Il venditore li seguì con lo sguardo a lungo prima di tornare alla sua attività principale: guardare a nord, poi a sud, a nord, a sud. Non una sola occhiata alla spiaggia.
Alla ricerca di qualcosa in particolare. O qualcuno?
Segnalazione anonima. Possibile? Dio era così generoso?
Studiò ancora per una ventina di minuti il venditore di souvenir e non registrò modifiche di comportamento: due passi dietro il bancone, perlustrazione oculare della promenade, manipolazione di bambolotto, due passi dietro al bancone… A un tratto il rito fu interrotto. Il brutto eeffo scomparve dietro alla tenda che costituiva la parete posteriore del baracchino. Probabilmente dietro c’era un magazzino. Forse una toilette.
Per cinque minuti il bancone rimase incustodito e dei bambini di passaggio lo alleggerirono di un mazzo di cartoline sfilate dall’espositore. Quando il venditore tornò, si stava ancora asciugando le labbra.
Una pausa per un sorsetto. Ed eccolo di nuovo all’opera: su e giù con gli occhi. Su e giù. Sicuramente in caccia.
Possibile? Davvero? No, probabile che aspettasse qualcuno per uno dei suoi sporchi affari, forse un’operazione di spaccio.
Eppure la segnalazione era giunta da qualche parte.
Per uno così, che passava la giornata a mettere in vendita stronzate che nessuno gli comprava, venticinquemila dollari dovevano sembrare un’autentica manna. Un ottimo motivo per essere sulle spine.
Lo osservò ancora. Stesso schema di prima. Un’altra pausa per un cicchetto. Quell’uomo era automatizzato, o aveva inserito il pilota automatico, gli ricordava fin troppo i rimbambiti che incontrava quando andava a trovare sua madre.
Valeva senz’altro la pena saperne qualcosa di più. Che cosa aveva da perdere?
Si alzò, percorse cento metri a sud, invertì la rotta e si avvicinò alla fila dei negozi, passando rasente il baracchino in modo da poter leggere l’orario di apertura. Eccolo: ORARIO ESTIVO: LUN-VEN 11-17 SAB-DOM 11-20.
Sarebbe tornato poco prima delle otto quando era presumibile che la folla si fosse diradata. Doveva sperare che non chiudesse in anticipo o qualcuno non venisse a sostituirlo. In tal caso c’era sempre l’indomani.
Non avendo altre piste a disposizione, si sarebbe dovuto accontentare e decise di accettare con entusiasmo quello che passava il convento.
Ottimismo, quella era la chiave giusta. Senza mai perdere il senso dell’ironia.
70
Saddlewax Road era a poche centinaia di metri per Palos Verdes. Lungo il percorso Petra scorse due bambine in perfetta tenuta da cavallerizza in sella a splendidi cavalli dal mantello scuro. Le sorvegliava un’istruttrice su uno stallone nero.
La casa di Balch era a tre quarti della strada alberata, un ranch a stucco color albicocca in fondo a uno spesso tappeto di edera. Il terreno circostante, come quello delle case vicine, era delimitato dal solito steccato bianco. Ragazzini che giocavano a basket; un uomo in polo color verde smeraldo che innaffiava una Corvette d’epoca. L’atmosfera generale era quella di famiglie dal roseo futuro.
Strano posto per uno scapolo. Forse il residuo di un matrimonio.
Anche sopra il portellone del box di Balch era fissato un canestro. Nessun veicolo parcheggiato davanti. Le poche rose piantate a ridosso della casa erano esili e appassite e le assicelle del tetto deformate. Davanti all’ingresso si era accumulata la corrispondenza di quattro giorni. Un foglietto pinzato alla zanzariera avvertiva che l’ufficio dello sceriffo aveva sequestrato l’immobile e che l’accesso era vietato. Nessuno si era preoccupato della posta.
Wil telefonò allo sceriffo e ottenne l’autorizzazione a entrare. Se lui e Petra avessero prelevato qualcosa, ne stilassero un elenco e gliene facessero pervenire una copia. Mentre lui si armava di buste di plastica e moduli dal bagagliaio dell’automobile, Petra raccolse la corrispondenza. Poi entrarono.
