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— Ebbene, che cosa sai?

Continuammo a indietreggiare, allontanandoci dal maschio infuriato. Dov’era l’oracolo? Non riuscivo a vederlo.

La madre proseguì dondolandosi, seguita dai tre piccoli. Finalmente scomparvero alla vista, nascosti da una macchia di erba enorme. Il maschio sibilò, poi si voltò e seguì a balzi la sua famiglia. La spalla incominciava a farmi male. Mi cedettero le ginocchia e mi sedetti.

— Davvero interessante — osservò Derek. — Si preoccupano dei loro piccoli. Ciò contribuisce a spiegare come siano in grado di sopravvivere in concorrenza con gli pseudo-mammiferi. I mammiferoidi. Abbiamo bisogno di un intero nuovo vocabolario. O Santa Unità! Pensavo che mi sarei pisciato nei pantaloni.

Nia disse: — Uh! — Mise via il coltello. — Spero che il pazzo stia bene. Il suo cornacurve è fuggito. L’ultima volta che l’ho visto si teneva ancora aggrappato.

— Oh, mio Dio, Derek. La nostra attrezzatura. Le radio.

Lui scoppiò in una risata. — Sui cornacurve. Là fuori. — Fece un ampio gesto con la mano per indicare la pianura. — Tu stai bene?

— La spalla mi fa un male infernale e mi sono morsa la lingua. Non so quando.

Derek mi sottopose a un rapido esame. — La tua spalla non è lussata e la lingua è ancora al suo posto. Credo che te la caverai. — Si voltò a fissare la pianura. — Vado in cercadella nostra attrezzatura. Ero abituato a rincorrere i cavalli in California. I cornacurve non sono più veloci. Li raggiungerò. — Si volse verso di me. — Accampatevi qui da qualche parte. Vi troverò.

— Derek… — incominciai.

Lui si allontanò a grandi passi.

— Derek! — gridai.

Non si voltò a guardare indietro.

— È un individuo molto strano — osservò Nia.

— Sì. — Restai a osservarlo finché non scomparve alla vista, poi mi voltai a guardare Nia. — Bene, troviamo un posto per accamparci.

Inahooli

Seguimmo la pista lungo la riva finché non arrivammo a una macchia di erba enorme. Nia tagliò dei rami e li intrecciò per formare dei canestri: trappole per i pesci. — Può darsi che questo modo non funzioni. È più facile catturare pesci in un fiume. — Mise le trappole dentro l’acqua.

Dopo di che esplorammo il boschetto. Nia trovò un gruppetto di piante che crescevano sul margine orientale. Erano radici commestibili. Io raccolsi legna per il fuoco. Cucinammo le radici. Erano croccanti e quasi senza sapore.

— Sono buone nello stufato di carne — mi spiegò Nia. — Da sole… — Fece il gesto che significava "il resto è chiaro".

— Sempre meglio di niente.

Lei fece il gesto dell’affermazione.

Calò la sera. Il vento cambiò. Ora soffiava dal lago. All’improvviso il boschetto si riempì di insetti.

— Morsicatori! — esclamò Nia.

Mi diedi una pacca sul collo. — Hai ragione.

Ci rannicchiammo accanto al fuoco. Il fumo ci proteggeva fino a un certo punto. Venni morsicata una seconda volta, su un polso. Anche Nia fu morsicata una volta, sul palmo della mano, dove non aveva pelliccia.

— Uh! — Batté fra loro le mani. — Bene, ho preso la creatura. Non darà più fastidio a nessuno. Come riesci a sopportarlo, Li-sa? Tu non hai pelliccia. Possono morderti dappertutto.

Il fumo mi era entrato negli occhi, che ora lacrimavano. I punti in cui ero stata punta dagli insetti prudevano. — Non amo affatto le situazioni come questa. — Mi grattai una morsicatura. — Ma che cosa posso farci? Non posso farmi crescere la pelliccia. E in ogni caso, ho sopportato di peggio. Un tempo vivevo nel Minnesota.

— Dove? — domandò Nia.

— Una terra con molti laghi e molti insetti. — Feci una pausa e restai in ascolto. Gli insetti mi ronzavano attorno alle orecchie. Ce n’erano un sacco. Avrebbero dovuto morsicare di più. Forse non avevo l’odore giusto. Forse erano soltanto gli insetti coraggiosi, o quelli stupidi, che decidevano di fare un tentativo con me.

