— Che cosa? — saltò su il terzo biologo. Era grande e grosso e quasi sicuramente polinesiano.
— I Filistei rubarono l’Arca dell’Alleanza, qualunque cosa fosse, e l’Onnipotente li tormentò con ratti ed emorroidi. Non sto mentendo. È scritto nella Bibbia.
— Se accadrà, alleveremo qualche gatto — disse l’uomo. Sembrava un tipo calmo e pratico.
La piccola donna corrugò la fronte. — Non capisco di quale utilità possano essere i gatti nella cura delle emorroidi.
— Devo lavorare — dissi e me ne andai.
Entro mezzogiorno il cielo al di sopra della mia finestra si era fatto di un nebbioso verdeazzurro. Il mio rapporto era un pasticcio. Avevo un sacco di informazioni, ma nessuna struttura. Nessuna cornice ideologica.
Oh, essere una marxista! Soprattutto una volgare marxista. Loro avevano sempre una spiegazione. Di solito veniva dal Diciannovesimo Secolo. Engels sull’Origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato. Senza dubbio Fred sarebbe stato in grado di spiegarmi questo pianeta. Forse avrei dovuto trovare un computer biblioteca e richiamare antichi documenti sulla teoria sociale. Gettai sul letto il mio taccuino.
Si aprì la porta. Derek fece capolino e disse: — Hai visite.
Nia entrò nella stanza, vestita con pantaloncini grigio chiaro e una camicia rosso borgogna. La camicia portava stampate grosse lettere bianche. Dicevano: I MIGLIORI AUGURI DALLA CONFEDERAZIONE IROCHESE.
Una donazione. Avevano voluto contribuire tutti alla spedizione. La nave era piena di oggetti con su nomi dati da circoli e cooperative, città, associazioni, tribù e kibbutzim. La lampada nella mia cabina veniva dall’Associazione dei Lavoratori Aeronavali. Sul paralume c’era l’emblema dell’associazione: due mani strette davanti a un dirigibile.
Derek disse: — Ho cercato qualcosa senza scritte, ma è impossibile trovare una camicia di cotone a maniche corte senza un motto.
Nia protestò: — Parlate una lingua che io possa capire.
— Non ha detto niente di importante — le spiegai.
— Bene. Ho deciso di venire con voi.
— Perché?
Lei fece il gesto che significava "perché no?".
— È una buona risposta?
Entrò e si sedette sul pavimento, mettendosi accuratamente in una posizione a gambe incrociate. — No. Voglio scoprire che cosa ne è stato dei miei figli e delle mie cugine. Te ne ho già parlato. E devo andare in quella direzione. Ho promesso di fare del lavoro per Tanajin. — Tacque per un momento. — Qualcuno deve raccontarle quello che è successo alla barca. Qualcuno deve dirle che Ulzai è sparito. Questi vestiti sono stretti. Come può sentirsi a proprio agio la tua gente?
— Non facilmente — risposi.
— Mi procurerò vestiti nuovi al villaggio. E cibo. E utensili. Me li daranno anche se mi conoscono e possono essere quasi certi che io non sono l’Oscuro.
Avevo un registratore? Mi guardai attorno.
— Qui — disse Derek.
Lo lanciò e io lo afferrai. Era un registratore audio grande come una scatola di fiammiferi. Lo accesi. — Chi è l’Oscuro?
— Uno spirito. Giunge nei villaggi come uno straniero, di solito una donna, a volte un uomo. Spesso è una donna lacera e affamata. Può essere ammalata. Può avere un aspetto curioso.
"Hua, la donna che mi ha insegnato a lavorare il ferro, diceva che la sua vera forma è quella di una vecchia con la pelliccia nera, curva e tutta storta. Ha uno strano odore. Chiede aiuto, anche se non in modo simpatico. Il più delle volte è scorbutica.
"Se il villaggio è generoso, lei prosegue il suo cammino. Se il villaggio è avaro o scortese, allora…" Nia fece il gesto che significava "lo sai" o "che cosa ti aspetti?"
— Capitano cose spiacevoli — terminò Derek.
Nia fece il gesto dell’approvazione.
— Che genere di cose spiacevoli? — chiesi.
