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Un giovane capitano uscì dal vicino recinto del settore amministrazione, si avvicinò a Toller nel buio luccicante di stelle e disse: — Tenente Maraquine, il generale vuole vedervi adesso.

Toller fece il saluto e seguì l’ufficiale verso una tenda che, inaspettatamente, era piuttosto piccola e disadorna. Il capitano lo fece entrare e se ne andò subito. Toller rimase sull’attenti davanti a un uomo magro, dall’aspetto austero, seduto a una scrivania portatile. Nella fioca luce di due lampade da campo i corti capelli del generale sarebbero potuti essere sia bianchi che biondi, e lui sembrava sorprendentemente giovane per essere un uomo con cinquantanni di distinto servizio.

Solo i suoi occhi sembravano vecchi, occhi che dovevano aver visto più di quello che era possibile sognare.

— Sedetevi, figliolo — disse. — Questo è un incontro assolutamente informale.

— Grazie, signore. — Toller prese la sedia indicata, mentre la sua perplessità cresceva.

— Vedo dalle vostre note caratteristiche che siete entrato nell’esercito meno di un anno fa come soldato semplice. So che i tempi sono cambiati, ma non è comunque strano per un uomo del vostro status sociale?

— E stata una decisione del principe Leddravohr.

— Leddravohr è un vostro amico?

Incoraggiato dai modi schietti ma amabili del generale, Toller si permise un sorriso ironico. — Non posso vantare questo onore, signore.

— Bene! — Dalacott sorrise a sua volta. — Così avete ottenuto il grado di tenente in meno di un anno solo grazie ai vostri meriti.

— Normali azioni di battaglia, signore. Non gli si può dare molto peso.

— Lo avranno invece. — Il generale fece una pausa per bere un sorso dalla coppa smaltata. — Perdonatemi se non vi offro niente da bere; questo è un infuso strano e dubito che sarebbe di vostro gusto.

— Non ho sete, signore.

Forse vi piacerebbe questo, invece. — Aprì un cassetto della sua scrivania e tirò fuori tre dischi al valore. Erano lamine circolari di brakka intarsiate di vetro bianco e rosso. Le porse a Toller. e si appoggiò allo schienale per osservare le sue reazioni.

— Grazie. — Toller passò le dita sui dischi e se li mise in tasca. — Sono onorato.

— Lo nascondete piuttosto bene.

Toller era imbarazzato e sconcertato. — Signore, non intendevo nessuna…

— È tutto a posto, figliolo — disse Dalacott. — Ditemi, la vita militare non è come ve l’aspettavate?

— Sin da quando ero bambino ho sognato di essere un guerriero, ma…

— Eravate preparato a pulire il sangue di un nemico dalla vostra spada, ma non pensavate ci avreste trovato sopra anche i resti del suo pranzo.

Toller affrontò apertamente lo sguardo del generale. — Signore, non capisco perché mi abbiate fatto venire qui.

— Penso che sia stato per darvi questo. — Dalacott aprì la mano destra rivelando un piccolo oggetto che gli fece cadere nel palmo.

Toller rimase sorpreso dal suo peso, dal massiccio impatto sulla sua mano. Avvicinò l’oggetto alla luce e guardò con curiosità il colore e la lucentezza della superficie levigata. Il colore era diverso da qualunque altro avesse mai visto prima, bianco ma in qualche modo più che bianco, e somigliava a quello del mare quando rifletteva indirettamente i raggi del sole. L’oggetto era tondeggiante come un ciottolo, ma sarebbe quasi potuto essere un teschio in miniatura, i cui dettagli fossero stati consumati dal tempo.

— Che cos’è? — chiese Toller. Dalacott scosse la testa. — Non lo so. Nessuno lo sa. L’ho trovato nella provincia di Redant molti anni fa, sulle rive del Bes-Undar, e nessuno è mai stato in grado di dirmi cosa sia.

Toller chiuse le dita intorno all’oggetto tiepido e si trovò involontariamente a sfregarvi sopra il pollice con lenti movimenti circolari. — Una domanda conduce a un’altra, signore. Perché volete che sia io ad averlo?

