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Il ptertha riempì l’universo di Lain.

Era dappertutto, e poi non era da nessuna parte. Lui tirò un profondo respiro, e si guardò intorno con lo sguardo placidamente dolente di chi ha solo un’ultima decisione da prendere.

“Non qui”. “Non in questo posto cieco e stretto, non è assolutamente adatto”.

Ricordando il pendio più in alto, quello con il panorama a est, tornò sui suoi passi lungo il letto dell’antico corso d’acqua, andando lentamente adesso, e sospirando ogni tanto. Quando raggiunse la china si sedette per terra con la schiena contro un masso piacevolmente modellato, e si aggiustò la tunica in pieghe precise intorno alle gambe divaricate.

Il mondo del suo ultimo giorno si estendeva davanti a lui. Il profilo triangolare del Monte Opelmer galleggiava basso nel cielo, apparentemente staccato dai nastri orizzontali e dalle bande chiazzate che erano Ro-Atabri e la periferia derelitta sulle spiagge della Baia di Arle. Più vicino, e più in basso, si vedeva la comunità artificiale della Caserma Astronavi, dozzine e dozzine di capannoni per i palloni, un’illusoria città di torri rettangolari. L’Albero scintillava nel cielo meridionale, con le sue nove stelle che sfidavano la brillantezza del sole, e allo zenit un largo crescendo di luce calda si stava diffondendo insensibilmente dal disco di Sopramondo.

“Tutta la mia vita e il mio lavoro sono in quell’affresco”, rifletté Lain. “Ho portato il mio materiale da scrittura e potrei provare a buttar giù qualcosa… non che gli ultimi pensieri di un uomo che ha causato la sua stessa fine in maniera così stupida possano essere di qualche interesse o valore per altri… al massimo potrei registrare quello che già si sa, che la pterthacosi non è una brutta morte… per come può essere la morte, cioè… la natura può essere misericordiosa… come i più orribili morsi di squalo spesso non sono dolorosi… l’inalazione della polvere può qualche volta generare uno strano stato d’animo, la rassegnazione, un fatalismo chimico… da questo punto di vista almeno mi sembra di essere fortunato… tranne che sono privato di sensazioni che sono mie per antico diritto…”

Un forte bruciore si localizzò subito sotto il suo petto e gli insinuò tentacoli a raggiera in tutto il torace. Contemporaneamente l’aria intorno gli sembrò diventata più fredda, come se il sole avesse perso il suo calore. Mise una mano in una tasca della tunica, tirò fuori una piccola sacca di lino giallo e se l’aprì in grembo. Aveva un dovere finale da compiere, ma non ancora.

“Vorrei che Gesalla fosse qui… Gesalla e Toller… così da poterli dare l’uno all’altra, o chiedergli di accettarsi l’un l’altra… ironia su ironia… Toller avrebbe sempre voluto essere diverso, più simile a me… e quando lui è diventato il nuovo Toller, io sono stato obbligato a diventare il vecchio Toller… con lo scopo finale di gettare via la mia vita in nome dell’onore, un gesto che avrei dovuto fare prima che la mia bella solisposa fosse violentata, dissacrata da Leddravohr… Toller aveva ragione, e io, nella mia cosiddetta saggezza, gli ho detto che sbagliava… e Gesalla sapeva nella sua mente che ave va torto, e nel suo cuore che aveva ragione…”

Una fitta di dolore gli dilagò nel petto, accompagnata da un attacco di brividi. Il panorama davanti a lui si era fatto curiosamente piatto. C’erano più ptertha, adesso. Stavano scendendo verso la pianura in gruppi di due o tre, ma non dimostravano nessun interesse per quello che era rimasto della sua vita. E per lui, quel flusso simile a un sogno di pensieri frammentari, era la nuova realtà.

