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— Dieci nobili in più all’uomo che farà tacere il prete — disse Leddravohr, riaffermando il suo disgusto per tutti i mercanti di superstizioni e in particolare per quelli troppo codardi per partecipare di persona alla carneficina senza scopo.

Portò la mano all’elmetto e rimosse il cappuccio che aveva, nascosto il pennacchio rosso. I giovani tenenti che comandavano le altre tre coorti avrebbero notato il lampo di colore appena lui fosse uscito dalla foresta. Leddravohr si tenne pronto ad agire mentre il quarto paio di foglie si rizzava e si chiudeva intorno al tronco del brakka, dolce come l’abbraccio di un’amante. La donna legata sulla cima dell’albero rimase improvvisamente immobile, forse svenuta, forse pietrificata dal terrore. Un tangibile, pulsante silenzio scese sulla radura. Leddravohr sapeva che la camera di combustione dell’albero era già in attività, che la mistura di cristalli verdi e rossi era ormai pronta, che l’energia così creata poteva essere trattenuta solo per pochi secondi…

Il rumore dell’esplosione, benché diretta in alto, fu spaventoso. Il tronco del brakka si squarciò e fremette mentre la scarica di polline veniva proiettata verso il cielo, una vaporosa colonna qua e là tinta di sangue, circondata da anelli di fumo.

Leddravohr sentì il terreno sollevarsi sotto di lui per l’onda d’urto che si propagava nella foresta circostante, e subito dopo era in piedi e correva. Assordato dal terrificante boato dello spostamento d’aria, doveva affidarsi solo ai suoi occhi per valutare il grado di sorpresa nell’attacco. A sinistra e a destra poteva vedere i pennacchi arancione degli elmetti di due dei suoi tenenti, con dozzine di soldati che emergevano dagli alberi dietro di loro. Direttamente davanti a lui i Gethani stavano fissando incantati l’albero sacrificale, le cui foglie stavano già cominciando a srotolarsi, ma potevano accorgersi del pericolo da un secondo all’altro. Il principe era ormai a metà strada dalla guardia più vicina, e a meno che l’uomo non si fosse voltato in fretta, sarebbe morto senza nemmeno sapere cosa l’avesse colpito.

L’uomo si voltò. Il viso contorto, la bocca piegata in basso, mentre gridava l’allarme. Battè il piede destro su qualcosa nascosto nell’erba. Leddravohr sapeva che era la versione Gethana di un cannone, un tubo di brakka montato su una rampa bassa utile solo come arma anti-uomo. II piede della guardia aveva fatto a pezzi una capsula di vetro o di ceramica nella culatta attivando la carica di cristalli di energia ma, e questo era il motivo per cui Kolcorron non si curava delle armi di questo genere, prima dello sparo c’era un intervallo inevitabile. Ma per quanto breve fosse, non impedì a Leddravohr di compiere un’azione diversiva.Gridando un avvertimento ai soldati dietro di lui, girò verso destra e arrivò sul Gethano di fianco, proprio mentre il cannone faceva fuoco e scagliava il suo ventaglio di ciottoli e frammenti di roccia a crepitare sull’erba. La guardia era riuscita ad estrarre la spada, ma l’attenzione per il sacrificio l’aveva distratto dai suoi compiti e reso impreparato al combattimento. Leddravohr, senza nemmeno rompere la corsa, calò su di lui con un unico colpo sul collo e si gettò in mezzo alla confusione di figure umane nella radura.

Lo scorrere del tempo normale si fermò per Leddravohr mentre si faceva strada verso il centro dello spiazzo. Era solo vagamente consapevole dei suoni della battaglia, sottolineati dagli spari di un altro cannone. Almeno due dei Gethani che aveva ucciso erano giovani donne, qualcosa di cui i suoi uomini avrebbero potuto lagnarsi più tardi, ma lui aveva visto troppi buoni soldati perdere la vita cercando di fare distinzione tra i sessi durante una battaglia.

Modificare un colpo mortale in uno che stordisse soltanto comportava quell’attimo d’incertezza che poteva ridurre l’efficienza di combattimento, e bastava un batter di ciglia perché una lama nemica trovasse il suo bersaglio.

Alcuni Gethani stavano cercando di fuggire, solo per essere abbattuti o ricacciati indietro dai Kolcorriani che li circondavano. Altri stavano lottando meglio che potevano, ma la loro concentrazione sulla cerimonia era stata fatale e ora scontavano duramente la loro mancanza di vigilanza. Un gruppo di indigeni con i capelli intrecciati e strani tatuaggi sulla pelle si rifugiarono tra i nove alberi di brakka al centro e usarono i tronchi come fortificazioni naturali. Leddravohr vide due dei suoi uomini riportare serie ferite, ma la resistenza dei Gethani fu di breve durata. Intralciati dalla scarsità di spazio, erano un facile bersaglio per i soldati armati di picca della seconda coorte.

