Выбрать главу

Derek disse: — Vattene, Nia. Ti spiegheremo più tardi.

— Benissimo. Ma siete delle persone ben strane voi due.

Derek sollevò il capo. — Se n’è andata. Ora, dov’ero rimasto?

Risi.

Dopo restammo distesi per un po’ fra la vegetazione. Mi sentivo in modo splendido. Ero rimasta da sola per troppo tempo. Quanti giorni? Quarantasette? Quarantotto? Avrei dovuto chiederlo a Eddie. Avevo perso il conto.

Derek si alzò in piedi e incominciò a vestirsi. Seguii il suo esempio. Cadde una meteora. Ci incamminammo verso l’accampamento. Nia era seduta accanto al fuoco, che era fioco e aveva un odore particolare. Lo sterco non bruciava come il legno. Lei alzò lo sguardo. — Avete finito il vostro accoppiamento?

— Sì.

— Siete dei pervertiti.

— Può darsi. — Derek si sedette.

Nia teneva lo sguardo fisso sul fuoco. — Sono sfortunata. Ovunque vada, incontro persone che fanno le cose nel modo sbagliato.

Derek sorrise. — Che cosa vuoi dire con questo? Qual è il modo sbagliato? Ciò che è sbagliato secondo le donne anziane? Ci hai detto che non ti importava delle loro opinioni.

— È vero. Ma lo sanno tutti che le persone provano la smania in primavera. Solo le persone ammalate hanno la smania in qualunque altro momento.

— Noi non siamo persone comuni, Nia. Devi capirlo. Siamo più estranei di quanto tu possa pensare. Ma non siamo cattivi. E non c’è niente che non vada nella nostra salute.

— Mi mettete a disagio. Vado a fare una passeggiata. — Si alzò e si allontanò zoppicando. Un attimo dopo era sparita, nascosta dalle tenebre.

Mi sedetti. Derek aggrottò la fronte. — Fino a che punto è turbata?

Feci il gesto del dubbio.

— Questo è proprio un grande aiuto.

Restammo alzati ad aspettarla per circa un’ora. Nia non tornò. Alla fine mi addormentai. Mi svegliai all’alba. Nia era distesa vicino a me, avvolta nel suo mantello, e russava piano.

Ci alzammo al levar del sole e proseguimmo verso ovest. Il tempo si mantenne sempre uguale: molto caldo e limpido. La regione si estendeva sempre ondulata. Verso nord c’era una catena di basse colline rotonde sopra le quali si libravano delle nuvole.

— Quella è la terra del fumo — ci spiegò Nia. — È un luogo sacro. L’acqua laggiù ribolle come l’acqua in una pentola per cucinare. E il fumo sale da fenditure nella roccia.

— Ah, sì?

Nia fece il gesto dell’affermazione.

Era passato da poco mezzogiorno quando Derek si fermò. Era in cima a un’altura. Andammo a raggiungerlo.

— C’è qualcuno dietro di noi — disse.

— Un uomo — osservò Nia. — Nessuna donna viaggia da sola. — Tossì. — No. Non dico la verità. Io ho viaggiato da sola. Ma di solito le donne vanno in gruppo. — Si voltò a dare un’occhiata. — Non lo vedo. Devi avere dei buoni occhi.

— Sì.

Nia si riparò gli occhi con la mano e guardò di nuovo. — Ho deciso di crederti. Qualcuno dovrà stare sveglio di notte. Se l’uomo ha deciso di avvicinarsi, lo farà allora.

Proseguimmo. Ormai c’erano nuvole per tutto il cielo. Erano piccole e soffici, disposte in file. La terra era screziata di ombre. Qua e là vedevo affioramenti di roccia scura. Forse basalto? Secondo i planetologi, le rocce su questo pianeta erano di fatto identiche a quelle sulla Terra.

Le colline a nord erano più vicine di prima. Nia continuava a lanciarvi occhiate. — Non mi piace la terra del fumo. Ci sono demoni laggiù.

— Oh.

Alla sera ci accampammo presso la sommità di una collina, sotto un’enorme massa di roccia. Era nera e ruvida. Vulcanica. Sotto di noi c’era una valle piena di cespugli. Le loro foglie erano di un verde giallognolo. Scendemmo e trovammo della legna secca. Nia accese un fuoco. La fiamma illuminava la superficie scura della roccia e i corpi dei miei compagni: Derek, magro, glabro e bruno; Nia, grossa e coperta di pelliccia.

