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— Cosa stai aspettando? — borbottò Sisstt. — Porta questa roba fuori da qui prima che il Re decida di farci scorticare. Il cammino per i corridoi e le alte stanze del palazzo sembrò due volte più lungo di prima. Quando Glo si fu ripreso a sufficienza per liberarsi delle mani che lo sorreggevano, Toller capì che la notizia della disgrazia dei filosofi li aveva preceduti come per magia e veniva commentata a bassa voce da ogni gruppo che oltrepassavano. Fin dall’inizio aveva intuito che Lord Glo non sarebbe stato in grado di assolvere alle sue funzioni, ma non aveva previsto che ne sarebbe nato un pasticcio di quella portata. Re Prad era famoso per l’informalità e la tolleranza con cui si occupava degli affari reali, ma Glo era riuscito a trasgredire talmente tante regole che il futuro dell’intero ordine risultava, ora seriamente compromesso. E per di più, il piano ancora in embrione di Toller di entrare un giorno nell’esercito procurandosi il favore di Leddravohr era completamente saltato, dal momento che il principe soldato aveva fama di non dimenticare né di perdonare, mai.

Raggiunto il cortile principale, Glo si liberò finalmente lo stomaco e avanzò con fare disinvolto verso il suo cocchio. Si fermò un attimo, si voltò a guardare il resto del gruppo, e disse: — Bene, non è andata troppo male, no. Credo di poter dire in tutta onestà di aver piantato un seme nella mente del…hmm… Re. Voi cosa ne pensate?

Lain, Hargeth e Duthon si scambiarono sguardi stupefatti, ma Sisstt parlò immediatamente: — Avete assolutamente ragione, mylord.

Glo fece un cenno d’assenso. — Questo è il solo modo per presentare una nuova idea, sapete. Pianta un piccolo seme e poi lascialo… hmm… germogliare.

Toller voltò le spalle, con una gran voglia di ridere nonostante tutto quello che era successo, e portò il cavalletto verso il suo blucorno legato. L’assicurò con una cinghia ai fianchi dell’animale, prese dalle mani di Quate e Locranan le tabelle arrotolate e si preparò a partire. Il sole era un po’ più che a metà strada dal margine orientale di Sopramondo: la durata dell’umiliazione era stata misericordiosamente breve, e lui aveva ancora il tempo di fare una colazione ritardata come primo passo per salvare il resto della giornata. Aveva messo un piede sulla staffa quando suo fratello apparve al suo fianco.

— Ma cos’hai nella testa? — chiese Lain. — Il tuo comportamento a palazzo è stato spaventoso, persino per i tuoi standard normali.

Toller rimase sconcertato. — Il mio comportamento?

— Sì! Nello spazio di pochi minuti ti sei inimicato due degli uomini più pericolosi dell’impero. Come hai fatto?

— È molto semplice — rispose Toller gelido. — Mi sono comportato da uomo.

Lain sospirò esasperato. — Ne discuteremo ancora quando saremo tornati a Greenmount.

— Non ne dubito. — Toller montò sul blucorno e lo incitò a procedere senza aspettare la carrozza. Nella cavalcata di ritorno verso la Casa Quadrata la sua irritazione nei confronti di Lain svanì, quando considerò la poco invidiabile posizione di suo fratello. Il Lord Filosofo stava screditando l’ordine, ma nella sua qualità di membro reale poteva essere destituito solo dal Re. Tentare di allontanarlo sarebbe stato perseguibile come atto di sedizione, e in ogni caso Lain era personalmente troppo leale verso di lui per criticarlo. Quando fosse divenuto di dominio pubblico che Glo aveva proposto di mandare navi su Sopramondo tutti coloro che erano legati a lui sarebbero diventati oggetto di derisione. E Lain avrebbe sopportato tutto in silenzio, ritirandosi ancora di più tra i suoi libri e i suoi diagrammi, mentre il diritto dei filosofi su Greenmount sarebbe diventato ogni giorno più precario.