Tutto d’un tratto la battaglia finì.

Passata l’ebbrezza del massacro e riacquistata la calma, gli istinti più freddi di Leddravohr si rimisero all’erta. Scrutò i dintorni per essere sicuro di non trovarsi in pericolo personale e che le sole persone ancora in piedi fossero soldati Kolcorriani e donne Gethane catturate, poi alzò lo sguardo al cielo. Prima, nella foresta, lui e i suoi uomini erano stati al sicuro dai ptertha, ma ora erano all’aperto ed esposti a qualche rischio.

Il globo celeste che si presentava al suo sguardo sembrava strano a un nativo di Kolcorron. Lui era cresciuto con l’enorme e nebbiosa sfera di Sopramondo sospesa proprio sopra la testa, ma lì, sulla Penisola di Loongl, il pianeta gemello risultava spostato a ovest. Leddravohr poteva vedere il cielo aperto sopra di lui e questo gli dava una sensazione sgradevole, come se avesse lasciato un fianco scoperto in un piano di battaglia. Non avrebbe visto nessuno spettro luminoso bluastro spostarsi lentamente sullo sfondo disegnato di stelle mattutine, comunque, e decise che era meglio tornare a occuparsi del lavoro che aveva sotto mano.

La scena tutt’intorno gli era abituale, piena di un miscuglio di suoni familiari. Alcuni Kolcorriani si stavano gridando l’un l’altro battute volgari mentre si muovevano intorno ai Gethani feriti che uccidevano subito e raccoglievano trofei della battaglia. Gli indigeni avevano poco che potesse essere considerato di valore, ma le loro bacchette anti-ptertha a forma di “Y” sarebbero state un’interessante curiosità da mostrare nelle taverne di Ro-Atabri. Altri soldati stavano ridendo e schiamazzando mentre spogliavano la dozzina, più o meno, di donne Gethane che erano state prese vive. Era un’attività legittima a quel punto: uomini che avevano combattuto bene avevano diritto ai premi di guerra, e Leddravohr prestò solo l’attenzione sufficiente ad assicurarsi che nessuno fosse passato ad azioni più concrete.

In questo tipo di territorio un contrattacco nemico poteva scatenarsi molto in fretta, e un soldato in calore era una delle creature più inutili dell’universo.

Railo, Nothnalp e Chravell, i tenenti che avevano guidato le altre coorti, si avvicinarono al principe. La pelle dello scudo rotondo di Railo era malamente squarciata, e c’era una fasciatura rossa di sangue sul suo braccio sinistro, ma lui sembrava in forma e di ottimo umore. Nothnalp e Chravell stavano pulendo le loro spade con degli stracci, rimuovendo ogni traccia di sporco dagli intarsi di smalto delle lame nere.

— Un’operazione di successo, se non mi sbaglio — disse Railo, facendo a Leddravohr l’informale saluto da campo.

Leddravohr annuì. — Quante perdite?

— Tre morti e undici feriti. Due dei feriti sono stati colpiti dal cannone. Non vedranno la piccola notte.

— Prenderanno la Strada Luminosa?

Railo sembrava offeso. — Certamente.

— Parlerò con loro prima che vadano — disse Leddravohr. Da buon pragmatista senza credenze religiose dubitava che il suo saluto significasse qualcosa per i soldati morenti, ma era il tipo di gesto che sarebbe stato apprezzato dai loro camerati. Come il suo permettere persino al più basso soldato semplice di parlargli senza le adeguate forme di appellativo, quello era uno dei modi con cui conservava l’affetto e la lealtà delle truppe.

Era lui il solo a sapere che i suoi motivi erano eminentemente pratici.

— Attacchiamo subito il villaggio Gethano? — Chravell, il più alto dei tenenti, rimise la spada nel fodero. — È a poco più di un miglio verso nord-est, e loro probabilmente hanno sentito il fuoco del cannone.

Leddravohr considerò la questione. — Quanti adulti ci sono ancora nel villaggio?

— Praticamente nessuno, secondo gli esploratori. Sono venuti tutti qui a vedere lo spettacolo. — Chravell diede una breve occhiata in alto agli anonimi brandelli di carne e ossa che penzolavano dalla cima dell’albero sacrificale.

— In questo caso il villaggio ha cessato di essere una minaccia militare ed è diventato un bene economico. Datemi una mappa. Leddravohr prese il foglio che gli porgevano e si appoggiò su un ginocchio per aprirlo sul terreno. La mappa era stata disegnata poco tempo prima da un gruppo di rilevazione aerea e metteva in risalto gli aspetti locali che interessavano ai comandanti Kolcorriani, misura e ubicazione degli insediamenti. Gethani, topografia, fiumi, e, cosa fondamentale dal punto di vista strategico, la distribuzione dei brakka nelle varie fasce boschive. Leddravohr la studiò con attenzione, poi delineò i suoi piani.

