Aspettando che calasse l’oscurità, Toller e gli altri investigarono il miracolo della mancanza di peso. C’era un vago fascino nel sospendere piccoli oggetti nel vuoto e vederli mantenere le loro posizioni, a dispetto degli insegnamenti di tutta una vita, finché l’ultimo getto d’aria dal reattore di propulsione non li faceva tardivamente precipitare.
“È quasi come se il reattore ristabilisse in qualche modo una frazione del loro peso naturale”, diceva l’annotazione di Zavotle nel giornale di bordo, “ma certo questo è uno strano modo di guardare a un fenomeno. La reale spiegazione è che essi sono invisibilmente fissati in un dato posto, e che la spinta del reattore impedisce alla nave di spostarli”.
La piccola notte arrivò più bruscamente che mai, avvolgendo la navicella in un buio ingioiellato e striato di fuoco, e per tutta la sua durata i quattro conversarono in toni sereni, ricreando l’atmosfera della loro prima notte di volo, illuminata dalla luce delle stelle. Il discorso passava dai pettegolezzi sulla vita alla base della SAS alle speculazioni sulle cose strane che potevano trovare su Sopramondo, e ci fu anche un tentativo di prevedere i problemi di un volo a Oltremondo, che si poteva vedere, simile a una lanterna verde, sporgendosi a ovest. Nessuno si sentiva disposto, notò Toller, a soffermarsi sul fatto di trovarsi sospesi tra due mondi, in una fragile scatola aperta, con migliaia di miglia di vuoto tutt’intorno.
Notò anche che l’equipaggio aveva smesso di rivolgersi a lui come al capitano, per il momento, e non ne era dispiaciuto. Sapeva che non era una diminuita considerazione della sua necessaria autorità, ma un inconscio riconoscimento del fatto che quattro uomini come tanti altri si stavano avventurando nell’ignoto nella regione dello straordinario, e che nel loro mutuo bisogno l’uno dell’altro erano uguali.
Un lampo di colori fece di nuovo spuntare il giorno.
— Avete parlato di brandy, Capitano? — disse Rillomyner.
— Mi è appena venuto in mente che un po’ di calore interno potrebbe rinforzare questo mio maledetto stomaco delicato. Le proprietà medicinali del brandy sono ben conosciute.
— Il brandy al prossimo pasto.
— Toller strizzò gli occhi e si guardò intorno, ristabilendo i rapporti con la storia. — Ora dobbiamo spegnere la nave.
Era stato contento di scoprire che la predetta instabilità della nave, dentro e vicino alla zona senza peso, era facile da vincere e da controllare con i reattori laterali. Occasionali ascensioni di mezzo secondo erano state sufficienti per mantenere la navicella nell’allineamento desiderato con le stelle maggiori. Adesso, però, la nave, o l’universo, doveva essere messa di prua. Portò il serbatoio pneumatico al massimo della pressione prima di mandare i cristalli nel reattore di destra, per tre secondi interi. Il suono proveniente dal minuscolo foro fu divorato dall’infinito.
Per un momento sembrò che la piccola emissione non avrebbe avuto alcun effetto sulla massa della nave, poi, per la prima volta dall’inizio dell’ascensione, il grande disco di Sopramondo fu in piena vista da dietro la curvatura del pallone. Un crescendo di fuoco lo illuminava sul bordo, e toccava quasi il sole.
Nello stesso tempo Mondo si alzò sopra il parapetto della navetta, dalla parte opposta, e mentre la resistenza dell’aria vinceva gli impulsi del reattore la nave si stabilizzò in una posizione che offrì all’equipaggio la visione di due pianeti.
Voltando la testa, da una parte Toller poteva vedere Sopramondo, quasi completamente al buio per la sua vicinanza al sole; dall’altra c’era la convessità stupefacente del suo pianeta natale, sereno ed eterno, immerso nel sole tranne che per l’orlo orientale, dove una fetta sempre più piccola giaceva ancora nella piccola notte. Osservò rapito mentre l’ombra di Sopramondo lo liberava, sentendosi come sul fulcro di una leva di luce, un motore intangibile che aveva il potere di muovere i mondi.
