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— Cosa state aspettando? — Leddravohr puntò l’indice a terra, significando così che voleva il Lord Prelato in ginocchio. — Conoscete la punizione per l’alto tradimento. Avanti!

Hippern, la faccia impassibile sotto il bordo dell’elmetto decorato, parlò di nuovo ai militari vicino a lui e un attimo dopo un corpulento sergente maggiore corse verso i due soldati che trattenevano Balountar. Il Lord Prelato raddoppiò i suoi sforzi per liberarsi, e il suo corpo vestito di nero si dibatteva in contorsioni inumane mentre i suoi catturatori lo gettavano a terra. Alzò la faccia verso di loro e le sue labbra si allargarono in un tentativo di maledizione o di preghiera, creando un bersaglio, che il sergente scelse senza pensarci troppo. La lama entrò nella bocca di Balountar e uscì sotto la base del suo cranio, spezzando la spina dorsale, mettendo fine alla sua vita in un batter di ciglia. I due soldati lasciarono il corpo e si allontanarono, mentre dalla folla si alzava un gemito di costernazione. Un grosso sasso volò nell’aria e cadde nella polvere vicino ai piedi di Leddravohr.

Per un momento il principe sembrò volersi lanciare di persona contro la folla, deciso ad attaccarla anche a mani nude. Poi si rivolse al sergente maggiore. — Tagliategli la testa. E mettetela su una picca, in modo che i suoi seguaci possano continuare a guardare in alto verso di lui.

Il sergente annuì e fece il suo sudicio lavoro con la destrezza calma di un macellaio, e in un minuto la testa di Balountar era stata innalzata su una picca legata al cancello. Rivoletti di sangue colavano lungo il bastone.

Ci fu un momento interminabile di assoluto silenzio, un silenzio che rimbombava nelle orecchie, e sembrò che si fosse arrivati a un’impasse. Poi divenne pian piano evidente che la situazione non era affatto statica, e chi stava dentro la base vide che il semicerchio di terreno libero al di là del cancello si stava lentamente restringendo. Nessuno, nella folla, sembrava muovere i piedi, ma tutti stavano avanzando, come statue spinte in avanti da un’inesorabile pressione. La forza di quella pressione si dimostrò più chiaramente quando un pezzo della staccionata a destra del cancello si spezzò e cominciò a inclinarsi all’intèrno.

— Chiudete il cancello! — gridò il colonnello Hippern.

— Lasciate il cancello! — disse Leddravohr contraddicendo il colonnello. — L’esercito non scappa davanti a un manipolo di civili! Ordinate ai vostri uomini di ripulire l’intera zona.

Hippern deglutì, mostrando il suo disagio, ma affrontò direttamente lo sguardo di Leddravohr. — La situazione è difficile, principe. Questo è un reggimento locale, quasi tutti provengono da RoAtabri stessa, e gli uomini non accetteranno l’idea di andare contro i loro.

— Vi ho sentito bene, colonnello? — Leddravohr cambiò la sua presa sulla spada e un lampo di luce bianca gli brillò negli occhi. — Da quando in qua i comuni soldati sono diventati arbitri degli affari di Kolcorron?

La gola di Hippern si gonfiò di nuovo, ma il coraggio non lo abbandonò. — Da quando hanno fame, principe. È sempre stato così.

Inaspettatamente, Leddravohr sorrise. — Questo è il vostro giudizio professionale, vero, colonnello? Ora guardate bene, sto per insegnarvi qualcosa sulla natura del comando. — Si voltò, fece qualche passo verso la tripla fila di soldati in attesa e levò alta la sua spada.

