Ma niente di tutto ciò aveva importanza per Dalacott nella sua passione febbrile. Poi era venuta la campagna Paladiana, che sarebbe dovuta essere breve ma che in realtà lo aveva costretto a rimanere separato da Aytha per quasi un anno. Poi era arrivata la notizia che lei era morta dando alla luce un figlio maschio. Il primo impulso di Dalacott era stato quello di rivendicare il bambino, mantenendo la parola data ad Aytha, ma poi erano intervenute le fredde voci della logica e dell’interesse personale. Che scopo c’era a macchiare il buon nome di Aytha, e nello stesso tempo pregiudicare la sua carriera e portare l’infelicità nella sua famiglia? Non ne avrebbe beneficiato nemmeno il ragazzo: molto meglio per Toller crescere tra le comodità e l’affetto di parenti e amici materni.
Alla fine Dalacott aveva scelto la razionalità. Non aveva neppure cercato di vedere suo figlio, e gli anni erano scivolati via, e le sue capacità lo avevano portato all’alto grado di generale. Ora, in quella tarda fase della sua vita, tutta la storia pareva emergere da un sogno e non gli portava più dolore, tranne il fatto che altre domande e dubbi avevano cominciato a turbare le sue ore di solitudine. Nonostante le sue affermazioni solenni, aveva realmente inteso sposare Aytha? Non si era sentito sollevato, magari inconsciamente, quando la morte di lei aveva eliminato la necessità di prendere una decisione in un senso o nell’altro? In breve, lui, il generale Risdel Dalacott, era l’uomo che aveva sempre creduto di essere? O era un…?
— Sei qui! — esclamò Conna, avvicinandosi con un bicchiere di vino di grano che mise a forza nella sua mano libera togliendogli dall’altra il succo di frutta. — Devi unirti agli ospiti, sai. Altrimenti sembrerà che ti consideri troppo famoso e importante per accettare i miei amici.
— Mi dispiace. — Le fece un sorriso di sbieco. — Più invecchio più guardo dentro al passato.
— Stavi pensando a Oderan?
— Stavo pensando a molte cose. — Dalacott sorseggiò il vino e andò con sua nuora a scambiare le solite parole con gli altri invitati. Notò che pochissimi di loro avevano una formazione militare, probabilmente un’indicazione dei reali sentimenti di Conna per l’organizzazione che le aveva preso il marito e che stava ora puntando gli occhi sul suo unico figlio. Lo sforzo della conversazione improvvisata con puri e semplici estranei era pesante per lui, e fu quasi con sollievo che accolse l’invito ad andare a tavola. Era suo dovere, adesso, tenere un breve discorso formale sulla maggiore età di suo nipote; poi sarebbe stato libero di confondersi in mezzo agli altri meglio che poteva. Aggirò il tavolo diretto verso la sedia dall’alto schienale addobbata con fiori di menta blu in onore di Hallie, e si accorse che non vedeva il ragazzo da un po’.
— Dov’è il nostro eroe? — disse ad alta voce un uomo.— Fate entrare l’eroe!
— Dev’essere andato in camera sua — disse Conna. — Vado a chiamarlo.
Con un sorriso di scusa si allontanò. Passò forse un minuto prima che ricomparisse sulla porta, con il viso lavato di ogni espressione, come congelato. Fece un segno a Dalacott e uscì di nuovo senza parlare. Lui la seguì, dicendosi che la sensazione di ghiaccio nel suo stomaco non significava niente, e camminò lungo il corridoio verso la camera di Hallie. Il ragazzo giaceva supino nel letto stretto. Il suo viso era bollente di febbre e brillante di sudore, e i suoi arti stavano facendo piccoli movimenti scoordinati.
“Non può essere”, pensò Dalacott atterrito mentre si avvicinava al letto. Guardò Hallie, vide il terrore nei suoi occhi, e seppe immediatamente che il tremito delle sue braccia e delle sue gambe erano inutili tentativi di muoversi normalmente. Paralisi e febbre!
“Non lo permetterò!”, gridò Dalacott dentro di sé mentre cadeva in ginocchio. “Non è permesso!”.
