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Mi sembrò che parlasse, nel rombo del flusso. Ripeté:

«Bevi, mio giovane sofferente».

Sentii il suo cuore gonfiarsi, il suo corpo ondeggiare come se fossimo saldati l’uno all’altro.

E sentii, credo, la mia voce che diceva: «Marius».

E lui rispondeva: «Sì».

PARTE VII

ANTICA MAGIA, ANTICHI MISTERI

1.

Appena mi svegliai, capii che ero a bordo di una nave. Sentivo lo I scricchiolio del fasciame e respiravo il profumo del mare. Sentivo l’odore del sangue dei marinai. E sapevo che era una galea perché udivo il ritmo dei remi tra il rombo sordo delle gigantesche vele.

Non potevo aprire gli occhi, non potevo muovermi. Tuttavia ero calmo. Anzi, provavo uno straordinario senso di pace. Il mio corpo era caldo come se mi fossi appena nutrito, ed era piacevole giacere lì, e sognare da sveglio al ritmo delle onde gentili.

Poi la mia mente cominciò a schiarirsi.

Sapevo che stavamo procedendo velocemente su acque tranquille, e che il sole era appena tramontato. Il cielo serotino si oscurava e il vento cadeva. E il suono dei remi che si alzavano e si abbassavano era nitido e rassicurante.

Adesso avevo aperto gli occhi.

Non ero più nella bara. Ero appena uscito dalla cabina posteriore del vascello ed ero sul ponte.

Aspirai l’aria pura e salmastra e vidi lo splendido azzurro incandescente del cielo al crepuscolo e la moltitudine di stelle fulgide. Le stelle non appaiono mai così, sulla terraferma. Non sono mai tanto vicine.

C’erano isole scure e montuose, intorno a noi, scogliere cosparse di minuscole luci palpitanti. L’aria era piena di odore di verde, di fiori, di terra.

E il vascello procedeva veloce verso un varco tra gli scogli davanti a me.

Mi sentivo stranamente forte e lucido. Per un momento provai la tentazione di cercare di capire com’ero arrivato fin là, e se ero nell’Egeo o nel Mediterraneo, e sapere quando avevamo lasciato il Cairo, e se le cose che ricordavo erano avvenute veramente.

Ma questo mi sfuggiva, nella tranquilla accettazione di ciò che stava accadendo.

Marius era più in là, sul ponte, davanti all’albero maestro.

Mi avviai a mia volta verso il ponte e mi fermai a guardarlo.

Portava il lungo mantello rosso che gli avevo visto indosso al Cairo e i capelli bianco-biondi erano agitati dal vento. Gli occhi erano fissi sul varco di fronte a noi, gli scogli pericolosi che affioravano dall’acqua poco profonda, e la sua mano sinistra stringeva la ringhiera.

Provai per lui un’attrazione travolgente, e il senso di pace ingigantì.

Non c’era una grandiosità scostante nel suo volto e nella sua posa, non c’era un’alterigia che avrebbe potuto umiliarmi o impaurirmi. C’era solo una calma nobiltà; gli occhi guardavano avanti, la bocca suggeriva una tendenza eccezionale alla gentilezza.

Il volto era troppo liscio, sì. Aveva la lucentezza del tessuto cicatriziale, e avrebbe potuto incutere sbalordimento e paura in una via buia. Irradiava una lieve luminosità. Ma l’espressione era troppo calda, troppo umana nella sua bontà per non essere invitante.

Armand sembrava un dio del Caravaggio, Gabrielle un arcangelo di marmo sulla soglia di una chiesa.

Ma la figura che stava sopra di me era quella di un uomo immortale.

E l’uomo immortale, con la mano destra tesa davanti a sé, pilotava la nave in silenzio, inequivocabilmente, tra gli scogli.

Le acque intorno a noi luccicavano come metallo fuso, lanciavano lampi azzurri e poi argentei e poi neri, e sollevavano grandi spruzzi di spuma bianca quando le onde battevano contro le rocce.

Mi avvicinai e, senza fare rumore, salii la scaletta del ponte.

Marius non staccò gli occhi dalle acque neppure per un istante, ma tese il braccio sinistro e mi prese la mano.

Tepore. Una pressione discreta. Ma non era il momento adatto per parlare, e io ero sorpreso perché aveva avvertito la mia presenza.

