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— Allora, ci facciamo una chiacchierata? — mi disse quando sedetti.

Non risposi, tenendo premuti i pezzi di garza che tendevano a scivolare sulla guancia.

— Abbiamo avuto visite, eh?

— Sì — risposi seccamente. Non avevo nessuna voglia di dargli retta, su quel tono.

— E siamo riusciti a sbarazzarcene? Be’, si può dire che tu vai per le spicce.

Continuava a toccarsi la fronte, che si squamava lasciando apparire le chiazze di pelle rosea dell’epidermide nuova. Lo guardavo sbalordito. Come mai l’abbronzatura di Snaut e Sartorius, fino a quel momento, non mi aveva dato da pensare? Per tutto quel tempo avevo creduto che fosse effetto di un colpo di sole: ma nessuno si abbronza, su Solaris…

— Spero che, per cominciare, avrai proceduto con senno — mi disse, senza pensare che avevo potuto avere un’improvvisa illuminazione. — Narcotico, veleno, lotta libera o che?

— Che cosa vuoi? Possiamo essere schietti. Se hai voglia di fare il buffone, è meglio che tu te ne vada.

— Certe volte si è buffoni senza averne voglia — mi disse.

Alzò gli occhi per scrutarmi. — Non mi dirai che hai usato la corda o il martello? Non avrai buttato il calamaio come Lutero, no? Eh! — fece una smorfia. — Sei un eroe! Non hai staccato il lavandino, non hai tentato di spaccarti la testa contro il muro, niente, non hai demolito la stanza, ma semplicemente e subito, detto e fatto, hai imballato, spedito, e via!

Guardò l’orologio.

— Dovremo avere due o tre ore libere, adesso — concluse.

Mi guardava, con un sorriso antipatico. Riprese: — Su. Mi giudichi un maiale?

— Un porco fatto e finito — sottolineai.

— Sì? Tu mi avresti creduto, se te l’avessi detto? Avresti creduto una sola parola?

Non replicai.

— E’ capitato a Gibarian per primo — continuò, sempre con un ghigno. — Si chiuse nella sua cabina, e parlava soltanto attraverso la porta, e noi, puoi figurarti come l’abbiamo giudicato.

Sapevo, ma preferivo stare in silenzio.

— E’ chiaro. L’abbiamo considerato un pazzo. Ci disse qualcosa attraverso la porta, ma non tutto. Ti puoi immaginare il perché, per quale motivo nascondeva chi c’era da lui? Be’, sai: suum cuique. Ma era un vero studioso. Ci ha chiesto di concedergli una possibilità.

— Quale?

— Sperimentava, suppongo, cercava di classificare la cosa, arrivare a un ordine, risolvere. Lavorava di notte. Sai che cosa faceva? Sì, probabilmente lo sai!

— Quei calcoli — dissi. — Nel cassetto. Nella cabina radio. E’ stato lui?

— Sì, ma allora non sapevo ancora niente di tutto questo.

— Quanto è durato?

— La visita? Circa una settimana… Le discussioni attraverso la porta. Ma che cosa succedeva! Pensavamo che avesse allucinazioni, disturbi del comportamento. Gli ho dato la scopolamina.

— Come… a lui?!

— Eh, sì. La prendeva; ma non per sé. Sperimentava. Così andò avanti.

— E voi…?

— Noi, il terzo giorno, decidemmo di raggiungerlo, anche a costo di buttare giù la porta. Sinceramente, volevamo curarlo.

— Ah! E’ per questo! — mi scappò detto.

— Sì.

— E allora… nell’armadio…

— Sì, ragazzo mio. Sì, non sapeva che intanto alcuni ospiti erano venuti a trovarci. Non abbiamo più potuto occuparci di lui. Non lo sapeva, ma adesso… è una cosa normale, è una routine. — Lo disse talmente a bassa voce che indovinai l’ultima parola più che udirla.

— Aspetta, non capisco — dissi. — Ma come, dovevate sentire. Avevi detto che continuavate a sorvegliarlo. Dovevate sentire due voci, e allora…

— No. Solo la sua voce, anche se c’erano altri rumori incomprensibili. Capirai, pensavamo che fossero tutti suoi…

— Solo la sua…? Ma… come mai?