— Le persone si ammalano. Gli animali muoiono. Non c’è abbastanza cibo. — Fece una pausa e mi guardò. Doveva essere evidente che volevo saperne di più. — La sciamana scopre quale spirito è adirato. Allora il villaggio esegue una cerimonia. È chiamata: "Benvenuto allo Straniero". Raccolgono tutte le cose che amano di più: buon cibo, coltelli dalle lame taglienti, vestiti coperti di ricami, doni che provengono dai luoghi più lontani. Accendono un fuoco. La gente canta:
"Vedi
come ti accogliamo bene.
Vedi
i bei preparativi.
"Il cibo finisce nel fuoco. I coltelli. I vestiti. Tutto viene bruciato. Se le persone sono fortunate, l’Oscuro sarà soddisfatto. Ma ci vuole molto. È meglio darle ciò di cui ha bisogno quando arriva sotto le sembianze di una vecchia."
— Che cosa succede se l’Oscuro arriva al villaggio del Popolo il cui dono è la follia?
— Non ho mai sentito una storia a questo proposito, e non mi aspetto di sentirla.
— Perché no?
— Le storie sull’Oscuro si raccontano in estate e in autunno. È allora che la maggior parte della gente viaggia. È allora che si incontrano gli stranieri.
"Le storie sul Popolo il cui dono è la follia si raccontano in inverno, quando la neve è alta ed è impossibile viaggiare. È allora che alla gente piace sentire parlare di un comportamento stupido che ha avuto luogo molto lontano."
— La neve è alta — disse Derek in inglese. — Il vento ulula. Sediamoci presso il fuoco e ridiamo dei forestieri.
Spensi il registratore.
Nia si alzò. — Se avete intenzione di parlare in quella lingua, me ne vado.
— Vuoi mangiare? — mi chiese Derek. Parlò nel linguaggio dei doni.
Feci il gesto dell’affermazione.
Nia disse: — Sto fabbricando un arco. Ho trovato del legno che non è male, e Deragu mi ha dato una corda.
— Davvero?
— Non dirlo a nessuno.
Ce ne andammo insieme, uscendo nella caliginosa luce del sole. Nia fece il gesto del commiato e si diresse verso l’interno e la scogliera. Io e Derek andammo verso la sala da pranzo.
Mangiammo con Agopian e un nero di corporatura snella. Cyril Johnson. Faceva parte del team idrologico e la sua attrezzatura non era arrivata. Tenne un discorso sulla maledetta incompetenza a bordo della nave e nel corso di tutta la storia umana.
Ascoltammo educatamente. Mangiai qualcosa che si sforzava di essere un’insalata greca. Il formaggio era di capra e c’erano troppo poche olive. La maggior parte degli olivi erano morti durante il viaggio. Ci sarebbero voluti anni prima che i nuovi alberi fossero abbastanza vecchi da produrre olive.
— Abbiamo fissato una riunione generale per questa sera — disse Agopian. — Queste persone hanno il diritto di sapere che cosa succede.
— Hai ragione — ribatté Derek. — Ce l’hanno. Purtroppo, noi non abbiamo alcuna idea.
— Sapete sui nativi più di chiunque altro.
— Pensate che ci lasceranno restare? — chiese Cyril.
— Non lo so — risposi.
Lui aggrottò la fronte e serrò le labbra. Un altro esempio di maledetta incompetenza.
Finii il mio caffè e portai il mio vassoio al tavolo riciclante. Agopian mi seguì. Uscimmo. Il cielo era sereno, l’aria calda e umida. Mi tolsi la giacca.
— Verrò con voi — disse Agopian.
— Su per il fiume?
Fece cenno di sì col capo.
— Sono certa che la Ivanova ha un buon motivo per portare un navigatore spaziale. — Guardai la banchina. Entrambe le imbarcazioni erano ormeggiate. C’erano persone che lavoravano a bordo, occupandosi della manutenzione o di qualche riparazione.
— Sono anche uno storico.
— Della storia del lavoro, mi sembra che tu abbia detto.
— Ogni società ha lavoro e lavoratori.
Gli lanciai un’occhiata. Oggi non portava l’uniforme dell’equipaggio. Al contrario aveva un aspetto quasi americano: jeans scoloriti e una camicia di cotone a sottili righe verticali bianche e blu. Huaraches ai piedi. La cintura aveva una grossa fibbia di metallo con su un aeroplano a razzo e dei caratteri in alfabeto cirillico.