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"Ho detto che dovevamo tracciare una linea di demarcazione. Dovevamo stabilire una norma invalicabile."

Naturalmente, ero furiosa con Eddie. Chiunque lo sarebbe stato. Sarebbe stato disposto a lasciarci morire in nome di una teoria, per difendere un mucchio di persone che non conosceva da un pericolo che poteva essere immaginario. Era troppo maledettamente astratto per me. Pensai a me sull’isola e a Derek sul suo banco di sabbia. Potevamo morire. Con tutta probabilità.

— L’assemblea non ti ha ascoltato.

— No. Erano bramosi, e hanno sentito la Ivanova fare il suo discorso sul Codice dello Spazio.

— Perché hai partecipato a questa spedizione se non volevi incontrare degli alieni?

— Speravo che sarebbero stati così maledettamente diversi che non ci saremmo potuti danneggiare a vicenda. Ho pensato che se ci fossero state delle persone qui e fossero state vulnerabili, doveva esserci qualcuno sulla nave con una buona memoria. Qualcuno che fosse pronto a difenderli. — Guardò verso il lago scintillante. — Eddie l’Eroe Galattico. L’uomo che ha cercato di salvare il suo popolo… 400 anni dopo e a più di 18 anni luce da casa. — Mi lanciò un’occhiata. I suoi occhiali erano stati trasparenti nella sala da pranzo, ora erano nuovamente come metallo lucidato.

Restai in silenzio.

— Mi sono infuriato. Credo che farò una passeggiata.

— Okay.

S’incamminò lungo la spiaggia. Io andai in cerca della cupola numero uno.

Era deserta: nessun altro acquirente e nessun consulente di moda volontario, niente all’infuori di un computer su un tavolo accanto alla porta. Schiacciai un tasto per la richiesta di indumenti e il computer rispose con una mappa. CORRIDOIO NUMERO DUE, SCAFFALI DALL’UNO AL NOVE. — PREGASI RICORDARE DI INSERIRE LE VOSTRE SCELTE — aggiunse in gialle lettere luminose. — SENZA QUESTA INFORMAZIONE NON POTREMO ADDEBITARE IL VOSTRO CONTO.

Presi i miei vestiti e tornai nella mia stanza. Il mio letto era rifatto. C’era un biglietto di Derek sul cuscino.

RICORDA SEMPRE: L’ORDINE E QUASI ZELO RIVOLUZIONARIO.

Accartocciai il biglietto e lo gettai nel bidone riciclante, poi indossai un paio di jeans, una camicia di un rosa vivace, alti stivali, una cintura di pelle di lucertola. Mi serviva qualche gioiello. Il computer non ne aveva, il che non era affatto sorprendente. Se volevo dei gioielli sulla nave, non schiacciavo il tasto del reparto approvvigionamenti, ma quello relativo ad arti e manufatti, oppure mi rivolgevo agli scambi personali.

Misi il resto degli indumenti in un armadietto, quindi decisi di fare una passeggiata. Non a sud, dov’era andato Eddie. A nord, lungo la riva.

La spiaggia era stretta in quella direzione e i cespugli crescevano quasi vicino all’acqua. C’erano affioramenti di roccia.

Dopo un po’ mi voltai a guardare indietro. Riuscivo a vedere la banchina e gli aeroplani a razzo, ma non le cupole. Erano nascoste dalla vegetazione. Trovai un masso di calcare e mi ci sedetti sopra. C’erano uccelli che guizzavano lungo la riva. Erano uguali a quelli che avevo visto prima: piccoli e bruni. Corridori, non volatili. Uno si fermò e distese le ali. Aveva artigli sulle punte e alle giunture.

— Li-sa? — fece una voce.

Mi girai.

Lì in piedi c’era Nia. La sua tunica era strappata, la pelliccia arruffata. Nel complesso aveva un’aria miserabile.

Balzai giù dalla roccia e l’afferrai, abbracciandola stretta. Lei s’irrigidì, poi ricambiò il mio abbraccio.

— Sei viva!

— Lo siamo tutti e due.

La lasciai andare e feci un passo indietro. — Chi?

— Io — rispose l’oracolo.

Il suo gonnellino era in condizioni peggiori della tunica di Nia. Era uno straccio grigio che gli copriva a mala pena la zona pubica.

— Ulzai?

Nia fece il gesto che indicava che non sapeva. — Ci siamo aggrappati alla barca dopo che si è capovolta. Ha galleggiato capovolta e ci ha portati attraverso le rapide. Aiya! Che esperienza!

— Io non so nuotare — disse l’oracolo. — Ma il mio spirito si è preso cura di me, come sempre. E anche di Nia.

Nia fece il gesto della gratitudine. L’oracolo rispose con il gesto dell’accettazione.