— Per carità, capitano — gridò raucamente Rillomyner, — mettete la nave a dritta!
— Non c’è pericolo. — Toller accese di nuovo il reattore laterale e Mondo si spostò maestosamente in alto per nascondersi poi dietro il pallone mentre Sopramondo scivolava sotto il bordo della navicella.Il montante scricchiolò molte volte mentre lui azionava il reattore opposto per assestare la nave nella sua nuova posizione. E si permise un sorriso di soddisfazione, lieto di essere il primo uomo della storia a capovolgere una astronave. La manovra era stata effettuata in fretta e senza incidenti, e da quel momento in poi la maggior parte del lavoro sarebbe toccata alle forze naturali.
— Prendi nota — disse a Zavotle. — Punto medio superato con successo. Non prevedo altri ostacoli nella discesa su Sopramondo.
Zavotle liberò la sua matita dal gancio che la tratteneva. — Stiamo ancora congelando, capitano. — Questo non è un “altro” ostacolo. Se necessario bruceremo qualche cristallo proprio qui sul ponte. — Toller, improvvisamente contento e ottimista, si rivolse a Flenn. — Come ti senti? Il tuo mal di testa da alta quota può far fronte ai nostri bisogni?
Flenn sorrise. — Se è cibo che volete, capitano, io sono il vostro uomo. Giuro che ho il buco del sedere con le ragnatele.
— In questo caso, guarda se puoi organizzare qualcosa da mangiare. — Toller sapeva che l’ordine era particolarmente gradito, perché per più di un giorno l’equipaggio aveva deciso di tirare avanti senza cibo né acqua per evitare l’indegnità, la scomodità e la spiacevolezza di usare il bagno in virtuale mancanza di peso.
Guardò con occhio benevolo Flenn che spingeva di nuovo il caròle nel suo caldo santuario dentro i vestiti e si slegava dalla sedia. L’ometto faceva evidentemente fatica a respirare mentre si dirigeva verso la cambusa, ma le sfere nere dei suoi occhi scintillavano di buon umore. Riapparve giusto in tempo per porgere a Toller la piccola fiasca di brandy inclusa negli approvvigionamenti della nave, poi sparì per un lungo periodo, durante il quale si poteva sentirlo trafficare con gli attrezzi da cucina, ansimando e imprecando senza sosta. Toller bevve un sorso di brandy e aveva appena passato la fiasca a Zavotle quando si rese conto che Flenn stava cercando di preparare un pasto caldo.
— Non c’è bisogno di scaldare niente — gridò. — Carne secca e pane saranno sufficienti.
— Va tutto bene, capitano — fu la risposta ansimante di Flenn. — Il carbone è ancora acceso… ed è solo questione di… di sventolarlo abbastanza forte. Vi servirò… un vero e proprio banchetto. Un uomo ha bisogno di un buon… Accidenti!
Subito dopo l’ultima parola dalla cambusa provenne un grande acciottolio di stoviglie. Toller si voltò in tempo per vedere un pezzo di carbone incandescente salire verticalmente nell’aria da dietro la tramezza. Roteando pigramente, avvolto in una fiamma giallo chiaro, salì in alto e sfiorò uno dei pannelli curvi inferiori del pallone. Proprio quando sembrava che fosse stato deviato nel blu senza conseguenze, fu catturato da una corrente d’aria che lo riportò indietro, verso l’intersezione tra l’involucro e un montante di accelerazione. Si fermò proprio nella giuntura, bruciando ancora.
— E mio! — urlò Flenn. — Lo prenderò!
Sbucò all’angolo della navicella, e senza agganciarsi salì sul montante a tutta velocità, usando solo le mani in un curioso salto senza peso. Il cuore e la mente di Toller si gelarono quando vide un fumo brunastro alzarsi dalla stoffa verniciata del pallone. Flenn raggiunse il tizzone ardente, e lo afferrò con la mano guantata. Lo gettò via con un movimento laterale del braccio e improvvisamente anche lui si staccò dalla nave, galleggiando nell’aria sottile. Con le mani che cercavano inutilmente di aggrapparsi al montante, fluttuò lentamente verso l’esterno.