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Gaspare Planetta alzò gli occhi misurando la potente corporatura di Andrea. Avrebbe mai potuto sfidarlo, patito e stanco come si sentiva? Perciò si alzò lentamente, aspettò che gli dessero anche le altre sue cose, mise tutto nel sacco, si gettò lo schioppo sulle spalle. " Allora buonasera, signori " disse avviandosi alla porta.

I briganti rimasero muti, immobili per lo stupore, perché mai avrebbero immaginato che Gaspare Planetta, il famoso capo brigante, potesse andarsene così, lasciandosi mortificare a quel modo. Solo Cosimo trovò un po' di voce, una voce stranamente fioca. " Addio Planetta! " esclamò, lasciando da parte ogni finzione. " Addio, buona fortuna! " Planetta si allontanò per il bosco, in mezzo alle ombre della sera, fischiettando una allegra arietta.

Così fu di Planetta, ora non più capo brigante, bensì soltanto Gaspare Planetta fu Severino, di anni 48, senza fissa dimora. Però una dimora l'aveva, un suo baracchino sul Monte Fumo, metà di legno e metà di sassi, nel mezzo delle boscaglie, dove una volta si rifugiava quando c'erano troppe guardie in giro.

Planetta raggiunse la sua baracchetta, accese il fuoco, contò i soldi che aveva (potevano bastargli per qualche mese) e cominciò a vivere solo.

Ma una sera, ch'era seduto al fuoco, si aprì di colpo la porta e comparve un giovane, con un fucile. Avrà avuto diciassette anni.

" Cosa succede? " domandò Planetta, senza neppure alzarsi in piedi. Il giovane aveva un'aria ardita, assomigliava a lui, Planetta, una trentina d'anni prima.

" Stanno qui quelli del Monte Fumo? Sono tre giorni che vado in cerca. "

Il ragazzo si chiamava Pietro. Raccontò senza esitazione che voleva mettersi coi briganti. Era sempre vissuto da vagabondo ed erano anni che ci pensava, ma per fare il brigante occorreva almeno un fucile e aveva dovuto aspettare un pezzo, adesso però ne aveva rubato uno, ed anche uno schioppo discreto.

" Sei capitato bene " fece Planetta allegramente " io sono Planetta. "

" Planetta il capo, vuoi dire? "

" Sì, certo, proprio lui. "

" Ma non eri in prigione? "

" Ci sono stato, così per dire " spiegò furbescamente Planetta. " Ci sono stato tre giorni. Non ce l'hanno fatta a tenermi di più. "

Il ragazzo lo guardò con entusiasmo.

" E allora mi vuoi prendere con te? "

" Prenderti con me? " fece Planetta " be', per stanotte dormi qui, poi domani vedremo. "

I due vissero insieme. Planetta non disilluse il ragazzo, gli lasciò credere di essere sempre lui il capo, gli spiegò che preferiva viversene solo e trovarsi con i compagni soltanto quando era necessario. Il ragazzo lo credette potente e aspettò da lui grandi cose.

Ma passavano i giorni e Planetta non si muoveva. Tutt'al più girava un poco per cacciare. Del resto se ne stava sempre vicino al fuoco.

" Capo " diceva Pietro " quand'è che mi conduci con te a far qualcosa? "

" Ah " rispondeva Planetta " uno di questi giorni combineremo bene. Farò venire tutti i compagni, avrai da cavarti la soddisfazione. "

Ma i giorni continuavano a passare.

" Capo " diceva il ragazzo " ho saputo che domani, giù nella strada della valle, domani passa in carrozza un mercante, un certo signor Francesco, che deve avere le tasche piene. "

" Un certo Francesco? " faceva Planetta senza dimostrare interesse. " Peccato, proprio lui, lo conosco bene da un pezzo. Una bella volpe, ti dico, quando si mette in viaggio non si porta dietro neanche uno scudo, è tanto se porta i vestiti, dalla paura che ha dei ladri. "

" Capo " diceva il ragazzo " ho saputo che domani passano due carri di roba buona, tutta roba da mangiare, cosa ne dici, capo? "

" Davvero? " faceva Planetta " roba da mangiare? " e lasciava cadere la cosa, come se non fosse degna di lui.

