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Le vecchie dicevano: "L’ha uccisa un balordo. Ah! È ben difficile il destino delle donne!".

In ogni caso, Nia e suo fratello erano rimasti soli. Fu Suhai, una delle sorelle di sua madre, a prenderli con sé. Era un donnone burbero con un pelame così scuro che pareva più nero che bruno.

Insieme a loro, si prese anche le cose di sua madre: la tenda, il carro, i sei castrati di cornacurve e tutti gli utensili di ferro, bronzo e pietra.

— Un giusto compenso — disse loro Suhai. — Mi costerete parecchio negli inverni a venire. Ho anche delle figlie mie a cui pensare.

Suo fratello Anasu, che a quel tempo aveva otto anni, disse: — Sei sempre stata un’arraffona.

Suhai gli rivolse un’occhiata torva. — Vattene fuori. Non voglio averti sotto gli occhi.

Anasu fece il cenno dell’assenso, quindi si alzò. Il lembo della tenda era sollevato e Nia riusciva a vedere chiaramente il fratello. Aveva una figura slanciata e armoniosa. La sua pelliccia era di un bruno rossiccio e splendeva come rame alla luce del sole. In seguito le sembrava di ricordare che quel giorno lui portasse un gonnellino di tessuto blu scuro, alti stivali e una cintura dalla fibbia d’argento.

Anasu se ne andò. Nia guardò Suhai, seduta curva presso il fuoco, che era spento.

— Grazie alla Madre delle Madri, non ho figli maschi. Bene, intendo fare quel che è giusto. Lo crescerò, anche se non mi aspetto che sia piacevole neppure per un momento. Tu, Nia, mi darai meno disturbo, ne sono certa. Le donne della nostra famiglia sono sempre state di carattere tranquillo.

Nia non rispose.

Le cose andarono proprio come aveva previsto Suhai. Crescere Anasu non le procurò mai alcuna gioia, nonostante lui fosse intelligente e abile. Nessun ragazzo della sua età sapeva ricamare meglio. Era abile con l’arco ed era anche di carattere amabile, fuorché nelle vicinanze di Suhai. Loro due non facevano che bisticciare.

Nia si teneva fuori dagli alterchi. Scoprì di essere una persona timorosa. Quasi buona a niente, diceva a se stessa. Non era in grado di aiutare Anasu, sebbene si sentisse più vicina a lui che a chiunque altro; e non era capace di tenere testa a Suhai. Faceva sempre e soltanto quello che voleva sua zia.

Come tutti gli individui del mondo, la sua gente seguiva le mandrie. In primavera si spostavano a nord verso la Terra dell’Estate: una vasta e piatta pianura. C’erano parecchi laghetti e fiumi poco profondi. Nei giorni in cui Suhai le permetteva di andarsene libera, lei e Anasu fabbricavano trappole per i pesci con i rami di un arbusto che cresceva presso le rive dei fiumi. I rami erano sottili e flessibili e si potevano intrecciare fra loro e poi legare con pezzi di corteccia fibrosa.

Mettevano le trappole in un fiume, poi sedevano sulla riva e se ne stavano a chiacchierare finché non capivano, dal dibattersi nell’acqua, di aver preso un pesce.

Quando era assorto nelle sue fantasticherie, Anasu parlava di volare. Le grandi nuvole dell’estate gli sembravano abitabili.

— Non le nubi temporalesche, naturalmente, ma le altre. Non credo che sarebbero adatte per accudire il bestiame. Hanno troppe colline. Ma potrei portare lassù il mio arco. Sappiamo che c’è l’acqua. Può darsi che ci siano anche i pesci.

Lei ascoltava senza parlare molto. Anasu era più vecchio di lei di due anni. Aveva sempre più cose da dire.

In autunno, il villaggio si trasferiva a sud: dapprima la mandria, guidata dagli uomini adulti. Poi venivano i carri, le donne e i bambini, e infine gli uomini molto vecchi. Hisu, il maestro degli archi, era uno di costoro.

La Terra dell’Inverno era una pianura ondulata e costellata di alberi. A sud c’erano le colline sassose e, al di là delle colline, c’era un’enorme massa d’acqua.

