Passarono vari minuti prima che il principe apparisse in cima alla scala. Stava mangiando una coscia di pollo arrosto, e protrasse la scortesia continuando a rosicchiare l’osso in silenzio finché non lo ebbe spolpato tutto. Toller cominciò ad avere cupe premonizioni. Leddravohr gettò l’osso per terra, si pulì le labbra con il dorso della mano e lentamente scese le scale. Portava ancora la spada, un’altra inciviltà, e il suo viso liscio non mostrava alcun segno di stanchezza.
— Bene, Lord Glo, sembra che vi abbia tenuto qui tutto il giorno inutilmente. — Il tono di Leddravohr diceva chiaramente che non si stava scusando, — Ho imparato quasi tutto quello di cui avevo bisogno e per il resto ce la farò in mattinata. Molte altre faccende richiedono la mia attenzione, così, per evitare di perdere tempo andando avanti e indietro dal palazzo, stanotte dormirò qui. Vi terrete a disposizione per l’ora sesta. Posso stare certo che potrete muovervi per quell’ora?
— Sarò qui all’ora sesta, principe— disse Glo.
Buono a sapersi — replicò Leddravohr, giovialmente sarcastico. Passeggiò davanti ai suoi ospiti schierati, si fermò di fronte a Toller e Fera, e indirizzò loro un sorriso lampeggiante che non aveva niente a che vedere con l’allegria. Toller lo guardò più duramente possibile, mentre il suo presagio si tramutava nella certezza che quella giornata cominciata male stava per finire ancora peggio. Leddravohr spense il suo sorriso, tornò alla scala e cominciò a salire. Toller stava cominciando a dubitare della fondatezza dei suoi timori quando il principe si fermò sul terzo gradino.
— Cosa mi succede? — disse come riflettendo, dando la schiena al gruppo attento. — Il mio cervello è stanco, ma il mio corpo ha bisogno di scaricare energie. Vediamo: devo prendermi una donna, o no?
Toller, conoscendo già la risposta a quella domanda retorica, avvicinò la bocca all’orecchio di Fera. — È colpa mia — sussurrò.
— Leddravohr sa odiare più di quanto pensavo. Vuole usarti come un’arma contro di me, e non c’è niente che possiamo fare. Dovrai andare necessariamente con lui.
— Vedremo — disse Fera, mantenendo la sua compostezza.
Leddravohr tamburellò con le dite sulla ringhiera prolungando l’attesa, poi si voltò verso la sala.
— Tu — disse indicando Gesalla.
— Vieni con me.
— Ma…! — Toller fece un passo in avanti, rompendo la riga, il corpo simile a una colonna pulsante di sangue. Fissò Gesalla quasi con risentimento mentre lei toccava la mano di Lain e si avviava verso la scala con uno strano movimento ondeggiante, quasi fosse in trance e non comprendesse realmente quello che stava succedendo. Il suo bel viso era quasi luminescente nel suo pallore. Leddravohr la precedette e i due si persero nell’incerta penombra del piano superiore.
Toller si girò verso suo fratello.
— Quella è tua moglie… ed è incinta!
— Grazie dell’informazione — disse Lain con voce spenta, guardando Toller con occhi senza vita.
— Ma è tutto sbagliato!
— È l’uso Kolcorriano. — Incredibilmente, Lain riuscì ad atteggiare le labbra in un sorriso.
Ed è uno dei motivi per cui siamo disprezzati da ogni altra nazione del mondo.
— Chi se ne frega degli altri…?
— Toller si accorse che Fera, le mani sui fianchi, lo stava fissando con una furia che non faceva nulla per mascherare. — Che cosa ti prende?
— Forse se tu mi avessi denudata e gettata al principe le cose sarebbero andate come volevi tu — disse Fera a voce bassa e alquanto dura.
— Cosa vuoi dire?
— Voglio dire che non vedevi l’ora di vedermi andare con lui.
