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— Molto gentile da parte vostra, mylord — disse Lain, il cui piacere all’idea di vedere Toller era quasi rovinato dal pensiero della reazione di Gesalla alla notizia.

— Figurati.. Penso che dopotutto siamo stati abbastanza duri con lui. Voglio dire, un anno in un posto miserabile come Haffanger solo per aver dato a Ongmat un colpetto sul mento.

— Grazie a quel colpetto la mascella di Ongmat si è rotta in due punti.

— Bene, è stato un colpetto solido. — Glo rise affannosamente. — Ma tutti noi abbiamo sentito i benefici del fatto che Ongmat sia stato messo a tacere per un po’. — Ancora ridacchiando, sparì lungo il corridoio, mentre i suoi sandali ciabattavano sul pavimento a mosaico.

Lain portò il suo bicchiere di vino appena toccato alla scrivania e si mise a sedere, facendo girare il liquido scuro per creare disegni sulla superficie. L’appoggio umoristico di Glo alla violenza di Toller era abbastanza tipico del Lord, uno dei piccoli modi per ricordare ai membri dell’ordine filosofico che lui era di lignaggio reale, con il sangue dei conquistatori nelle vene. Questo dimostrava che cominciava a sentirsi meglio e che aveva recuperato la stima di se stesso, ma non serviva affatto a tranquillizzare Lain sulla salute fisica e mentale del vecchio.

Nello spazio di pochi anni Glo si era trasformato in un incompetente borbottante dalla mente svanita. La sua inadeguatezza alla carica che ricopriva era tollerata dalla maggior parte dei capi di dipartimento, qualcuno dei quali apprezzava l’accresciuta libertà personale che ne derivava, ma la posizione dell’ordine ne risentiva sempre più, e questo creava un senso generale di frustrazione. Il vecchio Re Prad conservava ancora per Glo un indulgente affetto, ma voci meno bonarie dicevano che, se la filosofia era arrivata a essere uno scherzo, era appropriato che fosse rappresentata da un buffone.

Ma non c’era niente di divertente nella riunione dell’alto consiglio, si disse Lain. Chi avesse presentato il piano per la conservazione dei brakka avrebbe dovuto farlo con abilità e decisione, esponendo argomenti complessi e sostenendoli con l’incontestabile autorità delle statistiche. Si sarebbe reso decisamente impopolare, attirandosi inoltre la particolare ostilità dell’ambizioso principe Chakkel e del crudele e potente Leddravohr.

Se Glo non fosse riuscito a documentarsi sull’argomento in tempo per la riunione, probabilmente avrebbe delegato un sostituto per parlare al suo posto, e il pensiero di dover affrontare Chakkel o Leddravohr, seppure solo verbalmente, produceva in Lain un panico freddo che minacciava di nuocere alla sua bile. Il vino del suo bicchiere stava ora riflettendo un disegno di tremolanti cerchi concentrici.

Mise giù il bicchiere e cominciò a respirare profondamente aspettando che cessasse il tremore delle sue mani.

4

Toller Maraquine si svegliò con la consapevolezza, nello stesso tempo sgradevole e confortante, di non essere solo nel letto.

Poteva sentire il calore del corpo della donna che giaceva alla sua sinistra, con un braccio appoggiato sul suo stomaco e una gamba tenuta alta sulle sue cosce. Le sensazioni erano fin troppo piacevoli per non essere familiari. Rimase disteso completamente immobile, fissando il soffitto, mentre cercava di ricordare le esatte circostanze che avevano portato una compagnia femminile nel suo austero appartamento della Casa Quadrata.

Aveva celebrato il suo ritorno con un giro delle affollate taverne del distretto di Samlue. L’escursione era cominciata presto il giorno precedente, e sarebbe dovuta durare solo fino al termine della piccola notte, ma la birra e il vino erano stati fin troppo persuasivi, e alla fine le sue conoscenze erano diventate ormai vecchi amici. Aveva continuato a bere per tutto il dopogiorno e poi fino a notte inoltrata, festeggiando la sua liberazione dall’odore dei paioli di pikonio, e a un certo punto aveva cominciato a notare che c’era la stessa donna vicino a lui nella calca, ora dopo ora, con una regolarità che non poteva certo essere considerata un caso.