Circa venti miglia dopo il villaggio c’era una comunità molto più grande, codificata G31, capace di mettere in campo, secondo la stima, circa trecento uomini abili. Il terreno in mezzo sembrava a dir poco difficile. Era densamente boscoso, intersecato da ripide catene di monti, crepacci e torrenti a regime vorticoso; tutte cose che contribuivano a farne un incubo per i soldati Kolcorriani, tendenzialmente portati alla guerra in pianura.

— I selvaggi devono venire da noi — annunciò Leddravohr. — Una marcia forzata attraverso quel tipo di terreno stancherebbe qualunque uomo, quindi prima arriveranno meglio sarà per noi. Devo dedurre che questo per loro è un posto sacro?

— Il santo dei santi — rispose Railo. — È molto raro trovare nove brakka così vicini.

— Bene! La prima cosa che faremo sarà di buttare giù gli alberi. Date ordine alle sentinelle che lascino che qualche abitante del villaggio si avvicini abbastanza da vedere cosa sta succedendo, polli lascino andare via di nuovo. E appena prima che scenda la piccola notte mandate un distaccamento a bruciare il villaggio, giusto per far capire il messaggio. Se saremo fortunati i selvaggi saranno così esausti, quando arriveranno qui, che avranno appena la forza sufficiente per continuare a correre verso le nostre spade.

Leddravohr concluse la sua esposizione verbale, deliberatamente semplicistica, ridendo e lanciando di nuovo la mappa a Chravell. Era sua opinione che i Gethani di G31, anche se indotti a una difesa affrettata, sarebbero stati ossi più duri degli abitanti del villaggio della pianura. La battaglia futura, oltre a servire da esperienza ai tre giovani ufficiali, avrebbe dimostrato ancora una volta che a quarantanni lui era un soldato migliore di altri che ne avevano la metà. Si alzò respirando profondamente e con piacere, impaziente di vedere il resto di un giorno cominciato bene.

Nonostante lo stato d’animo rilassato, l’abitudine radicata lo spinse a controllare il cielo. Non si vedeva nessun ptertha, ma lui si allarmò per una traccia di movimento che indovinò in una di quelle fette verticali d’azzurro delineate dagli alberi, verso occidente. Tirò fuori il suo binocolo da campo, lo puntò sul più vicino squarcio di luce e subito dopo colse il fugace bagliore di un’aeronave che volava a bassa quota.

Si stava evidentemente dirigendo verso il centro di comando, a circa cinque miglia, nella zona occidentale della penisola. Il vascello era troppo lontano perché Leddravohr ne fosse certo, ma gli sembrava di aver visto l’emblema della piuma e della spada sul fianco. Corrugò la fronte, cercando di immaginare quale circostanza stesse portando uno dei messaggeri di suo padre in una regione così remota.

— Gli uomini sono pronti per la colazione — disse Nothnalp, togliendosi l’elmetto dal pennacchio arancione per potersi asciugare il sudore dal collo. — Due fette extra di maiale salato non farebbero male, anche con questo caldo.

Leddravohr annuì. — Suppongo che se lo siano meritati.

— Vorrebbero anche cominciare con le donne.

Non finché non metteremo al sicuro la zona. Assicuratevi che sia ben pattugliata, e fate avanzare immediatamente i fanghisti; voglio quegli alberi a terra, e in fretta. — Leddravohr si allontanò dai tenenti e cominciò un giro d’ispezione nella radura. Il rumore predominante era adesso quello delle donne Gethane che gridavano insulti nella loro barbara lingua, ma i fuochi delle cucine stavano cominciando a scoppiettare e si poteva distinguere la voce di Railo che gridava ordini ai capi plotone pronti per uscire di pattuglia.

Vicino alla base di uno dei brakka c’era una bassa piattaforma di legno, imbrattata di verde e giallo con i pigmenti opachi usati dai Gethani. Sulla piattaforma il corpo nudo di un uomo dalla barba bianca, giaceva con il busto coperto di numerose ferite di pugnale. Leddravohr immaginò che il morto fosse il sacerdote che aveva diretto la cerimonia del sacrificio, e la sua supposizione fu confermata quando notò il sergente maggiore Reeff e un soldato semplice che parlavano vicino alla rudimentale impalcatura. Le voci dei due uomini non si sentivano, ma stavano discutendo con la peculiare foga che i soldati riservavano all’argomento denaro, e Leddravohr comprese che stavano per giungere a un accordo. Aprì le cinghie della corazza e si sedette su un ceppo, aspettando di godersi le astuzie che avrebbe inventato Reeff. Un momento dopo il sergente maggiore mise il braccio intorno alle spalle dell’altro e lo guidò fino a lui.

— Questo è Soo Eggezo — disse Reeff. — Un buon soldato. È quello che ha fatto tacere il sacerdote.

— Buon lavoro, Eggezo.