Aggrottò le sopracciglia e socchiuse gli occhi: come dominati dal suo comando silenzioso, i rematori rallentarono la vogata.

Ero affascinato da ciò che vedevo e, approfondendo la concentrazione, mi accorsi che riuscivo a sentire il potere irradiato da lui, un palpito lento che aveva lo stesso ritmo del suo cuore.

Udivo anche i mortali sulle isole circostanti e sulle strette spiagge a destra e a sinistra. Li vedevo raccolti suoi promontori, o in corsa verso l’acqua con le torce nelle mani. Udivo i loro pensieri come voci mentre stavano nell’oscurità della notte e guardavano le lanterne della nostra nave. Parlavano in greco, una lingua che non conoscevo, ma il messaggio era chiaro:

«Sta passando il signore. Venite a vedere: sta passando il signore». E la parola «signore» includeva vagamente un significato sovrannaturale. E una reverenza mista all’eccitazione emanava dalle rive come un coro di sussurri.

E io ascoltavo trattenendo il respiro. Pensai al mortale che avevo terrorizzato al Cairo, al lontano disastro sul palcoscenico del teatro di Renaud. A parte quei due umilianti incidenti, ero passato come invisibile attraverso il mondo per dieci anni; e costoro, questi contadini vestiti di scuro, accorrevano per assistere al passaggio della nave e sapevano cos’era Marius. O almeno sapevano qualcosa. Non pronunciavano la parola greca che significa vampiro, una delle poche che comprendevo.

Ci lasciammo indietro le spiagge. Le scogliere si chiudevano tutto intorno. La nave avanzava con i remi sopra l’acqua. Le alte pareti attenuavano la luce del cielo.

Dopo pochi momenti vidi una grande baia argentea che si apriva davanti a noi, e una muraglia di roccia proprio di fronte, mentre pendii più dolci cingevano l’acqua da entrambi i lati. La parete era così alta e ripida che alla sommità non riuscivo a scorgere nulla.

I rematori ridussero la velocità quando ci avvicinammo. Il vascello si girò lentamente. Mentre andavamo alla deriva verso la rupe, vidi la sagoma indistinta di una vecchia banchina di pietra, coperta di muschio. Gli uomini avevano alzato i remi verso il cielo.

Marius era immobile come sempre, e la sua mano esercitava una pressione gentile sulla mia, mentre l’altra indicava la banchina e la rupe che si ergeva come la notte. Le nostre lanterne proiettavano il chiarore sulla roccia bagnata.

Quando fummo a non più di cinque o sei piedi dalla banchina, pericolosamente vicini per una nave di quelle dimensioni e di quel peso, sentii che ci eravamo fermati.

Tenendomi per mano, Marius attraversò il ponte e salì fino alla fiancata della nave. Un servitore dai capelli scuri si avvicinò e gli mise un sacco nella mano. Insieme, Marius e io scavalcammo d’un balzo l’acqua e atterrammo sulla banchina di pietra, superando agevolmente la distanza senza il minimo rumore.

Mi voltai e vidi la nave ondeggiare leggermente. I remi vennero abbassati di nuovo e, dopo pochi secondi, il vascello puntò verso le luci distanti di un paesetto dall’altra parte della baia.

Marius e io eravamo soli nell’oscurità. E quando la nave divenne un puntolino scuro sulle acque scintillanti, egli indicò una stretta gradinata scolpita nella roccia.

«Precedimi, Lestat», disse.

Era piacevole salire. Era piacevole muoversi così svelto, seguire i gradini rozzi e tornanti, e sentire il vento diventare più forte, e vedere l’acqua sempre più distante e immobile, come se il moto delle onde si fosse arrestato.

Marius era a pochi passi da me. Ancora una volta sentivo e udivo il palpito del potere. Era come una vibrazione nelle mie ossa.

Gli scalini sparivano a metà del dirupo; cominciai a seguire un sentiero che non era abbastanza largo per una capra di montagna. Ogni tanto i macigni o gli affioramenti di pietra formavano un margine tra noi e il precipizio, ma quasi sempre il sentiero era l’unica sporgenza sulla parete, e mentre continuavamo a salire avevo sempre più paura di guardare giù.