Mangiammo. Derek si alzò. — Farò io il primo turno di guardia. — Rivolse un’occhiata attorno. — Dovrebbe esserci una buona vista da lassù. — Si diresse verso la roccia e incominciò ad arrampicarvisi, salendo in modo rapido e senza esitazioni.

Nia lo osservava. — Sa fare bene ogni cosa?

— Ci sono volte in cui credo di sì.

— Lui non ti piace.

— Non molto.

— Perché?

— Perché fa bene ogni cosa. Per me non c’è niente di facile. Lo invidio.

Nia aggrottò la fronte e guardò il fuoco. — Avevo un fratello così. Anasu. Faceva tutto quello che andava fatto, e lo faceva meglio di quasi tutti gli altri. Ormai è un uomo grande e grosso. Ne sono sicura. Non era il tipo da restarsene fra le colline con i giovani, con gli uomini come Enshi. Ormai deve avere un territorio vicino al villaggio e molte donne nella stagione degli accoppiamenti. — Nia si grattò il naso. — C’era un’altra. Angai. Una mia amica. Era difficile andare d’accordo con lei quando era giovane. Non piaceva alla gente. Ma è cambiata in meglio. È la sciamana del mio villaggio. Ha con sé i miei figli. — Alzò lo sguardo. Mi ritrovai a guardare dritto nei suoi occhi color arancione. — Non capisco che cosa mi sia successo. Ma una cosa la so. È sbagliato provare invidia. Hakht la provava. Bruciava dentro di lei come fuoco sotto terra. L’ha trasformata in qualcosa di disgustoso. Non invidierò altre persone. — Si alzò e andò a prendere il suo mantello. — Adesso me ne vado a dormire.

Si coricò. Io rimasi alzata. La grande luna era visibile a occidente: una mezzaluna alta nel cielo, di un brillante giallo limone, che illuminava nuove nuvole. Erano grandi e ondeggianti. Un nuovo sistema atmosferico? Incominciavo a sentirmi assonnata. La mia mente vagava da un argomento all’altro: l’invidia, poi il fratello di Nia. Chissà che tipo era? Che cosa significava avere un fratello nella sua cultura? Ricordavo i membri più giovani della mia famiglia. Leon. Clarissa. Charlie. Maia. Mark. Fumiko.

Fumiko era di gran lunga la più giovane. Quando ero partita lei stava terminando l’università e si preparava per il suo anno, o i suoi anni, di vagabondaggi. Io ero andata molto presto, a vent’anni. Avevo lasciato la scuola e me ne ero andata nella Grande Isola a tagliare canna da zucchero. Poi mi ero recata in Asia, lavorando su uno dei nuovi piroscafi da carico. Cucinavo e imparavo a far funzionare il computer che controllava le vele. Quello era un compito facile. Il computer funzionava quasi da solo. Ma ero quasi impazzita cercando di cucinare nella minuscola cambusa mentre tutto attorno a me si muoveva.

Bene, era accaduto molto tempo addietro e su un altro pianeta. Presi il mio poncho e mi coricai per dormire.

Fui svegliata da un grido ululante: acuto, pauroso, disumano. Un istante dopo ero in piedi. Non ricordavo come ci fossi arrivata in quella posizione. Dall’altra parte del fuoco c’era Nia. Era in piedi anche lei. Aveva gli occhi sgranati e teneva in mano il suo coltello.

— Che cos’è stato? — chiese.

— Non lo so.

Mi resi conto che lo sapevo e che mi ero sbagliata. Il suono non era disumano. Era il grido di battaglia di un aborigeno californiano. Mi guardai attorno. — Derek?

Dalle tenebre giunse un altro suono, un grido di paura nel linguaggio dei doni. — Aiuto! Aiuto! Un demonio!

Mi voltai e mi precipitai giù per la collina. Nia mi seguì. Ci facemmo strada fra la pseudo-erba. Sotto di noi la voce ripeteva: — Aiuto! Aiuto!

Derek gridò: — Smettila di lottare con me!

Li vidi, una massa che si dimenava, appena visibile nel chiarore lunare. Mi fermai. I due corpi rotolavano avanti e indietro. Derek era sopra. Vedevo agitarsi i suoi capelli biondi. La persona che stava sotto gridava: — Aiutatemi!

Nia disse: — Se hai intenzioni pacifiche, smettila di dibatterti. L’altra persona non ti farà del male. Non è un demonio.

— No? — Il corpo che stava sotto cessò di muoversi. — Sei sicura?

Derek si sollevò dall’altro individuo e lo tirò in piedi.

— Aiya! Guarda che cosa doveva capitarmi! Sei assolutamente certa che questa creatura non sia un demonio?