Mise la mano sul corpo magro di Hallie proprio sotto la cassa toracica: immediatamente trovò il gonfiore della milza, un indizio, e un gemito di vera e propria angoscia gli sfuggì dalle labbra.
— Hai promesso che avresti badato a lui — disse Conna con voce priva di vita. — È solo un bambino! Dalacott si alzò e la strinse per le spalle. — C’è un dottore qui?
— A cosa serve?
— So cosa pensi, Conna, ma Hallie non è mai stato a meno di venti passi da un globo e non c’era neanche un fil di vento. Ascoltando la sua stessa voce, la voce di uno sconosciuto, Dalacott cercava di convincersi sulla scorta dei dati di fatto. — Inoltre, ci vogliono due giorni perché la pterthacosi si sviluppi. Non può assolutamente accadere in questo modo. Adesso, c’è un dottore?
— Visigann — sussurrò lei, gli occhi traboccanti di lacrime che gli scrutavano il volto in cerca di speranza. — Lo farò venire. — Si voltò e corse fuori.
Starai benissimo, Hallie — disse Dalacott mentre si inginocchiava di nuovo vicino al nipote. Usò l’orlo di un copriletto per asciugare il sudore dal viso del ragazzo e fu atterrito nello scoprire che poteva davvero sentire il calore emanato dalla sua pelle madida. Hallie lo fissò in silenzio, con le labbra che tremarono quando cercò di sorridere. Dalacott notò che la bacchetta da ptertha Balliniana era posata sul letto. La prese e gliela mise in mano chiudendo le dita senza forza del ragazzo intorno al legno levigato, poi lo baciò sulla fronte. Lo baciò a lungo, come cercando di travasare la febbre che consumava il nipote nel suo proprio corpo, e solo lentamente si rese conto di due fatti strani: che Conna ci stava mettendo troppo a tornare con il dottore, e che una donna stava gridando da un’altra parte della casa.
— Torno subito, soldato — disse. Si alzò in piedi, come ipnotizzato, ripercorse la strada verso la sala da pranzo e vide che gli ospiti erano riuniti intorno a un uomo che giaceva sul pavimento.
L’uomo era Gehate, e dal suo colorito acceso e dal debole sussultare delle mani era evidente che era in uno stato avanzato di pterthacosi.
Mentre stava aspettando che venissero tolti gli ormeggi all’aeronave, Dalacott fece scivolare una mano in tasca e tastò il curioso oggetto senza nome che aveva trovato decenni prima sulle rive del Bes-Undar. Il suo pollice si muoveva in una traiettoria circolare sulla superficie lucente del ciottolo, levigato da anni di frizioni come quella, e lui tentava di farsi una ragione dell’enormità di quello che era successo nei nove giorni passati. Le semplici statistiche dicevano poco dell’angoscia che stava inaridendo il suo spirito.
Hallie era morto prima della fine della piccola notte del suo compleanno. Gehate e Ondobirtre erano stati sopraffatti dalla nuova terrificante forma di pterthacosi alla fine della giornata, e la mattina seguente aveva trovato morta anche Conna, per la stessa causa, nella sua stanza. Quella era stata la prima prova che la malattia era contagiosa, e le implicazioni stavano ancora cercando un ordine nella sua testa quando gli era arrivata la notizia della sorte toccata agli altri ospiti della festa.
Della quarantina di uomini, donne e bambini invitati alla villa, non meno di trentadue, e tutti i bambini, erano stati spazzati via la notte stessa. E ancora il flusso della morte non aveva esaurito il suo mortale potere. Il numero degli abitanti del villaggio di Klinterden e del distretto circostante era sceso da circa trecento ad appena sessanta nel giro di tre giorni. A quel punto l’invisibile assassino aveva apparentemente perso la sua virulenza, ed erano cominciati i funerali.
La navicella dell’aeronave traballò e dondolò un poco quando fu libera dagli ormeggi. Dalacott si avvicinò a un oblò e, sapendo che sarebbe stata l’ultima volta, guardò il panorama familiare di abitazioni dai tetti rossi, di frutteti, di campi striati di grano. Il suo placido aspetto mascherava i profondi cambiamenti di quei nove giorni, proprio come il suo inalterato aspetto fisico nascondeva il fatto che in nove giorni era diventato vecchio.