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La guardai, sorpresa. — Sì.

Lei sorrise. — Ho visto le relazioni. Ci sono pitture sulle pareti. Persone e bipedi e alcune lucertole molto grosse, ma nessun… non sono sicura di come chiamarli… pseudo-mammiferi. O mammiferoidi. Nessuna creatura coperta di pelliccia.

"Pensiamo che esista una possibilità che i due continenti quaggiù siano separati da moltissimo tempo e abbiano sviluppato sistemi ecologici veramente diversi.

"Ci sono uccelli sul continente grande. Potrebbero esserci arrivati in volo. E un sacco di animali che ricordano i mammiferi. Ma nessun bipede.

"Questo continente è pieno di uccelli, di bipedi e di animali che ricordano le lucertole. Ma non ci sono molti animali con la pelliccia. Per lo più sono piccoli o, in caso contrario, sono addomesticati."

— Sono arrivati con le persone — dissi. — E le persone sono arrivate dal continente grande.

— Giusto. È quello che pensiamo. Ma stiamo lavorando senza quasi nessun dato.

"Crediamo che le pitture che avete visto siano state fatte dopo l’arrivo delle prime persone, ma prima che queste avessero avuto grosse conseguenze sulla fauna locale. Forse i primi abitanti sono arrivati in epoca anteriore all’addomesticamento degli animali. O forse avevano imbarcazioni troppo piccole per trasportare parecchio di qualunque cosa. Come ho detto, siamo quasi privi di dati.

"Il che mi riporta al brutto-cattivo." Lo indicò con un cenno della mano.

Quello tirò su col naso, poi sbadigliò, mostrando file di denti appuntiti. Una lingua nera si arricciò. Chissà che cosa mangiava?

— Carne cruda e foglie — disse Marina. — È onnivoro.

— Sai leggere nel pensiero?

— So fare deduzioni logiche. — Fece un altro cenno con la mano. — È troppo grosso per essersi nascosto su un’imbarcazione, o una zattera, o qualunque cosa questa gente abbia usato per arrivare qui. E non riesco a pensare a una ragione qualsiasi perché qualcuno avrebbe voluto portare una cosa del genere in un viaggio oceanico. E non è poi tanto somigliante ai mammiferoidi che ho visto.

Feci il gesto della domanda.

— Faresti meglio a parlare in inglese.

— Non lo è?

— No. Per prima cosa, non ha capezzoli. Non riesco a trovare alcuna prova che allatti. Gli animali sul continente grande lo fanno. Altra cosa, ha squame rudimentali. Sono nascoste fra le verruche e le setole.

— Davvero? — Diedi un’altra occhiata all’animale. Era difficile capire a che cosa assomigliasse. Un bradipo? Non proprio. Un formichiere coperto di aculei? No. E una lucertola pelosa? Forse. E che cosa dire di un incrocio fra un tasso e un rospo?

Niente di appropriato. Era una creatura di una specie a sé.

— Pensi che deponga uova?

— Può darsi. Non lo saprò finché non l’avrò aperto.

Decisi di non pensare a quello. — Da dove credi che provenga?

— Non ne ho la minima idea. Forse si è evoluto qui. Forse è arrivato da una delle isole. Forse è originario del continente grande. Potrebbe essere mutato dopo essere arrivato qui, aver trovato una nicchia ecologica vuota ed essersi evoluto in modo da riempirla.

"È stato un vero inferno sulla nave. Avevamo troppi interrogativi e troppo poche informazioni. Ce ne stavamo seduti lassù a tessere folli teorie, come un mucchio di ragni ai quali è stato dato un allucinogeno." Marina si alzò in piedi. "Be’, ho finito. Vado fuori a controllare le mie trappole." Sorrise. "È semplicemente sorprendente. Non ho la minima idea di quello che troverò."

Rimasi lì e osservai gli animali. Avevano tutti l’aspetto vagamente miserabile delle creature in gabbia. Forse ero io a volerlo vedere. Non mi sarebbe piaciuto essere al loro posto, ma forse a loro non importava.

Il brutto-cattivo mi guardò, poi fece qualche altro passo. Si stava innervosendo? Decisi di andarmene.

Adesso c’erano due imbarcazioni ormeggiate alla banchina, e alcune persone stavano scaricando casse. Andai ad aiutare.

