— Non è velenoso — disse Ulzai.
— Bene. Vuoi occuparti tu della canna da pesca, Lixia? Devo uccidere questo amico.
— Okay.
S’incamminò su per la spiaggia. Io andai a recuperare la canna. Quando l’ebbi presa, il pesce era già morto.
Facemmo ritorno alla radura. Derek arrostì il pesce. Aveva più lische di un luccio del nord e ancor meno sapore. Lo mangiò quasi tutto Derek. Noi quattro ci accontentammo del pane e della carne essiccata.
Finito di mangiare, Derek disse: — Ho promesso al pesce che l’avrei celebrato. È una promessa che va mantenuta. Era bellissimo. Si è battuto bene. Mi ha salvato dalla fame. Ricorderò il suo aspetto mentre balzava fuori dall’acqua. E col tempo — sorrise — dimenticherò il suo sapore.
Ulzai fece il gesto dell’approvazione.
— È stata un’ottima celebrazione — commentò l’oracolo. — E più di quanto mi sarei aspettato da te. Quasi sempre sembra che tu manchi di rispetto.
— Sono una persona complessa — ribatté Derek. Usò un aggettivo che di solito si riferiva alla lavorazione del metallo o al ricamo. Per quanto fossi in grado di capire, aveva due significati impliciti. Si riferiva o a una notevole realizzazione tecnica o a qualcosa di riccamente ornato ed eccessivo.
L’indomani Nia mi svegliò al’alba. Quando il sole sorse eravamo già sull’acqua.
Derek e Ulzai vogavano. Io osservavo il fiume. Passavamo accanto a isolotti, banchi di sabbia e un sacco di detriti galleggianti. Poco dopo mezzogiorno comparvero delle nuvole. Cumuli. Si profilarono in lontananza attraverso la foschia estiva.
— Un altro temporale — disse Ulzai. — Conosco un posto sulla sponda orientale. C’è un torrente che si getta nel fiume. E c’è una grotta.
— Aiya! - esclamò l’oracolo.
— Ci sono spiriti nella grotta? — s’informò Nia.
— Io non ne ho mai visti. Mi ci sono accampato parecchie volte.
— Okay — disse Derek.
Il fiume serpeggiava verso la parte orientale della valle e il letto principale scorreva quasi direttamente sotto le scogliere orientali. Qui la sponda del fiume era scoscesa, ricoperta di arbusti verdi e gialli. Al di sopra del fogliame s’innalzava un’alta parete rocciosa.
Ulzai puntò il dito. Vidi un incavo nella scogliera. Dai cespugli che crescevano sotto l’incavo scendeva un torrente: un sottile velo lucente d’acqua che scorreva su rocce gialle per poi sparire nel fiume.
Approdammo a sud del torrente, scaricammo la canoa e la tirammo sulla riva.
Alcuni uccelli volteggiavano sopra di noi, lanciando grida.
— Quanta fatica — dissi.
Derek fece il gesto dell’assenso. — Una delle molte ragioni per cui non amo pienamente la tecnologia preindustriale. Sebbene ci sia un sacco di gente sulla Terra che saprebbe fabbricare una canoa migliore usando metodi tradizionali. Forse il problema qui è la mancanza dei materiali adatti. Forse dovremmo introdurre la betulla.
— L’alluminio — dissi. — Le piante mi spaventano più delle fabbriche.
— Lo state facendo di nuovo — protestò l’oracolo. — Usare parole che noi non conosciamo.
Feci il gesto che significava "mi dispiace".
Ulzai disse: — Muoviamoci.
Raccogliemmo le nostre sacche e lo seguimmo su per la riva. Il torrente scorreva accanto a noi in un burrone pieno di arbusti. Non riuscivo a vedere l’acqua. La sentivo: un debole gorgoglio. Gli uccelli continuavano a gridare. Alzai lo sguardo. Uno stormo stava inseguendo un singolo uccello che era evidentemente di una specie diversa. L’uccello che fuggiva era delle dimensioni di un gabbiano. Quelli dello stormo erano, relativamente parlando, minuscoli.
Il grosso uccello volava verso la scogliera. Gli uccelli più piccoli lo seguirono, scendendo a capofitto e lanciando strida.
Inciampai.
— Guarda dove vai — disse Derek alle mie spalle. — O finirai in quel burrone.
