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— Sì — rispose Nia.

Lui brontolò, poi fece il gesto delle scuse. — Dimenticavo chi sei. — Tacque un istante e aggrottò la fronte. Poi parlò di nuovo. — Dimmi dove sarai, Nia. Vuoi davvero accoppiarti col primo uomo che capita, uno qualsiasi? Potrebbe essere un uomo da poco. Potrebbe essere vecchio o pazzo. Chissà che specie di figlio uscirà?

Nia guardò l’uccello che cuoceva sul fuoco. La pelle si stava dorando. Era coperto dal grasso liquido, che luccicava. Rigirò l’uccello, poi si volse verso Inzara. — Te l’ho detto, non voglio più figli. Inoltre, sono stanca di fare le cose in modi nuovi e insoliti. Voglio essere normale per un po’ di tempo.

Inzara fece il gesto che significava "non è probabile che succeda".

— Inoltre, non mi va che altre persone facciano progetti per me. Io faccio quello che voglio.

— E vuoi essere normale — fu il commento di Inzara. Si alzò e si stiracchiò. Uh! Era enorme! La sua pelliccia luccicava alla luce del fuoco. Altrettanto facevano i suoi gioielli. — Mi porti al di là del fiume?

— Perché vuoi andare?

— Le persone senza pelo hanno edificato un villaggio a sud di qui sul Lago Lungo. Voglio vederlo.

— Perché? Non potrai entrarci.

— Le persone senza pelo mi cacceranno via?

Nia rifletté un momento. — No.

— Posso sopportare la gente. Guardami adesso. Sono seduto a parlare con te, e non è il periodo degli accoppiamenti. Se il villaggio sembra interessante, forse entrerò. Ara vuole informazioni. Io sono quello che va d’accordo con la gente, così sono venuto io. Ma è lui quello curioso.

Mangiarono l’uccello terrestre. Inzara prese una coperta e andò dietro la casa. Dormì per terra accanto al suo animale. Nia dormì dentro la tenda. Sognò il villaggio della gente senza peio. Si trovava dentro il villaggio e si aggirava fra le grandi case rotonde e scolorite. C’erano anche Inzara e altre persone che non riconosceva. Alcune di loro erano persone vere, persone con la pelliccia. Altre erano come Li-sa e Deragu.

Al mattino traghettò Inzara sull’altra sponda del fiume. — Non c’è una buona pista lungo il fiume. Dovrai andare a ovest sulla pianura e poi girare a sud.

Lui fece il gesto che significava che aveva capito.

Nia tornò alla casa di Tanajin.

Trascorsero altri giorni. Ci fu parecchia pioggia. Caddero le foglie. Il sole si spostò a sud. Quando era visibile, era del pallido colore invernale. Stava diventando affamato, come solevano dire le vecchie, benché questo non avesse alcun senso per Nia. Il sole era una fibbia. Lo sapevano tutti. L’aveva fatto la Signora della Fucina e l’aveva donato allo Spirito del Cielo, che lo portava sulla sua cintura. Com’era possibile che una fibbia avesse fame?

Non c’era nessuno che potesse rispondere alla sua domanda.

Da ovest arrivò un gruppo di viaggiatrici: donne del Popolo dell’Ambra, che tornavano a casa. Erano silenziose e sembravano turbate. Nia non domandò loro il perché. Le traghettò e loro le diedero una coperta fatta di pelliccia maculata e una pentola di stagno.

Il tempo si faceva sempre più freddo. Ora c’era ghiaccio nelle paludi: sottile e delicato. Lo si trovava nelle prime ore del mattino ed entro mezzogiorno era sparito. Se lo toccava, si spezzava. Aiya! Era simile alle tazze per bere delle persone senza pelo o ai loro strani pezzi di ghiaccio quadrati e cavi.

Il sole si spostò ancora più a sud. Il cielo era basso e grigio. Una mattina Nia udì un tuono, ma non vide niente.

Un’altra isola, pensò. Che saliva o scendeva. Quante ce n’erano ormai nel lago? Dove andavano quando partivano?

Inzara tornò. Accese un fuoco e Nia andò a prenderlo.

— Non ce l’ho fatta. Ho visto le loro barche e i loro carri. Ero consapevole che mio fratello avrebbe voluto saperne di più, ma non sono riuscito a farmi forza per entrare nel villaggio. Neppure dopo che l’uomo senza pelo mi ha invitato.