Quando arrivò a casa la mente di Toller si era stancata dei pensieri astratti e cominciava a preoccuparsi del fatto che aveva fame. Non solo aveva saltato la colazione il giorno precedente, ma non aveva praticamente mangiato niente, e adesso sentiva un vuoto scalpitante nello stomaco. Legò il blucorno nel recinto e, senza scomodarsi a togliergli il carico, entrò subito in casa con l’intenzione di andare direttamente in cucina.

Per la seconda volta quella mattina si trovò inaspettatamente davanti Gesalla, che stava attraversando l’ingresso diretta verso il salone ovest. Si voltò verso di lui, abbagliata dalla luce che veniva dal passaggio a volta, e sorrise. Il sorriso durò solo un attimo, quel tanto che le bastò per riconoscerlo controluce, ma il suo effetto su Toller fu strano. Gli sembrò di vedere Gesalla per la prima volta, una dea dagli occhi luminosi come il sole, e in quell’istante si sentì inesplicabilmente come se avesse perso qualcosa, non beni materiali ma tutto il potenziale della vita stessa. La sensazione svanì in fretta com’era venuta, ma lo lasciò triste e stranamente mite.

— Oh, sei tu — disse Gesalla con voce fredda. — Pensavo che fosse Lain.

Toller sorrise, chiedendosi se avrebbe potuto iniziare un nuovo e costruttivo rapporto con lei.

— Uno scherzo della luce.

— Come mai sei di ritorno così presto?

— Ah… la riunione non è andata secondo il previsto. C’è stata qualche difficoltà. Te ne parlerà Lain; sta venendo a casa anche lui.

Gesalla scosse la testa e si mosse, ancora in piena luce. — Perché non puoi dirmelo tu? È stato qualcosa che ha a che fare con te?

— Con me?

— Sì. Avevo avvisato Lain di non lasciarti gironzolare vicino al palazzo.

— Bene, forse si sta stancando quanto me delle tue prediche torrenziali. — Toller cercò di smettere di parlare, ma una specie di febbre si era impossessata di lui. — Forse ha cominciato a pentirsi di aver sposato un pezzo di legno secco invece di una vera donna.

— Grazie. Passerò a Lain tutti i tuoi commenti. — Le labbra di Gesalla presero un’espressione ironica, mostrando che, ben lungi dall’essere ferita, era invece compiaciuta di aver provocato il genere di reazione incontrollata che forse avrebbe portato a bandire Toller dalla Casa Quadrata. — Devo dedurne che il tuo concetto di donna vera è incarnato dalla sgualdrina che sta aspettando nel tuo letto in questo momento?

— Puoi desumere… — Toller si accigliò, cercando di far capire che si era completamente dimenticato della sua compagna notturna. — Dovresti frenare la lingua! Felise non è affatto una sgualdrina.

Gli occhi di Gesalla scintillarono. — Il suo nome è Fera.

— Felise o Fera, non è una sgualdrina.

— Non voglio discutere di definizioni con te — disse lei, usando adesso toni fatui, freddi ed esasperanti. — Il cuoco mi ha detto che hai lasciato istruzioni perché alla tua… ospite venisse dato tutto il cibo che desiderava. E se quello che ha già mangiato durante l’antigiorno è un metro di valutazione, dovresti ritenerti fortunato di non doverla mantenere come moglie.

— Ma lo faccio! — Toller lo disse più che altro per ripicca, una frecciata, una reazione automatica, senza curarsi delle conseguenze. — Stavo cercando di dirti che ho dato a Fera lo status di mediamoglie prima di uscire, stamattina. Sono sicuro che imparerai presto ad apprezzare la sua compagnia nella conduzione della casa, e poi saremo tutti amici. Ora, se vuoi scusarmi…

Sorrise, assaporando lo sbigottimento e l’incredulità sul viso di Gesalla, poi si voltò e andò senza fretta verso la scala principale, cercando di nascondere a se stes so l’intontita confusione per quello che uno scatto d’ira aveva fatto alla sua vita. L’ultima cosa, che voleva era la responsabilità di una moglie, fosse anche di quarto grado, e poteva solo sperare che Fera avrebbe rifiutato la proposta che si era impegnato a offrirle.