— Disperdete la plebaglia! — gridò, puntando la lama in direzione della folla che avanzava. — I soldati ruppero i ranghi immediatamente e si gettarono contro i dimostranti, e il relativo silenzio che aveva pervaso la scena si spezzò in un improvviso boato. La folla si fece indietro, ma invece di fuggire in completo disordine si riunì subito dopo a breve distanza e fu allora che emerse un fatto significativo, che solo un terzo dei soldati aveva obbedito all’ordine di Leddravohr. Gli altri si erano mossi appena e stavano fissando con aria infelice i loro ufficiali. Anche quelli che avevano attaccato la folla sembravano farlo in una maniera rassegnata, e malvolentieri. Si lasciavano sopraffare senza sforzo, e perdevano le loro armi con tale facilità che erano diventati una specie di self-service per il gruppo in rivolta. Scoppiò un’ovazione quando una larga sezione della strada coperta venne abbattuta e la sua intelaiatura strappata in alto per far passare anche altre armi…

L’altro Leddravohr, freddo, » etereo e distaccato, osservò con scarso interesse il corporeo, carnale Leddravohr che correva verso un tenente dalla faccia infantile e gli ordinava di guidare i suoi uomini contro la folla. Il tenente scosse il capo rifiutando di obbedire e un secondo dopo era a terra, quasi decapitato da un fendente del principe. Leddravohr aveva perso la sua umanità, aveva cessato di sentire e di agire come un essere umano.Con la testa in avanti, la spada nera che sgocciolava schizzi rosseggianti, si lanciò tra i suoi ufficiali e i suoi uomini come un demone, facendone strage.

“Quanto può durare tutto questo?”, meditò l’altro Leddravohr. “Non c’è limite a quello che gli uomini possono sopportare?”

La sua attenzione fu. presto attirata da un altro avvenimento. Il cielo a est si stava velocemente oscurando, mentre colonne di fumo salivano da varie zone della città. Poteva significare solo che gli schermi anti-ptertha stavano bruciando, che qualche membro della comunità guidato dall’ira e dalla frustrazione aveva elevato l’estrema protesta contro l’ordine vigente.

Il messaggio era chiaro: sarebbe crollato tutto insieme. I ricchi come i derelitti. Il Re come il povero.

Al pensiero del Re, solo e indifeso al Gran Palazzo, l’indifferenza dell’altro Leddravohr si disintegrò. Aveva un dovere urgente e vitale, una responsabilità la cui importanza superava di gran lunga quella di uno scontro che coinvolgeva qualche centinaio di cittadini e di soldati.

Fece un passo verso la sua essenza complementare, ed ebbe la netta sensazione di precipitare, uno sfocamento di tempo e spazio…

Il principe Leddravohr Neldeveer aprì gli occhi su un fiotto violento di luce solare. L’elsa della spada era bagnata nelle sue mani, e intorno a lui c’erano i rumori del tumulto e i colori della carneficina. Osservò la scena per un momento, sbattendo le palpebre Mentre cercava di orientarsi in una realtà diversa, poi rinfoderò la spada e corse verso il blucorno in attesa.

18

Toller rimase immobile a fissare il corpo incappucciato di giallo per circa dieci minuti, poi si domandò come avrebbe fatto ad assorbire quel colpo.

“È stato Leddravohr”, pensò. “Questo è il raccolto che mieto per aver permesso a quel mostro di restare vivo. Ha abbandonato mio fratello ai ptertha!”.

Il sole dell’antigiorno era ancora basso, ma nell’aria senza vento il fianco roccioso della collina stava già cominciando a emanare calore. Toller era diviso fra passione e prudenza, il desiderio di correre verso il corpo di suo fratello e la consapevolezza di dover rimanere a distanza di sicurezza. Nonostante le lacrime che gli velavano gli occhi vide qualcosa di bianco spiccare sul petto infossato di Lain trattenuto dalla corda alla cintura della tunica grigia e da una mano sottile.

“Carta? Potrebbe essere”, il cuore di Toller affrettò il battito a quel pensiero. “Un’accusa contro Leddravohr?”

Prese il binocolo che portava con sé da quando era ragazzo e lo puntò sul rettangolo bianco. Le lacrime e il forte riflesso della luce rendevano difficili da leggere le parole scarabocchiate, ma alla fine riuscì a decifrare le ultime parole di suo fratello:

PTERTHA AMICI DEI BRAK. UCCID NOI PERCHÉ NOI UCCID I BRAK. BRAK ALIMENTANO PTERTH. A LORO VOLTA P. PROTEGGE B. CHIARO— ROSA — VIOLACEO P.