— Non lo so. Veramente ho una certa teoria su questo argomento. Ma penso che non valga la pena di essere precipitosi, tanto più che chiarire certe cose non aiuta per niente. Già.

Ma tu devi avere visto qualcosa ieri, altrimenti ci avresti preso per due matti.

— Pensavo di essere impazzito io.

— Ah, sì? E non hai visto nessuno?

— Eh, sì, che ho visto.

— Ma chi?

La sua smorfia non era più un sorrisetto. Lo guardai a lungo prima di rispondere: — Quella… nera…

Non mi rispose, ma tutto il suo corpo, che era piegato in avanti, si distese leggermente.

— Potevi avvisarmi — incominciai, con minore convinzione.

— Ti avevo avvertito.

— In che modo, però!

— Nell’unico possibile. Cerca di capirmi, non sapevo chi sarebbe venuto! Nessuno lo sapeva, non si può saperlo…

— Senti, Snaut, qualche domanda. Tu che conosci la cosa da un po’ di tempo. Con quello… quella… che cosa succederà?

— Mi chiedi se tornerà?

— Sì.

— Torna, e non torna.

— Che significa?

— Tornerà come era… come durante la prima visita. Semplicemente, non saprà niente; o meglio, sarà come se tutto ciò che hai fatto per toglierla di mezzo non fosse accaduto.

Se non provochi una certa situazione, non sarà aggressiva.

— Quale situazione?

— Dipende dalla circostanza.

— Snaut!

— Cosa vuoi?

— Non possiamo permetterci il lusso di fare dei misteri!

— Non è un lusso — mi interruppe seccamente. — Kelvin, ho l’impressione che tu non capisca, o… aspetta!

Gli brillarono gli occhi.

— Mi puoi dire chi è stato qui?

Deglutii. Abbassai la testa. Non volevo guardarlo. Avrei preferito che fosse qualcun altro, non lui.

Non avevo scelta. Il pezzo di garza si staccò e mi cadde nella mano. Rabbrividii nel sentire quella cosa scivolosa.

— La donna… che… — m’interruppi. — Si uccise. Si fece… si iniettò…

Aspettava. — Suicidio? — domandò, vedendo che tacevo.

— Sì.

— Tutto qui?

Continuavo a stare in silenzio.

— Non può essere tutto…

Alzai rapidamente la testa. Non aveva lo sguardo su di me.

— Come lo sai?

Non mi rispose.

— Bene — dissi. Mi inumidii le labbra. — Avevamo litigato.

Veramente no. Sono stato io a dirle… sai, ciò che si dice quando si è arrabbiati. Presi le valigie e me ne andai; mi fece capire, non dicendomelo direttamente, ma quando si convive da tempo con qualcuno non è necessario… Ero sicuro che l’aveva detto tanto per dire, che avrebbe avuto paura di farlo… e non glielo nascosi. Il giorno dopo, ricordai di avere lasciato in un cassetto… le iniezioni; sapeva che c’erano, le avevo portate dal laboratorio, ne avevo bisogno. Le avevo spiegato come funzionavano. Ebbi paura e volevo tornare a prenderle, ma poi pensai che così avrei avuto l’aria di avere preso sul serio le sue parole e… lasciai stare la cosa, ma il terzo giorno ci andai, perché non mi davo pace. Quando arrivai, non era più viva.

— Ah, ragazzaccio innocente… — mi fece sussultare. Ma, quando lo guardai, capii che non mi stava prendendo in giro.

Lo osservai come se fosse la prima volta. Aveva la faccia grigia, la stanchezza era evidente nei solchi profondi sulle guance. Aveva l’aria di un uomo molto malato.

— Perché parli così? — domandai, stranamente intimorito.

— Perché questa storia è così tragica. No, no — aggiunse rapidamente vedendo che mi ero mosso, — continui a non capire. Di certo, forse soffri, forse credi di essere un assassino; ma… c’è di peggio.

— Ma guarda! — dissi ironicamente.

— Sono contento che tu non mi creda. Le cose accadute possono essere tremende, ma più tragico è ciò che… non è accaduto, mai.