— Il nostro sale viene da lì — le spiegò Anasu. — Alcuni degli uomini, quelli veramente audaci, restano qui da soli durante l’estate. Me l’ha raccontato Hisu. Lui lo faceva quando era giovane. Aspettava finché la mandria non se n’era andata, poi attraversava le colline. Sull’altro lato ci sono delle colline più piccole, fatte di sabbia, e poi l’acqua. Si estende fino all’orizzonte, ha detto Hisu, come la pianura nella Terra dell’Estate; e ha un gusto salato. In ogni modo, lui fabbricava delle bacinelle con il legno. Non c’è legno nelle vicinanze, ha detto. Doveva portarlo dalle colline di pietra. Ah! Quanto lavoro! Comunque, riempiva di acqua le bacinelle. Quando l’acqua si prosciugava, nelle bacinelle restava il sale. — La osservò, elettrizzato da quell’informazione e col desiderio che anche lei si emozionasse

Nia fece il gesto che significava che sentiva e capiva.

Anasu fece il gesto che significava "se è così che la pensi". Poi disse: — Credo che raccoglierò sale quando sarò un uomo.

Lei si sentì qualcosa di duro in gola. Non le piaceva mai pensare di crescere.

Passarono gli anni. Quando Nia ebbe dieci anni, Suhai incominciò a insegnarle a lavorare il ferro. Questo la rendeva felice, raccontò ad Anasu.

— Avresti dovuto incominciare un anno fa o forse due anni prima. Suhai è sempre riluttante e indolente.

— Ciò nonostante, sono contenta — replicò Nia. — Suhai è brava in quello che fa.

— Nella fucina, può darsi. Altrove, no.

Anasu si faceva alto. Il suo corpo incominciava a ingrossarsi. Adesso Suhai lo odiava davvero.

— Non mi sono mai piaciuti gli uomini. Perfino quando ero pervasa dalla smania primaverile, pensavo sempre che fossero orribili. Sono stanca di tornare a casa e di trovarti nella mia tenda.

Anasu, che a quel tempo aveva quattordici anni, fece il cenno dell’assenso. Radunò le sue cose, i gonnellini, gli stivali, l’unico mantello lungo per l’inverno, e se ne andò. Su una spalla teneva l’arco dentro la sua custodia, e il coltello gli pendeva dalla cintura.

Nia sia alzò, tremante. — Ora basta, vecchia. Non intendo sopportarti più. Me ne vado anch’io.

— Benissimo. — Suhai si sedette accanto al fuoco. Il pranzo stava cuocendo in un grosso paiolo. Lei tirò fuori un pezzo di carne e se lo mangiò.

Nia incominciò a fare i bagagli.

Uscì dalla tenda, provando un senso di orgoglio. Per la prima volta da quando riusciva a ricordare, aveva fatto qualcosa di importante tutta da sola. E adesso che sarebbe successo? Non lo sapeva. Si fermò e si guardò attorno. Era estate inoltrata. La giornata era torrida e senza un alito di vento. Il fumo saliva diritto dai fuochi per cucinare del villaggio. In lontananza, la gialla pianura baluginava. Non aveva assolutamente idea di che cosa fare.

— Nia?

Era Ti-antai, sua cugina: una donna grassoccia dal pelame bruno scuro.

— Anasu mi ha riferito di aver lasciato mia madre.

Nia fece il gesto dell’affermazione. — Anch’io.

— Quella donna terribile! Finirà con l’allontanare tutti. Mia nonna me l’ha detto una volta, Suhai avrebbe dovuto nascere uomo. È troppo litigiosa per essere una donna. Vieni a stare con me, almeno per il momento.

Nia fece il gesto dell’assenso.

Restò con Ti-antai durante il viaggio verso sud. Poi, quando arrivarono nella Terra dell’Inverno, andò a vivere con Hua, una vecchia le cui figlie erano tutte morte. La sua tenda era vuota e lei aveva bisogno di aiuto alla sua fucina.

— Uno scambio conveniente. Tu mi aiuterai. Mi terrai compagnia. Io ti insegnerò ì segreti dell’oro e dell’argento. Io li conosco, lo sai. C’era un tempo in cui ero la migliore del villaggio alla fucina. Non sono tanto male neppure di questi tempi. Certo, le mie mani si sono fatte un po’ rigide e i miei occhi non sono più quelli di un tempo. Ma che importa, dopo tutto? A ogni modo, ti insegnerò come inserire l’argento nel ferro. E anche l’oro. Trasferisciti qui quando vuoi.

Anasu barattò il suo miglior ricamo con due pezze di cuoio e con queste si fece una tenda, piccola. Viveva da solo ai margini del villaggio. Quell’inverno Nia lo vide assai di rado.