— Aiya! - Nia si batté la fronte. — Un altro!

Mi allontanai il fumo dalla faccia con la mano. — Riescono a morsicarti attraverso la pelliccia?

— Solo in qualche punto, dov’è più sottile. Attorno agli occhi o nell’incavo del gomito.

Il vento cambiò di nuovo direzione e scacciò gli insetti. Ci coricammo. Non avevamo niente con cui coprirci. Il mantello di Nia si trovava con il resto dei nostri bagagli da qualche parte della pianura, così pure il mio poncho. Ma la notte era mite e io ero sfinita. Mi raggomitolai e mi addormentai subito.

Mi svegliai presto. Le nuvole erano sparite e il cielo sopra di me era di un brillante verdeazzurro. Gli uccelli facevano rumori fra le foglie. Nia russava accanto alle ceneri del fuoco.

Mi alzai, gemendo. Avevo il corpo completamente irrigidito e la spalla mi faceva particolarmente male. Me la massaggiai e intanto mi guardai attorno. Non c’era un filo di vento, e il lago era immobile. Al largo, oltre i canneti, una canoa scivolava sull’acqua.

— Nia!

Lei balzò in piedi. Gliela indicai. Nia gridò e agitò le braccia. La canoa virò nella nostra direzione. Un attimo dopo era sparita, nascosta dai canneti. Ci precipitammo verso la riva.

— Chi può essere? — domandai.

— Non lo so. Una donna. Una del Popolo dell’Ambra.

La prua si fece largo fra le canne. Era fatta rozzamente con un tronco scavato. Veniva silenziosa verso di noi. La donna, seduta nella parte posteriore, sollevò la pagaia dall’acqua, poi alzò una mano e si riparò gli occhi. — Sto vedendo delle cose? Una di voi è senza pelo?

— Sì — dissi.

La canoa raggiunse la riva. La donna scese. Era più alta di me, dinoccolata, con il pelame di un bruno scuro. La faccia era larga e piatta, gli occhi di un arancione scuro, quasi rosso. Indossava una tunica giallo chiaro decorata con strisce ricamate. Il disegno era complicato e geometrico, fatto in diverse tonalità di azzurro. La cintura era blu, e portava un lungo coltello in un fodero di cuoio blu. — Sei nata così? — s’informò. — O sei stata ammalata?

— Questo è il mio modo naturale di essere. — Usai la parola che significava "consueto" o "giusto".

Lei mi squadrò dalla testa ai piedi. — Naturale, eh? E tu? — Si rivolse a Nia. — Chi sei? E perché viaggi con uno scherzo di natura?

— Sono una donna del Popolo del Ferro. Nia la lavoratrice del ferro.

La nuova arrivata corrugò la fronte. — C’è qualcosa di familiare in quel nome.

— È abbastanza comune — replicò Nia.

La donna manteneva la sua espressione accigliata.

Nia proseguì. — E il tuo nome qual è?

— Toohala Inahooli. Appartengo al Popolo dell’Ambra e al Clan della Cordaia. In questo momento, ho una posizione di grande prestigio. Sono la guardiana della torre del clan.

Nia fece il gesto del riconoscimento.

Io dissi: — Che cos’è una torre del clan?

La donna mi guardò con astio. — Da dove vieni? Non lo sai che fra il Popolo dell’Ambra ogni clan erige una torre in onore della sua Prima Antenata? Costruiamo ogni torre cercando di farla più alta possibile. La ricopriamo di decorazioni ed eseguiamo cerimonie di fronte alla torre per impressionare gli altri clan e far sì che provino invidia e mortificazione.

Un nuovo tipo di manufatto! Riflettei un momento. — Posso vedere la torre?

— Sì. Naturalmente. A che serve una torre se la gente non ne viene impressionata? E come fa essere impressionata se non viene a vederla? Ma ti avverto, la nostra magia è potente. Se c’è qualcosa di demoniaco in te, riporterai dei danni.

— No. Non sono demoniaca.

— Non possiamo andare — intervenne Nia. — Deragu… — Esitò. — Non so dire il suo nome.

— Derek.

— Derag ci ha detto di aspettare.

La donna si accigliò. — Chi è questa persona? Mi sembra un nome maschile.