussurrò lei.

«Niente.»

Era stata opera mia. Ero stato io che l’avevo sedotto, avevo fatto di lui ciò che era e l’avevo abbandonato. Avevo deviato il cammino che avrebbe potuto percorrere la sua vita. E così, nell’oscurità, lontano dal suo corso umano, era tutto finito.

Più tardi lei attese in silenzio mentre scrivevo un messaggio per Marius sul muro di un antico tempio. Parlai della fine di Nicolas, il violinista del Teatro dei Vampiri, e scolpii profondamente le mie parole come avrebbe fatto un antico scalpellino egizio. Un epitaffio per Nicki, una pietra miliare nell’oblio, che nessuno avrebbe mai letto e compreso.

Era strano averla vicina. Era strano averla con me un’ora dopo l’altra.

«Non ritornerai in Francia, vero?» mi chiese a un tratto. «Non tornerai per ciò che lui ha fatto?»

«Le mani?» chiesi. «Le mani tagliate?»

Mi guardò, e il suo volto si spianò come se un trauma avesse cancellato ogni espressione. Ma sapeva. Aveva letto la lettera. Che cosa la sconvolgeva? Forse il modo in cui l’avevo detto.

«Pensavi che sarei tornato per vendicarmi?»

Annuì, incerta. Non voleva mettermi in mente quell’idea.

«Come potrei?» dissi. «Sarebbe ipocrisia, no, quando ho lasciato Nicolas contando su tutti loro perché facessero ciò che doveva essere fatto?»

I cambiamenti sul suo volto erano troppo sottili per descriverli. Non mi faceva piacere vedere la profondità dei suoi sentimenti. Non era da lei.