Il soggiorno era al buio. Rancido. Cosparso di giornali ancora ripiegati, indumenti sporchi, lattine vuote di birra e pepsi, bottiglie di succo d’arancia e di vodka. Un patito di screwdriver.
Un porcile, proprio come l’ufficio. Al contrario della Lexus. Mentre Petra leggeva la corrispondenza, Wil attaccò i divani, rimuovendo i cuscini, togliendone la fodera, asportandone l’imbottitura.
Il servizio postale non aveva recapitato corrispondenza, solo fatture e pubblicità. Tre giorni prima Balch era stato visto a Montecito a scambiare le automobili dopo aver seppellito Estrella Flores. Dove le aveva tagliato la gola? Probabilmente nelle colline dietro a RanchHaven. Petra era propensa a credere che avesse sopraffatto la cameriera a casa e l’avesse portata via passando per la pista antincendio, per ucciderla in un luogo appartato. Aveva quindi caricato il cadavere in macchina, avvolto nella plastica e nascosto nel bagagliaio, per trasportarlo a Montecito, dove lo aveva sotterrato. Aveva lasciato la Lexus laggiù perché convinto di averla pulita e perché non c’era ragione che i poliziotti andassero a controllare la seconda casa di Ramsey.
Aveva prelevato la Jeep perché quello era il veicolo che aveva usato per assassinare Lisa e voleva assicurarsi che anch’esso fosse pulito a sufficienza?
Ricordò il suo atteggiamento durante il colloquio. Dimesso, sottotono. Nemmeno un accenno di intemperanza, ma se era malato di mente fino a quel punto, perché avrebbe dovuto sentirsi a disagio?
L’allusione al brutto carattere di Lisa, alle critiche che rivolgeva a Cart. Scarpe da corsa nuove di zecca. E bravo il nostro signor Gregory Balch. Perché allora un uomo così astuto aveva fatto il lacchè per tutta la vita?
Per rubare dalla cassa del suo boss in attesa del momento giusto per scomparire? Avendo in origine progettato di farlo con Lisa, fino al giorno in cui qualcosa era andato storto?… Forse in quel preciso istante Balch era in Brasile con un paio di valigie piene di denaro contante e nel cuore e nella mente la soddisfazione di aver distrutto la vita di Ramsey in più di un senso.
Il frigorifero in cucina le offrì il mesto spettacolo delle scorte di uno scapolo, solo pietanze comperate già cotte, in gran parte di un ristorante cinese della zona, insieme con altro succo d’arancia, altra Smirnoff.
In soggiorno Wil proseguiva nella sua lenta, meticolosa opera di demolizione.
Petra decise di compiere un giro dell’abitazione. Trovò tre camere da letto, due completamente vuote, una ridotta a un caos disgustoso; due bagni, una zona pranzo comunicante con la cucina e, accanto al soggiorno, uno studio con le pareti perlinate e una finestra che dava dietro casa. Lo studio conteneva solo una poltrona reclinabile rivestita in pelle e un televisore a schermo gigante. Sopra l’apparecchio riconobbe un decodificatore illegale. Accese il televisore e fu aggredita dalla visione di un metro e mezzo di pene che penetrava in una vagina in un sottofondo di gemiti e mugolii.
«Ah, gli uomini», commentò Wil ridendo.
Petra spense il televisore, aprì le tende. Il terreno retrostante era di dimensioni discrete, con alcuni alberi e una piscina ovale. Ma l’erba era alta abbastanza da farne fieno e l’acqua nella vasca era una zuppa verdastra. Un muro alto e una corona di arbusti proteggevano la proprietà da sguardi indiscreti da parte dei vicini. Fortuna per i vicini.
Anni-luce dal tenore di vita principesco di Ramsey. Altrettanti anni trascorsi a non somigliargli minimamente.
Decise di affrontare la camera che sembrava un porcile. Puzzava come il fondo di una cesta per la biancheria sporca. Letto matrimoniale da grandi magazzini, lenzuola e federe nere con le macchie tipiche dei capelli grassi. Calzò i guanti e sigillò la biancheria da letto nelle buste di plastica che aveva portato con sé. Il materasso era ammuffito. Anche con le mani protette dalla gomma, provava ribrezzo a toccare quella roba.