Aveva i capelli fulvi ed era alta, con un seno pieno e le spalle e i fianchi larghi, proprio il tipo di donna che aveva sognato durante il suo esilio a Haffanger. E non aveva mai smesso di masticare sfacciatamente un ramoscello di semprevergine. Toller aveva un chiaro ricordo del viso di lei, rotondo, aperto e schietto, il colorito sulle guance acceso dal vino. Il suo sorriso era bianchissimo, appena deturpato da un minuscolo triangolo vuoto in uno degli incisivi superiori. Toller aveva trovato facile chiacchierare con lei, e ridere con lei, e alla fine passare la notte insieme gli era sembrata la cosa più naturale del mondo.

— Ho fame — disse lei all’improvviso, tirandosi su a sedere al suo fianco. — Voglio la colazione.

Toller lanciò uno sguardo al busto splendidamente nudo e sorrise. — E supponendo che prima io voglia qualcos’altro?

La donna sembrò seccata, ma solo per un istante, poi gli restituì il sorriso e si mosse per portare il suo seno a contatto con il petto di lui. — Se non stai attento ti farò* morire.

— Provaci, per favore — disse Toller mentre il suo sorriso si tra sformava in una smorfia di piacere. L’attirò a sé. Un piacevole tepore invase la sua mente e il suo corpo mentre, si baciavano, ma dopo un attimo un vago senso di disagio gli disse che qualcosa non andava. Aprì gli occhi e identificò immediatamente la fonte di quella sgradevole sensazione: il chiarore della stanza indicava che l’alba era passata da un pezzo. Quella era la mattina del giorno duecento, e lui aveva promesso a suo fratello che si sarebbe alzato alla prima luce per aiutare a trasportare un pannello sul suo cavalletto al Gran Palazzo. Era un compito da domestico che chiunque avrebbe potuto svolgere, ma Lain era sembrato ansioso che se ne occupasse lui, forse per evitargli di rimanere solo a casa con Gesalla mentre era in corso la riunione del consiglio. Gesalla!

Toller gemette quasi a voce alta ricordando che non l’aveva nemmeno vista, il giorno precedente. Era arrivato da Haffanger la mattina presto e dopo un breve colloquio con il fratello, durante il quale Lain era rimasto assorto nelle sue tabelle, era uscito direttamente per il suo giro di bevute. Gesalla, come solimoglie di Lain, era la padrona di casa e come tale doveva essersi aspettata che Toller le porgesse i suoi rispetti al pasto formale della sera. Un’altra donna avrebbe potuto non far caso a quella pecca di comportamento, ma l’esigente e inflessibile Gesalla doveva certamente essersi infuriata. Nel volo di ritorno a Ro-Atabri Toller aveva giurato solennemente che, per evitare di causare qualunque tensione in casa di suo fratello, avrebbe diligentemente cercato di comportarsi bene con Gesalla, e invece aveva cominciato con il fare un affronto già il primissimo giorno. Il tremolio di una lingua umida contro la sua improvvisamente gli ricordò che la sua infrazione al protocollo domestico era anche più grave di quanto Gesalla sapesse.

— Mi dispiace — disse sciogliendosi dall’abbraccio — ma adesso devi andare a casa.

La bocca della donna si piegò verso il basso. — Cosa?

— Avanti, sbrigati. — Toller si alzò, raccolse gli abiti di lei in un fagotto leggero e glieli mise tra le braccia. Aprì un armadio e cominciò a scegliere vestiti puliti per sé.

— Ma la mia colazione?

— Non c’è tempo, devo farti andare via da qui.

— Questa è davvero grande — disse lei aspra, cominciando ad armeggiare con fascette e pezzi di stoffa semitrasparente che costituivano il suo abbigliamento.

Ti ho detto che mi dispiace — ripetè Toller mentre lottava per entrare in un paio di calzoni che sembravano decisi a resistergli.