Io feci il gesto che chiedeva ulteriori informazioni.

Nia disse: — La barca ha disceso la corrente. Ci siamo tenuti aggrappati. Tutto il giorno. Tutta la notte. Alla fine la corrente l’ha portata dove l’acqua era bassa. Eravamo in grado di stare in piedi.

— A stento — disse l’oracolo. — Le mie gambe erano come corde. Aiya!

Nia gli lanciò un’occhiata, aggrottando appena la fronte. — Abbiamo tirato sulla riva la barca e ci siamo riposati, poi io mi sono guardata attorno. Eravamo su un’isola. Era grande e coperta di arbusti. Non c’era acqua, a parte quella del fiume, che per me sapeva di fango. E non molto cibo.

"Abbiamo deciso di discendere ancora il fiume. Ho trovato dei rami che servissero da pagaie. Adesso mi siedo."

Feci il gesto dell’assenso. I due nativi si sedettero per terra. Seguii il loro esempio.

— Non è stato un viaggio facile — disse l’oracolo. — I rami non valevano molto come pagaie.

— Forse saremmo dovuti restare dov’eravamo — disse Nia. — Ma ho pensato che i vostri amici sarebbero stati al lago. Avremmo potuto riferire a loro quello che era successo. Forse avrebbero saputo come trovarvi. — Fece una pausa e si grattò il naso. — Abbiamo trascorso tre giorni viaggiando sul fiume. Il primo giorno siamo rimasti in prossimità della riva. Poi, nel tardo pomeriggio, abbiamo visto una lucertola. Una grossa, che stava distesa sull’argine. Non ha mostrato nessun interesse per noi, ma ci siamo spaventati. Ci siamo spostati verso il centro del fiume.

"Abbiamo trovato un’isola con alcuni alberi e ci siamo accampati. Ero abbastanza sicura che le lucertole non sapessero arrampicarsi.

"Il giorno dopo abbiamo proseguito. Nel pomeriggio siamo arrivati al lago. Ci siamo accampati sulla sponda orientale. C’era qualcosa nell’acqua molto al largo. Era bassa e scura. Abbiamo pensato che fosse un’isola.

"Di notte c’erano delle luci che brillavano là sopra, e c’erano altre luci sulla riva. Ho pensato: questa è la gente di Li-sa. Dovremo attraversare il lago.

"La mattina seguente è successo qualcosa di inaspettato." Nia fece una pausa.

— È caduto qualcosa dal cielo — continuò l’oracolo. — C’è stato un gran baccano. Siamo corsi a nasconderci. Quando il rumore è cessato, siamo tornati indietro. C’erano due isole nel lago.

— Ho sentito raccontare di pietre che cadono dal cielo — disse Nia. — Ma le pietre non galleggiano. Ho pensato fra me e me: questa cosa è nuova. Ed è grossa.

Nia mi guardò. Il suo sguardo era fermo. — Non mi è piaciuto, Li-sa. Ho incominciato a sentirmi inquieta. Ho pensato: qui sta succedendo qualcosa che non capisco, ed è qualcosa di grosso.

L’oracolo aggiunse: — In seguito siamo stati attenti.

Nia fece il gesto dell’approvazione. — Eravamo nel punto in cui il fiume entra nel lago. Abbiamo aspettato fino all’imbrunire e abbiamo attraversato. Non è stato facile. Vogavamo di traverso alla corrente. Ma ce l’abbiamo fatta. Abbiamo nascosto la barca. Poi abbiamo proseguito attraverso la foresta sotto la scogliera del fiume. Non c’era nessuna pista. Abbiamo dovuto salire e scendere fra le rocce. Ci siamo dovuti aprire la strada fra la vegetazione. Aiya!

"Siamo arrivati al villaggio. Quello che appartiene alla tua gente. Ci siamo nascosti." Tacque per un momento. "Questa è la parte più difficile della storia."

— Abbiamo deciso di non entrare — disse l’oracolo. — Non subito. Volevamo essere sicuri che il villaggio appartenesse davvero alla tua gente. Siamo rimasti nella foresta e abbiamo osservato. Abbiamo visto. — L’oracolo esitò. — C’erano barche sul lago che si muovevano da sole. Andavano avanti e indietro fra le isole e la riva. C’erano altre cose. Carri. Gente che ci viaggiava dentro. I carri si muovevano nello stesso modo delle barche, senza che nessuno facesse alcun lavoro. E i carri facevano rumori. Ruggivano come assassini-delle-foreste. Lanciavano grida come osubai. Siamo riusciti a vedere che erano fatti di metallo. Sapevamo che non erano vivi. Ma in che modo si muovevano? E perché facevano tanto rumore?