— Tu non capisci — protestò Toller. — Pensavo che Leddravohr volesse punire me.
— È esattamente quello che…
— Fera si interruppe per dare un’occhiata a Lain, poi si rivolse di nuovo a Toller. — Sei un pazzo, Toller Maraquine. Vorrei non averti mai incontrato. — Girò sui tacchi, improvvisamente altera, in un modo che lui non aveva mai visto prima, tornò in fretta nel salone e sbatté la porta.
Toller rimase a bocca aperta per un momento, perplesso, poi fece un giro nervoso intorno alla stanza e tornò da Lain e Glo. Quest’ultimo, con un’aria più esausta e fragile che mai, stringeva la mano di Lain.
— Cosa vuoi che faccia, ragazzo mio? — disse dolcemente. — Posso tornare al Peel se vuoi restare solo.
Lain scosse la testa. — No, mylord. È molto tardi. Se vorrete farmi l’onore di restare qui vi farò preparare una stanza.
— Molto bene. — Quando Lain se ne andò per dare istruzioni ai servitori, Glo girò la sua grande testa in direzione di Toller. — Non stai aiutando tuo fratello correndo in giro come un animale in gabbia.
— Non lo capisco — borbottò Toller. — Qualcuno dovrebbe fare qualcosa.
— Che cosa… hmm… suggeriresti?
— Non lo so. Qualcosa.
— Migliorerebbe la sorte di Gesalla se Lain si facesse ammazzare?
— Forse — disse Toller, rifiutandosi di usare la logica. — Potrebbe almeno essere fiera di lui.
Glo sospirò. — Aiutami a tro vare una sedia, e poi vai a prendermi un bicchiere di qualcosa di forte. Un nero di Kailian.
— Vino? — Toller rimase sorpreso nonostante il suo tumulto mentale. — Volete vino?
— Hai detto che qualcuno dovrebbe fare qualcosa, e questo è quello che farò io — rispose Glo tranquillamente. — Dovrai ballare alla tua stessa musica.
Toller aiutò il vecchio a sistemarsi su una sedia dallo schienale alto in un angolo della sala e andò a prendergli la sua coppa di vino, cercando d’inventarsi una giustificazione qualsiasi per tollerare l’intollerabile. Ma era un modo di pensare innaturale per lui, e ci volle un tempo che gli sembrò lunghissimo per trovare una scappatoia. “Leddravohr ci sta solo prendendo in giro” decise, attaccandosi a un filo di speranza. “Gesalla non può piacere a uno che è abituato a cortigiane esperte. La sta solo tenendo chiusa nel la sua stanza, e ride di noi. In effetti, può esprimere il suo disprezzo molto meglio sdegnando di toccare una qualunque delle nostre donne”.
Nell’ora che seguì Glo bevve quattro grandi bicchieri di vino, che diedero colore al suo viso e gli restituirono un po’ di energia. Lain si era ritirato nella solitudine del suo studio, sempre senza mostrare alcun segno di emozione, e Toller si sentì ancor più demoralizzato quando Glo annunciò il suo desiderio di ritirarsi. Sapeva che lui non avrebbe dormito e non aveva nessuna voglia di rimanere da solo con i suoi pensieri. Accompagnò Glo all’appartamento assegnatogli e lo aiutò in tutte le tediose procedure del bagno e del mettersi a letto, poi tornò nel lungo corridoio che collegava le stanze da letto principali. Udì dei rumori sommessi alla sua sinistra.
Si voltò e vide Gesalla che veniva verso di lui diretta alla sua camera. Gli abiti neri lunghi e svolazzanti e il viso sbiancato le davano un aspetto spettrale, ma il suo portamento era eretto e solenne. Era la stessa Gesalla Maraquine che lui aveva sempre conosciuto, fredda, riservata e indomita, e vedendola sentì una fitta di preoccupazione mista a sollievo. — Gesalla — disse, muovendo verso di lei, — stai…?