Nia fece il gesto della domanda.

— Quello che ho incontrato prima. Deragu. Mi ha trovato sulla scogliera sopra il villaggio. Abbiamo parlato. Ha detto che altre persone, persone vere, erano venute a guardare il villaggio ma non erano entrate. Non molte. Tre o forse quattro. Mi ha chiesto di portarti un messaggio.

— Sì?

— Vieni al villaggio per l’inverno. Tu hai fatto molti doni alla gente senza pelo, ha detto, soprattutto a lui e a Li-sa. Loro ti hanno dato pochissimo. Questo li fa sentire a disagio, ha detto. Un carro non procede in linea retta se i cornacurve che lo tirano non sono ben appaiati. Un arco non scaglia una freccia diritta se i due bracci non sono di uguale lunghezza.

Nia aggrottò la fronte. — Non ricordo di aver dato loro niente di importante.

Inzara fece il gesto che significava "può darsi". — Uno scambio non è concluso finché non sono tutti d’accordo che lo sia. È difficile dire che tipo di persona causi maggiori problemi: quella che rifiuta di dare o quella che rifiuta di prendere.

Nia non disse nulla.

Inzara continuò: — Un anno mi sono accoppiato con una donna a cui non piaceva prendere. Mi ha fatto quasi uscire di senno. Tutto quello che le davo era "troppo" o "troppo bello" o "troppo buono" per lei. Quanto ai suoi doni, che erano eccellenti, sosteneva che erano "piccoli" e "brutti". Avrei voluto picchiarla. L’ho lasciata il più in fretta possibile.

Nia emise un grugnito.

Inzara disse: — Conoscevo la madre della donna. Aveva occhi come aghi e una lingua simile a un coltello. Niente era mai abbastanza buono per lei. Credo che la donna abbia imparato a scusarsi per tutto ciò che faceva. Uh! Che brutta abitudine!

Raggiunsero la sponda orientale del fiume. Inzara l’aiutò a tirare sulla riva la zattera. Si tolse la collana d’oro e ambra e gliela porse. Nia stava per dire che era troppo come dono in cambio della traversata del fiume. Ma Inzara sembrava nervoso, e non voleva discutere con lui. Accettò la collana.

Lui montò in sella al suo animale e raccolse le redini, poi guardò Nia. — Ero solito pensare che niente mi facesse paura, a parte la vecchiaia. Ma quel villaggio laggiù mi ha spaventato. — Fece un cenno della mano verso sud e ovest. — Sono adirato con me stesso e inquieto. È meglio che me ne vada. — Diede uno strappo alle redini. L’animale si voltò. Inzara si volse indietro. — Forse verrò di nuovo in primavera. O forse verrà Ara. Il villaggio non lo spaventerà. E Tzoon è come una roccia. Non c’è mai niente che lo preoccupi.

Si allontanò. Nia si mise la collana. Era una splendida fattura. L’ambra aveva la forma di perline rotonde e il pesce era fatto di minuscoli pezzi d’oro legati insieme. Si dimenava come un pesce vero.

Nia tornò all’accampamento.

Il giorno seguente cadde la neve: grandi fiocchi soffici che si scioglievano non appena toccavano il suolo. Nia impacchettò le proprie cose e pulì la casa. Lasciò un sacco di cibo essiccato appeso al palo del tetto. Potevano venire delle persone. Potevano essere affamate. Lasciò anche una pentola per cucinare, una brocca per l’acqua e un coltello.

Dopo di che controllò bene i cornacurve. I loro zoccoli erano sani. Non avevano piaghe sulla schiena. Camminavano senza usare di più una zampa o uno zoccolo. Gli occhi erano puliti, e così le narici. Non trovò tracce di vermi o insetti scavatori.

Nia fece il gesto della soddisfazione.

Non era completamente a mani vuote. Aveva tre animali, cibo, e gli utensili per lavorare il metallo che le aveva lasciato Tanajin. Era più di quanto avesse portato con sé dal Villaggio del Popolo del Rame. Più di quanto avesse portato con sé dal proprio villaggio quando l’aveva lasciato la prima volta o la seconda o la terza.

Il giorno seguente attraversò il fiume. Doveva fare due viaggi. Il primo fu facile. L’aria era ferma. Il cielo era basso e grigio, ma non scendeva niente. Portò due dei cornacurve e li legò sulla sponda occidentale, poi tornò indietro.