“Povero Toller… è diventato quello che aspirava di essere, e come l’ho ricompensato?… con risentimento e invidia… l’ho ferito il giorno del funerale di Glo, forte del fatto che lui mi vuole bene, ma lui ha risposto al mio infantile dispetto con dignità e pazienza… i brakka e i ptertha vanno insieme… voglio bene al mio fratellino e mi chiedo se Gesalla si sia già accorta che anche lei… certamente brakka e ptertha vanno insieme, è un legame simbiotico… adesso capisco perché non avevo cuore di volare su Sopramondo… il futuro è là, e il futuro appartiene a Gesalla e Toller… potrebbe essere questa la vera ragione del mio rifiuto a cavalcare con Leddravohr… il mio diritto a scegliere da solo la mia Strada Luminosa?… stavo aprendo la strada a Toller?… asportando un fattore che non quadrava dall’equazione?… le equazioni significavano tanto per me…”

Il fuoco nel suo petto stava diventando più caldo, si espandeva, lo faceva respirare con fatica. Lain sudava abbondantemente eppure si sentiva la pelle mortalmente fredda, e il mondo era soltanto una scena dipinta su una stoffa ondeggiante. Era tempo per il cappuccio giallo.

Lain lo alzò con dita impacciate e se lo mise sulla testa, un avvertimento per chiunque passasse di lì che lui era morto di pterthacosi e che il suo corpo non doveva essere avvicinato per almeno cinque giorni. Le fessure per gli occhi non erano al posto giusto, ma lui lasciò ricadere le mani lungo i fianchi senza aggiustarle, contento di rimanere in un universo personale di giallo senza aperture e senza forma.

Tempo e spazio correvano insieme in quel microcosmo che non aveva bisogno di niente.

“Sì, avevo ragione sulle pitture della caverna… il cerchio rappresenta un ptertha… un ptertha incolore… uno che non ha ancora sviluppato le sue tossine specializzate… chi è che una volta mi ha chiesto se i ptertha erano rosa?… e cos’ho risposto?… ho detto che il bambino nudo non ha paura del globo perché sa che non gli farà del male?… so di aver sempre dato fastidio a Toller almeno per una cosa, per la mia mancanza di coraggio fisico… la mia indifferenza per l’onore… ma adesso lui può essere fiero di me… Vorrei poter essere lì a vedere la sua faccia quando sentirà che ho preferito morire piuttosto che cavalcare con… non è strano che la risposta all’enigma dei ptertha sia sempre stata lì, ben chiara e visibile nel cielo?… l’Albero e il cerchio di Sopramondo, il simbolo del ptertha, coesistenti in armonia… le scariche dell’impollinazione dei brakka alimentano i ptertha con… con che cosa?… polline, verdi e rossi, migligno?… e a loro volta i ptertha allontanano e distruggono i nemici dei brakka… Toller dovrebbe essere protetto dal principe Leddravohr… crede di essere come lui, ma io temo… temo di non aver detto a nessuno dei brakka e dei ptertha!… da quanto lo so?… questo è un sogno?… dov’è la mia bella Gesalla? posso ancora muovere le mani?… posso ancora…

17

Il principe Leddravohr prese uno specchio e corrugò la fronte davanti alla sua immagine. Anche quando risiedeva al Gran Palazzo preferiva evitare l’aiuto di camerieri personali, per la sua toilette, e passava un bel po’ di tempo, la mattina, ad affilare il rasoio di brakka e ad ammorbidirsi la barba ispida con l’acqua calda. Anche stavolta, infastidito, vide che si era procurato le solite abrasioni sulla gola. Non c’erano tagli veri e propri, ma minuscole goccioline di sangue stavano trasudando dalla pelle, e più le asciugava più in fretta ricomparivano.

“Ecco il risultato di vivere come una signorina viziata”, si disse premendosi un pezzo di stoffa umida sulla gola e decidendo di vestirsi dopo aver fermato quell’odioso sanguinamento. Lo specchio, due lastre di vetro a rifrazione differenziata attaccate insieme, era quasi del tutto riflettente, ma quando si mise davanti alla finestra poté discernere il suo brillante rettangolo nel sandwich di vetro, che apparentemente occupava lo stesso spazio del suo corpo.