Arrivammo alla scogliera. Sulla sua superficie crescevano piante rampicanti che sporgevano sopra l’entrata della grotta, così non la vidi finché Ulzai non si aprì un varco in una macchia di vegetazione e sparì. Lo seguimmo in uno spazio poco profondo, cinque metri al massimo. Mi guardai attorno. Non c’erano buchi neri, nessuna traccia di una caverna interna. Misi giù le sacche che stavo portando.
— Ci procureremo della legna — disse Ulzai. — Prima che incominci a piovere.
Nia aveva ragione. A Ulzai piaceva dare ordini. Un vero peccato che vivesse su questo pianeta dove gli uomini non avevano l’opportunità di organizzare alcunché. Sarebbe stato la persona adatta per i soccorsi in caso di disastri.
Uscimmo. Il sole era sparito dietro una barriera di nuvole. La valle era buia e il cielo si andava oscurando rapidamente con il diffondersi delle nubi.
Raccolsi una bracciata di legna e feci ritorno alla grotta. Ulzai era già tornato. Aveva acceso un fuoco, appena dentro l’accesso. Il fumo saliva lento fra le foglie dei rampicanti, che ondeggiavano. Si stava alzando il vento.
— Questo sarà peggiore di quello di ieri — disse Ulzai. — Guardate il cielo a occidente. È di un colore fra il nero e il verde. — Mise un altro ramo sul fuoco, poi alzò lo sguardo, aggrottando la fronte. — Il tempo peggiore è in primavera. Su questo Nia ha ragione. In questo periodo dell’anno è improbabile che si vedano i danzatori neri. Le nuvole che saltellano e fanno giravolte.
Trombe d’aria. Ne avevo vista una il primo anno che avevo vissuto nel Minnesota. Avevo ancora incubi su quella dannata cosa. Mi terrorizzavano più delle onde di maremoto o dei vulcani. Forse perché erano imprevedibili.
Arrivarono Derek e l’oracolo. Lasciarono cadere la loro legna accanto alla mia sul fondo della grotta. L’oracolo disse: — Ha un aspetto terribile là fuori. — Si massaggiò il collo. — Aiya! Sono stanco.
— Come va il tuo braccio? — m’informai.
— Non è quello il problema. Adesso è la mia pancia. Ha brontolato tutta la notte. Non sono riuscito a dormire e mi sento ancora nauseato.
— La frutta — disse Derek. — Mi chiedevo se non ti avrebbe fatto male.
Tornò anche Nia. — È iniziato a piovere. Grosse gocce. Quando colpiscono la roccia, fanno un segno grande come la mia mano.
Aggiunse la sua legna al mucchio e si sedette. — È passato molto tempo dall’ultima volta che sono stata sulla pianura. E di norma in questo periodo dell’anno mi troverei a nord di qui con la mandria e il villaggio. Credo… non sono certa… che i temporali siano peggiori lungo il fiume.
— Non credo — disse Ulzai. — Ma non ne sono sicuro neppure io. Non ho passato molto tempo sulla pianura. — Fece una pausa. — C’è una domanda che voglio farti da un po’ di tempo.
— Sì? — disse Derek.
— Non voglio farla a te. — Ulzai guardò Nia. — Tanajin mi ha detto che sei una lavoratrice del ferro.
Nia esitò, poi fece il gesto dell’affermazione.
— Ha detto che appartieni al Popolo del Ferro.
— Sì. — Ebbe una breve esitazione. — Vi appartenevo.
— Sei tu la donna di cui abbiamo sentito parlare.
Nia non disse niente.
— Era una lavoratrice del ferro e apparteneva al Popolo del Ferro. Non ricordo il suo nome. Non sono sicuro che Tanajin me l’abbia mai detto. Ma mi ha raccontato la sua storia.
— Quale storia? — chiese Nia.
— La donna che amava un uomo. La racconta il Popolo del Ferro. E anche il Popolo dell’Ambra e il Popolo della Pelliccia e dello Stagno. È una donna famosa! Sei tu quella donna?
— Hai intenzione di causare guai? — domandò Nia.
— No. Perché credi che abbia accettato di aiutarvi? Tanajin è la donna del traghetto. Non io. — S’interruppe un momento. — Credi che sia facile per me passare tre giorni insieme ad altre persone? Siete così tanti! E quei due sono strani. — Lanciò un’occhiata a me e a Derek.
Nia fece un verso iroso. — C’è una donna a est di qui. Pensava di conoscermi. Ha cercato di ucciderci.