— Perché… — Dalacott gli fece uno strano sorriso. — Diciamo che ha fatto incontrare tua madre e me.

— Capisco — disse Toller, parlando meccanicamente ma comprendendo davvero, mentre le parole del generale penetravano nella sua mente, e come un’onda violenta e pulita che cambia l’aspetto di una spiaggia inserivano frammenti dei suoi ricordi in nuovi disegni. Erano disegni poco familiari ma neppure totalmente estranei, perché erano rimasti sepolti nei suoi vecchi schemi, e avevano semplicemente bisogno di un bello scossone per venire a galla. Cadde un lungo silenzio, rotto solo dal leggero rumore scoppiettante di una cimice oleosa che urtò il tubo a fiamma della lampada e scivolò giù nel serbatoio. Toller fissò solennemente suo padre, cercando di sentire qualche emozione, ma dentro di lui c’era solo torpore.

— Non so cosa dire — ammise infine. — Questo è arrivato così… tardi.

— Più tardi di quanto tu pensi.

— Di nuovo, l’espressione di Dalacott si fece enigmatica quando portò la coppa alle labbra. — Avevo molte ragioni, alcune solo egoistiche, per non farti sapere, Toller. Hai qualcosa da rimproverarmi?

— Nulla, signore.

Ne sono felice. — Dalacott si alzò. — Non ci incontreremo di nuovo, Toller. Vuoi abbracciarmi… per una volta… come un uomo abbraccia suo padre?

— Padre. — Toller si alzò e strinse le braccia intorno all’anziana figura dritta come una spada. In quel breve momento di contatto avvertì nel respiro di suo padre un vago sentore di spezie. Diede uno sguardo alla coppa che aspettava sul tavolo, fece un rapido collegamento mentale, e quando si separarono per tornare a sedere c’era un leggero pizzicore nei suoi occhi.

Dalacott sembrava calmo, del tutto composto. — Ora, figliolo, cosa farai dopo? Kolcorron e i suoi nuovi alleati, i ptertha, hanno ottenuto la loro gloriosa vittoria. Il tuo mestiere di soldato è quasi finito, quindi cos’hai pensato per il tuo futuro?

— Credo che non ci si aspettasse che avessi un futuro — disse Toller. — C’è stato un tempo in cui Leddravohr mi avrebbe ammazzato di persona, ma è successo qualcosa, qualcosa che non capisco. Mi ha fatto entrare nell’esercito e penso che contasse sui Chamtethani per fare il lavoro al suo posto.

— Non ha difficoltà per occupare i suoi pensieri e scaricare le sue energie, sai — continuò il generale. — C’è un intero continente da saccheggiare, semplicemente come preliminare alla costruzione della flotta di migrazione. Forse Leddravohr ti ha dimenticato Io non ho dimenticato lui.

— Vuoi ucciderlo?

— Ci ho pensato. — Toller rivide le impronte di sangue sul pavimento a mosaico, ma la visione era diventata sfocata, sepolta sotto centinaia di immagini di carneficina. — Ora non so più se la spada sia la risposta a tutto.

— Sono sollevato nel sentirtelo dire. Anche se Leddravohr non è certo entusiasta del piano di migrazione, lui è probabilmente l’uomo migliore per condurlo al successo. E possibile che il futuro della nostra razza posi sulle sue spalle.

— Sono consapevole di questa possibilità, padre.

— E senti anche di poter risolvere perfettamente i tuoi problemi senza i miei consigli. — Una smorfia cupa torse le labbra del generale. — Penso che mi sarebbe piaciuto averti vicino. Ora, cosa rispondi alla mia domanda originaria? Non hai proprio nessuna idea per il tuo futuro?

— Mi piacerebbe pilotare una nave per Sopramondo — disse Toller. — Ma credo che sia un’ambizione irrealizzabile.

— Perché? La tua famiglia deve avere una certa influenza.

— Mio fratello è il capo consulente nel progetto delle astronavi, ma è inviso al principe Leddravohr quasi quanto me.

— E una cosa che desideri davvero, pilotare un’astronave? Vuoi veramente salire per migliaia di miglia nel cielo? Con solo un pallone, qualche corda e pochi pezzi di legno a sorreggerti?