Toller rimase sorpreso dalla domanda. — Perché no?
— Davvero, una nuova età porta avanti nuovi uomini — disse Dalacott piano, come parlando a se stesso. Poi le sue maniere divennero brusche. — Devi andare adesso. Devo scrivere delle lettere. Ho una qualche influenza su Leddravohr, e molta su Carranald, il capo dei Servizi Aerei dell’Esercito. Se hai le attitudini necessarie piloterai un’astronave.
— Di nuovo, padre, non so cosa dire. — Toller si alzò, ma era riluttante ad andarsene. Erano successe tante cose nello spazio di appena qualche minuto, e la sua incapacità di rispondere lo riempiva di una colpevole sensazione di fallimento. Come poteva incontrare e dire addio a suo padre quasi nello stesso respiro?
— Non voglio che tu dica niente, figliolo. Accetta soltanto il fatto che io ho amato tua madre e… — Dalacott si interruppe, con un’espressione sorpresa, e scrutò l’interno della tenda come se sospettasse la presenza di un intruso.
Toller era preoccupato. — Stai male?
— Non è niente. La notte è troppo lunga e buia in questa parte del pianeta.
- Forse se ti sdraiassi — disse Toller, muovendo qualche passo verso di lui.
Il generale Risdel Dalacott lo fermò con uno sguardo. — Lasciatemi ora, tenente.
Toller salutò formalmente e uscì dalla tenda. Mentre stava chiudendo la falda dell’entrata vide che suo padre aveva preso in mano la penna e aveva già cominciato a scrivere. Toller lasciò cadere il lembo sul triangolo debolmente illuminato, su quell’immagine che filtrava attraverso le pieghe trasparenti di probabilità, di vite non vissute, di storie che non si sarebbero dovute raccontare mai. Cominciò a piangere subito allontanandosi nel buio pieno di stelle. Pozzi profondi di emozione erano rimasti chiusi troppo a lungo, e le sue lacrime erano tanto più abbondanti perché liberate così tardi.
13
La notte, come sempre, era il tempo dei ptertha.
Marnn Ibler era nell’esercito da quando aveva quindici anni e, come molti soldati in servizio da lungo tempo, aveva sviluppato un superbo sistema d’allarme personale che lo avvertiva infallibilmente quando uno dei globi era vicino. Non era realmente consapevole di quella vigilanza, e anche quand’era esausto o ubriaco sapeva come per istinto quando i ptertha stavano passando nelle sue vicinanze.
Fu così che si trovò a essere il primo uomo a cogliere i segnali di un ulteriore cambiamento nella natura e nei modi dell’antico nemico della sua gente.
Era di guardia notturna al grande campo base permanente della Terza Armata, a Trompha, nel Middac meridionale. Il servizio non richiedeva molta attenzione. Solo poche unità di sostegno erano state lasciate indietro quando Kolcorron aveva invaso Chamteth; la base era sicura, vicina al cuore dell’imperò, e nessuno se non un pazzo si sarebbe avventurato fuori di notte in aperta campagna.
Ibbler era con due giovani sentinelle che si stavano lamentando amaramente e diffusamente del cibo e della paga. Lui era segretamente d’accordo con loro sul primo punto, mai nella sua esperienza le razioni dell’esercito erano state così magre e indigeste, ma come tutti i vecchi soldati controbatteva ai loro reclami con i racconti delle privazioni delle campagne precedenti. Era vicino allo schermo interno, oltre il quale si estendeva la zona cuscinetto di trenta iarde, e poi lo schermo esterno. Attraverso i reticolati erano visibili le fertili pianure del Middac che si allungavano a occidente fino all’orizzonte, illuminato da un gibboso Sopramondo.
Non avrebbe dovuto esserci alcun movimento nel buio, tranne il balenio quasi continuo delle stelle cadenti, quindi, quando i sensi finemente sintonizzati di Ibbler colsero un impercettibile spostamento di ombra su ombra seppe subito che si trattava di un ptertha. Non ne parlò nemmeno ai suoi compagni, loro erano al sicuro sotto la doppia barriera, e continuò la conversazione come prima, ma una parte della sua coscienza era adesso impegnata altrove.
Un momento dopo notò un altro ptertha, poi un terzo, e in un minuto aveva individuato otto globi che formavano un gruppo unico. Galleggiavano a cavallo di una leggera brezza di nord-est, e sparirono alla vista poco più in là, alla sua destra, dove la parallasse si fondeva ai fili verticali della rete in qualcosa di simile a una stoffa a trama fitta.