" Capo " diceva il ragazzo " domani c'è la festa al paese, c'è un mucchio di gente che gira, passeranno tante carrozze, molti torneranno anche di notte. Ncn ci sarebbe da far qualcosa? "

" Quando c'è gente " rispondeva Planetta " è meglio lasciar stare. Quando c'è la festa vanno attorno i gendarmi. Non val la pena di fidarsi. È proprio in quel giorno che mi hanno preso. "

" Capo " diceva dopo alcuni giorni il ragazzo " di' la verità, tu hai qualcosa. Non hai più voglia di muoverti. Nemmeno più a caccia vuoi venire. I compagni non li vuoi vedere. Tu devi essere malato, anche ieri dovevi avere la febbre, stai sempre attaccato al fuoco. Perché non mi parli chiaro? "

" Può darsi che io non stia bene " faceva Planetta sorridendo " ma non è come tu pensi. Se vuoi proprio che te lo dica, dopo almeno mi lascerai tranquillo, è cretino sfacchinare per mettere insieme qualche marengo. Se mi muovo, voglio che valga la fatica. Bene, ho deciso, così per dire, di aspettare il Gran Convoglio. "

Voleva dire il Grande Convoglio che una volta all'anno, precisamente il 12 settembre, portava alla Capitale un carico d'oro, tutte le tasse delle provincie del sud. Avanzava tra suoni di corni, lungo la strada maestra, tra lo scalpitare della guardia armata. Il Grande Convoglio imperiale, con il grande carro di ferro, tutto pieno di monete, chiuse in tanti sacchetti. I briganti lo sognavano nelle notti buone, ma da cent'anni nessuno era riuscito impunemente ad assaltarlo. Tredici briganti erano morti, venti ficcati in prigione. Nessuno osava pensarci più; d'anno in anno poi il provento delle tasse cresceva e si aumentava la scorta armata. Cavalleggeri davanti e di dietro, pattuglie a cavallo di fianco, armati i cocchieri, i cavallanti e i servi.

Precedeva una specie di staffetta, con tromba e bandiera. A una certa distanza seguivano ventiquattro cavalleggeri, con schioppi, pistole e spadoni. Poi veniva il carro di ferro, con lo stemma imperiale in rilievo, tirato da sedici cavalli. Ventiquattro cavalleggeri, anche dietro, dodici altri dalle due parti. Centomila ducati d'oro, mille once d'argento, riservati alla cassa imperiale.

Dentro e fuori per le valli il favoloso convoglio passava a galoppo serrato. Luca Toro, cent'anni prima, aveva avuto il coraggio di assaltarlo e gli era andata miracolosamente bene. Era quella la prima volta: la scorta aveva preso paura. Luca Toro era poi fuggito in Oriente e si era messo a fare il signore.

A distanza di parecchi anni, anche altri briganti avevano tentato: Giovanni Borso, per dire solo alcuni, il Tedesco, Sergio dei Topi, il Conte e il Capo dei trentotto. Tutti, al mattino dopo, distesi al bordo della strada, con la testa spaccata. " Il Gran Convoglio? Vuoi rischiarti sul serio? " domandò il ragazzo meravigliato.

" Sì certo, voglio rischiarla. Se riesce, sono a posto per sempre. "

Così disse Gaspare Planetta, ma in cuor suo non ci pensava nemmeno. Sarebbe stata un'assoluta follia, anche a essere una ventina, attaccare il Gran Convoglio. Figurarsi poi da solo.

L'aveva detto così per scherzare, ma il ragazzo lo prese sul serio e guardò Planetta con ammirazione. " Dimmi " fece il ragazzo " e quanti sarete? " " Una quindicina almeno, saremo. " " E quando? "

" C'è tempo " rispose Planetta " bisogna che lo domandi ai compagni. Non c'è mica tanto da scherzare. "

Ma i giorni, come avviene, non fecero fatica a passare e i boschi cominciarono a diventar rossi. Il ragazzo aspettava con impazienza. Planetta gli lasciava credere e nelle lunghe sere, passate vicino al fuoco, discuteva del grande progetto e ci si divertiva anche lui. In qualche momento perfino pensava che tutto potesse essere anche vero.

L'11 settembre, alla vigilia, il ragazzo stette in giro fino a notte. Quando tornò aveva una faccia scura. " Cosa c'è? " domandò Planetta, seduto al solito davanti al fuoco. " C'è che finalmente ho incontrato i tuoi compagni. " Ci fu un lungo silenzio e si sentirono gli scoppiettii del fuoco. Si udì pure la voce del vento che fuori soffiava nelle boscaglie.