Finimmo all’incirca all’ora in cui il sole tramontava. Le scogliere del fiume gettavano lunghe ombre sul campo. Il lago luccicava ancora, riflettendo il cielo verdeazzurro. Le persone che avevo aiutato mi ringraziarono. Tornai alla mia cupola e trovai Derek nel corridoio fuori dalla mia stanza. Portava un paio di pantaloni di denim bianco. Erano inzuppati. Non aveva nient’altro addosso. — Ho appena iniziato l’oracolo all’acqua corrente calda e fredda. È meglio che torni da lui. Potrebbe annegare. Va’ alla cupola degli approvvigionamenti. Procurati dei pantaloni corti taglia media e una camicia. Non può più indossare quello straccio.

— Okay. — Mi voltai e tornai da dove ero venuta.

Quando feci ritorno, l’oracolo era già uscito dal bagno e gironzolava per il corridoio con indosso un asciugamano stampato a fiori. Una delle nostre compagne di cupola, una donna asiatica, lo osservava con aria perplessa.

— Dov’è Derek? — chiesi.

— Nella stanza dell’acqua. Mi hai portato qualcosa da indossare?

— Sì. Andiamo qui dentro. — Gli feci strada verso la mia stanza. La donna scosse il capo e tornò alle sue faccende.

Lo aiutai a infilarsi i pantaloncini corti. Erano blu terrestre con un sacco di tasche. La camicia era di cotone a maniche corte, del tipo che s’infilava dalla testa, gialla con il nome della spedizione in caratteri cinesi di un rosso acceso. Dovetti aiutarlo anche con quella.

Terminato tutto quell’affannarsi, feci un passo indietro e l’osservai. La pattina era chiusa, la pelliccia solo un po’ arruffata.

Entrò Derek.

— Come sto? — s’informò l’oracolo. — Sono solenne? È così che un uomo dovrebbe vestirsi fra la vostra gente?

— Sì — rispose Derek.

— Guarda dietro di te — dissi.

L’oracolo si girò e si trovò di fronte a uno specchio. — Aiya! Se è grande! Neppure mia madre la sciamana aveva qualcosa di così grosso. — Osservò con attenzione la propria immagine riflessa, aggrottando la fronte, poi scoprendo i denti. Si tolse un granello di qualcosa fra gli incisivi superiori. — Spero che Nia ritorni presto. Sono affamato. È una fatica fare un bagno nel modo che usate voi.

— Ripetilo ancora — fece Derek.

— No — disse l’oracolo. — Una volta è sufficiente. Adesso voglio uscire. Le vostre case sono troppo piccole. Ho la sensazione che le pareti mi schiaccino. — Serrò fra loro le mani come esempio.

— Accompagnalo tu — mi disse Derek. — Io voglio cambiarmi i vestiti e fare un sonnellino.

— Okay.

Le luci del campo si erano accese. Brillavano sopra le porte e dalla sommità di pali metallici. Un fuoristrada ci passò accanto sobbalzando sul terreno pieno di solchi. Qualcuno mi chiamò. Sorrisi e agitai la mano, non riconoscendo la voce.

Arrivammo sulla banchina. C’erano luci anche qui: piccole luci gialle che illuminavano i nostri piedi e la superficie della banchina. Non ero del tutto certa di che cosa fosse fatta. Cermet? Fibra di vetro? Qualcosa di grigio e di ruvido. Dondolava sotto il nostro peso. I segmenti andavano su e giù ogni volta che arrivava un’onda.

C’era un brulicare di insetti attorno alle luci. Erano tutti della stessa specie: sottili corpi verdi e grandi ali trasparenti. Le ali luccicavano.

— Sono quasi disposto a mangiare quelli — dichiarò l’oracolo.

Guardai lungo la spiaggia. Una persona emerse dall’oscurità portando una filza di pesci. La chiamai: — Nia?

— Li-sa! Mi serve un coltello.

Cercai nella mia tasca. — Ne ho uno.

— Ho trovato un posto per accamparci. Una grotta. — Si voltò e fece un cenno della mano in direzione della scogliera, visibile solo come una zona buia fra le luci del campo e le stelle. — Ci sono acqua e legna secca.

— Potete benissimo restare con noi — dissi.

Lei fece il gesto che significava "grazie, ma no grazie".

— Allora posso venire io con voi?

— Perché?

Esitai. Come spiegarlo? La giornata era stata troppo intensa. Avevo ricevuto troppe informazioni e avevo bisogno di pace e di silenzio. Di un ambiente che fosse familiare.