Ibbler, guardingo ma non ancora preoccupato, aspettò che i ptertha riapparissero nel suo campo visivo. Incontrando lo schermo esterno i globi, obbedendo alla corrente d’aria, avrebbero seguito la loro strada verso sud, lungo il perimetro del campo e infine, non avendo trovato nessuna preda, si sarebbero dispersi e spostati verso la costa sud-occidentale e il Mare di Otollan.
Stavolta, però, sembravano comportarsi in modo imprevedibile.
Passarono alcuni minuti senza che i globi ricomparissero, e i giovani compagni di Ibbler notarono che lui non partecipava più alla conversazione.Risero divertiti quando lui spiegò a cosa stava pensando, e decisero che i ptertha, supponendo che fossero esistiti fuori dell’immaginazione di Ibbler, dovevano essere entrati in una corrente d’aria che si stava alzando in quel momento per andare a finire sopra i tetti a rete del campo. Per evitare di essere classificato come una vecchia isterica, Ibbler lasciò cadere la questione, sebbene fosse raro che i ptertha volassero così in alto quando erano vicino agli umani.
La mattina seguente quattro sterratori furono trovati morti di pterthacosi nella loro baracca. Anche il soldato che li trovò morì, come pure altri due che furono presi dal panico prima che scattassero le misure d’emergenza e che tutti i presunti contaminati fossero avviati lungo la Strada Luminosa.
Fu Ibbler che notò che la capanna degli sterratori era sottovento, vicino al punto in cui i ptertha avrebbero dovuto raggiungere il reticolato, la notte precedente. Ottenne un colloquio con il suo ufficiale comandante e espose la sua teoria che i ptertha si fossero autodistrutti in massa contro lo scudo esterno, producendo una nube di polvere tossica così concentrata da restare attiva anche oltre il margine di sicurezza standard di trenta iarde. Fu ascoltato con molto scetticismo, ma in capo a pochi giorni lo stesso fenomeno si ripetè in numerose località.
Nessuno dei successivi attacchi ptertha fu così ben contenuto come a Trompha, e ci furono centinaia di morti prima che le autorità si rendessero conto che la guerra tra Kolcorron e i ptertha era entrata in una nuova fase.
La popolazione ne sentì l’effetto in due modi. Le zone cuscinetto furono raddoppiate di misura, ma non c’era più alcuna garanzia della loro efficacia. La brezza leggera e stabile era la condizione atmosferica più temuta, perché poteva trasportare nubi invisibili di polvere velenosa per un lungo tratto prima che la concentrazione cadesse al di sotto dei valori mortali. Ma anche con un vento burrascoso e variabile uno sciame di ptertha abbastanza consistente avrebbe potuto stendere la furtiva mano della morte su un bambino addormentato, e nello spazio di un mattino un intero nucleo famigliare sarebbe rimasto contagiato.
Un altro elemento che contribuì a falcidiare la popolazione fu l’ulteriore calo della produzione agricola. Regioni che già avevano carenza di cibo cominciarono a sperimentare immediatamente la fame. Il sistema tradizionale del raccolto continuo ora si ritorceva contro i Kolcorriani, che non avevano mai sviluppato alcuna tecnica d’immagazzinamento a lungo termine per il grano e altri cereali commestibili. Magre riserve dicibo imputridirono o vennero attaccate dalla peste in granai frettolosamente improvvisati, e malattie indipendenti dai ptertha riscossero il loro tributo di vite umane.
Il trasferimento di enormi quantità di cristalli d’energia da Chamteth a Ro-Atabri avvenne per tutto il periodo della crisi, che continuava a peggiorare, ma stavolta le organizzazioni militari non ne uscirono indenni. Non soltanto le cinque armate furono lasciate a Chamteth, ma fu loro negato il rientro a Kolcorron e nelle patrie province, ebbero l’ordine di prendere residenza permanente nella Terra dei Lunghi Giorni, dove i ptertha, quasi sentissero la loro vulnerabilità, sciamavano in numero sempre crescente. Solo le unità adibite all’abbattimento delle foreste di brakka e al trasporto via nave dei carichi di cristalli rimasero sotto la calotta protettiva dell’alto comando di Leddravohr.