In quel momento il globo era a quasi quattrocento iarde dalla nave e sembrava verosimile che sarebbe rimasto a quella distanza poiché le rispettive posizioni erano governate dallo stesso flusso d’aria. Toller sapeva, comunque, che il solo movimento sul quale i ptertha avevano un certo grado di controllo era quello verticale.
L’osservazione attraverso telescopi calibrati aveva dimostrato che un ptertha poteva governare la propria posizione aumentando o diminuendo le dimensioni, alterando così la sua densità, e Toller era interessato a portare avanti un doppio esperimento che avrebbe potuto essere utile alla flotta di migrazione.
— Non perderlo di vista — disse a Zavotle. — Sembra che si stia tenendo alla nostra stessa quota, e se è così vuol dire che può sentire la nostra presenza già a quella distanza. Voglio anche scoprire quanto può salire prima di doversi fermare.
— Molto bene, capitano. — Zavotle alzò il suo binocolo e lo puntò diligentemente sul ptertha.
Toller diede un’occhiata al suo mondo circoscritto, immaginandosi quanto si sarebbe ristretto con un pieno carico di venti persone. Il reparto passeggeri consisteva in due stretti scompartimenti isolati da alte tramezze situati ai lati opposti della navicella per ragioni di equilibrio. Ognuno avrebbe dovuto ospitare nove persone, stipate al massimo, senza avere possibilità né di sdraiarsi né di muoversi comodamente, e alla fine del lungo viaggio le loro condizioni fisiche non sarebbero state certo invidiabili.
Un angolo della navetta ospitava la cambusa, e quello diametralmente opposto una rudimentale stanza da bagno, in pratica un buco nel pavimento più qualche sanitario. Le quattro postazioni dell’equipaggio erano in mezzo, attorno al bruciatore e al reattore di propulsione, rivolto verso il basso. La maggior parte del poco spazio rimanente era occupato dalle casse di pikonio e alvelio, anch’esse ai lati opposti della navicella, dalle scorte di viveri e da contenitori di attrezzi vari.
Toller poteva prevedere che il viaggio interplanetario, come tante altre avventure gloriose passate alla storia, si sarebbe svolto in un clima di squallore e degradazione, un vero e proprio test di resistenza fisica e mentale al quale non tutti sarebbero sopravvissuti. In contrasto con la navicella angusta e spartana, la parte superiore dell’astronave era spaziosa in modo quasi offensivo, imponente, una forma gigantesca senza sostanza. I pannelli di lino dell’involucro erano stati dipinti di marrone scuro per assorbire il calore del sole e guadagnare di conseguenza una spinta maggiore, ma quando Toller guardò dentro, attraverso la bocca del pallone, poté vedere la luce riflessa dalla stoffa. Le cuciture e i nastri di carico orizzontali e verticali formavano una trama geometrica di linee nere e facevano risaltare l’ampiezza delle curvature. Lassù c’era la cupola di garza di una cattedrale tra le nuvole, impossibile da associare all’umile lavoro manuale di tessitori e cucitori.
Soddisfatto della stabilità della nave e della sua ascesa graduale, Toller diede ordine di ritirare i quattro montanti di accelerazione e di assicurarli agli spigoli della navicella. Flenn portò a termine il compito in pochi minuti, e in quel modo l’insieme del pallone e della navicella raggiunse il limite massimo di leggerezza e rigidità strutturale compatibile con le modeste forze che avrebbe dovuto fronteggiare quando sarebbero entrati in azione il reattore di propulsione o quelli di governo.
Attaccata con un gancio volante alla stazione di pilotaggio c’era la fune di sgonfiamento, dipinta di rosso, che attraversava il pallone fino alla corona, un pannello in cima che poteva essere rimosso per svuotare in fretta tutta la mongolfiera. Oltre a costituire un dispositivo d’emergenza, la corda rossa era anche un rudimentale indicatore della velocità di salita, che si afflosciava quando un flusso d’aria verticale spingeva in basso la corona. Toller passò un dito sulla fune e stimò che stavano salendo a circa dodici miglia l’ora, aiutati dal fatto che il gas migligno era un po’ più leggero dell’aria anche da freddo. Quella velocità sarebbe quasi raddoppiata, più tardi, grazie al reattore di propulsione, quando fossero entrati nell’atmosfera rarefatta quasi senza gravità del punto medio.
Dopo trenta minuti di volo la nave torreggiava sopra la sommità del Monte Opelmer e aveva smesso di andare alla deriva verso est. La provincia giardino di Kail si allungava a sud fino all’orizzonte, con le sue fattorie a strisce che disegnavano un mosaico scintillante, ogni tessera striata di sfumature diverse dal giallo al verde. A ovest c’era il Mare di Otollan; a est l’Oceano Mirlgiver, con le sue distese blu macchiate qua e là di navi a vela.Le montagne ocra di Kolcorron Superiore riempivano il panorama a nord, e la prospettiva faceva apparire compatte le catene, le gole, gli anfratti, i picchi. Alcune aeronavi che percorrevano le rotte commerciali luccicavano come piccoli gioielli ellittici.
Da un’altitudine di circa sei miglia l’aspetto di Mondo era talmente bello e sereno da togliere il fiato. Solo la relativa scarsità di mezzi di trasporto poteva far pensare che quel panorama immerso nella benevola luce del sole, era in realtà un campo di battaglia, un’arena nella quale il genere umano aveva combattuto e perso un duello mortale.
Toller, come ormai d’abitudine quando era immerso nei suoi pensieri, localizzò il curioso oggetto datogli da suo padre e strofinò il pollice sulla liscia superficie. Secondo il ritmo normale della storia, si, chiese quanti secoli sarebbero dovuti passare prima che gli uomini si fossero avventurati nel viaggio verso Sopramondo? E avrebbero mai fatto quello che stavano facendo, se non fossero stati scacciati dai ptertha?
Il pensiero dell’antico e implacabile nemico lo spinse a guardarsi intorno e a controllare la posizione del globo solitario che aveva avvistato poco prima. Era sempre alla stessa distanza dalla nave, e, cosa più significativa, stava mantenendo la sua velocità ascensionale. Poteva essere una prova di sensibilità e volontà? Se era così, perché i ptertha avevano scelto l’uomo come oggetto della loro ostilità? Perché ogni altra creatura su Mondo, con l’eccezione del gibbone di Sorka, era immune dalla pterthacosi?
Quasi avesse percepito il rinnovato interesse di Toller per il globo, Zavotle abbassò il binocolo e disse: — Vi sembra più grande, capitano?
Toller prese il suo binocolo e studiò la sagoma violacea, scoprendo però che la trasparenza vanificava i suoi tentativi di definirne i contorni. — Difficile da dire.
— La piccola notte calerà presto — commentò Zavotle. — Non mi piace l’idea di avere quell’affare sospeso intorno a noi con il buio.
— Non credo si avvicinerà; inoltre la nave ha più o meno la forma di un ptertha, e la nostra risposta a un vento di traverso sarà praticamente la stessa.
— Spero che abbiate ragione — disse Zavotle cupamente.
Dal suo posto al cannone Rillomyner guardò indietro. — Non mangiamo dall’alba, capitano. — Era un giovane pallido e tozzo con un appetito insaziabile anche per il più vile dei cibi. Si diceva addirittura che avesse guadagnato peso da quando erano cominciate le restrizioni alimentari, ingurgitando tutta la roba scadente scartata dai compagni di lavoro. Nonostante ispirasse poca fiducia, era un buon meccanico, e molto fiero delle sue capacità.