PLYR 1!
Come?
Oddio, no, oh no… viene verso di me e ha un coltello… un uomo grosso e roseo con un coltello. Voglio gridare, ma ho la gola paralizzata. Cerco la maniglia, trovo solo aria, e lui arriva veloce, è più vicino, che coltello enorme… corro verso sinistra, ma lì c’è solo un angolo, non ho dove andare, la libreria mi chiude la strada. Devo fare qualcosa… lanciare qualcosa, ha già funzionato una volta… libri!
Comincio a toglierli dagli scaffali e glieli scaglio addosso con tutte le forze. Ogni tanto lo colpisco, ma lui si fa sotto lo stesso, cammina più piano, sorride, se la prende comoda, muove il coltello davanti a sé, avanti e indietro.
Io continuo a prendere libri dagli scaffali e a lanciarglieli addosso, lo colpiscono alla faccia, al petto, alla pancia, lui ride, ne para qualcuno con l’altra mano, viene avanti, la stanza è al buio, ma lui mi vede, viene per me.
Cerco di spingere in mezzo il divano, ma è troppo pesante.
Ride.
Afferro il leggio degli spartiti e gli scaglio addosso quello.
Non se l’aspettava. Perde l’equilibrio e io gli giro intorno, corro in cucina, verso la porta abbattuta.
A un tratto sono lungo e disteso.
Qualcosa mi tiene la gamba.
Mi tira per la caviglia, vedo le sue ginocchia che si flettono, vedo il suo mento, il braccio, il coltello che scende.
Mi ritorco come un serpente, devo muovermi, continuare a muovermi, forse se mi muovo sbaglia e riesco a scappare dalla porta della cucina. Mi stringe la caviglia, mi fa male, lo prendo a pugni, continuo a dibattermi, avvicino abbastanza la testa al braccio che mi tiene per la caviglia e mordo, mordo con forza, Billy Serpe, Billy Vipera.
Grida e mi lascia andare e vorrei scappare dalla porta aperta, ma c’è lui in mezzo, dove, dove, dove… L’unica alternativa è ingannarlo con una finta, spostarmi a sinistra e poi a destra, in bagno. Se mi va bene mi ci chiudo dentro.
Balzo in piedi corro veloce come mai attraverso la cucina corre anche lui ha il fiatone arrivo in bagno sbatto la porta la chiudo a chiave mi infilo tra il water e la vasca pavimento freddo sto ansimando il petto mi fa male da…
Nessun rumore.
Poi ride di nuovo. Passi. Passi lenti. Ha ripreso fiato.
Cerco di riprenderlo anch’io, ma a ogni respiro faccio un verso che sembra un cigolio.
Attraverso la porta sento: «Sei uno stupido stronzetto. Ti sei fregato».
Ha ragione.
In bagno non ci sono finestre.
Sta prendendo a calci la porta trema il legno si gonfia come un pallone e si crepa nel mezzo salto fuori apro l’armadietto dei medicinali frugo nel buio cerco qualcosa di affilato una lama di rasoio forbici qualsiasi cosa nessun rasoio niente forbici qui c’è qualcosa di appuntito una limetta per unghie credo non è affilata ma la prendo lo stesso lui scalcia un pezzo di gamba passa attraverso calzone nero scarpa da tennis nera io pianto la lima nel calzone colpisco l’osso ma la lima scivola non va dentro lui urla mi chiama piccolo bastardo…
Un’altra esplosione più forte di prima.
Qualcosa passa attraverso la porta mi sfreccia accanto lo specchio dell’armadietto dei medicinali si sbriciola sento un dolore dietro la testa ci metto una mano c’è caldo qualcosa di appiccicoso punture di frammenti di vetro.
Una pistola. Ha anche una pistola.
Mi infilo nella vasca lui spara di nuovo ora la porta è piena di buchi e adesso vedo parte di lui le gambe e le scarpe e la cerniera dei calzoni lui continua a sparare io schiaccio la faccia sul fondo della vasca ma una pallottola la colpisce e la porcellana si scheggia e viene giù un pezzo di muro è la fine sono in trappola ho fatto del mio meglio e non è stato abbastanza vi odio tutti… un’altra esplosione la pallottola finisce sopra di me mi casca addosso qualcosa polvere di piastrelle mi sta seppellendo.
Poi la porta non c’è più solo lui grande enorme il coltello in una mano la pistola nell’altra.
Accende la luce.
Io ho ancora la limetta. La vede e ride.
Si mette la pistola in tasca.
Oh no il coltello.
Mi raggomitolo non voglio vedere spero solo di non sentire.
Mi afferra per i capelli mi mette in ginocchio mi sposta la testa indietro.
Mi faccio pipì nei calzoni e la merda mi scivola per la gamba grazie di niente Dio tu non esisti sei un bugiardo…
Un’altra esplosione.
E ancora e ancoraancoraancora non sopporto il rumore non capisco che cosa sta…
Mi molla e io picchio la testa sul fondo della vasca.
Una voce di donna grida: «Mio Dio!»
Poi: «È tutto a posto, caro».
Una mano mi tocca il collo.
Urlo.
80
Spruzzi rossi si sprigionarono dalla schiena, il collo, la nuca di Balch. Più tardi Petra avrebbe saputo di averlo colpito nove volte in un’area di mezzo metro di diametro. Ogni singola pallottola era stata letale. Un piccolo cerchio di morte.
Stramazzò accanto alla vasca da bagno e lì rimase, con la pistola tra le dita. Petra la spostò con la punta del piede, la mandò a finire contro la parete. Sferrò un calcio anche a lui per essere sicura che fosse morto, ma forse non era quella la sola ragione. Il coltello era caduto dall’altra parte. Un coltellaccio militare con il manico nero rivestito di gomma dura. Allontanò anche quello con un calcio e scavalcò il cadavere vestito di nero. Le piastrelle erano costellate di frammenti di osso arrossati dal sangue. Della porta del bagno restava ben poco, un avanzo di telaio appeso ora a un solo cardine.
Il bambino era in posizione fetale nella vasca.
Quel che rimaneva della vasca. Il pavimento del bagno era cosparso di pezzi di porcellana, schegge di vetro, polvere di piastrelle. Il sangue sgorgato dalla schiena di Balch serpeggiava tra le macerie. Sembrava che in quello spazio ristretto fosse scoppiata una guerra. Come aveva potuto quell’idiota pensare di farla franca?
Ci era andato vicino.
Petra non aveva trovato un posto da cui sorvegliare la casa e, sebbene non avesse notato segni di intrusione, l’istinto l’aveva indotta a parcheggiare in seconda fila.
Era scesa nell’aria salmastra temendo di aver seguito un’altra falsa pista.
Poi alcuni colpi di pistola avevano violentato il silenzio, lei aveva estratto la sua ed era corsa dietro la casa, aveva trovato la porta sfondata, una cucina fiocamente illuminata oltre la soglia, un’altra porta semidistrutta sulla sinistra, una sagoma vestita di nero che quasi le riempiva totalmente il riquadro, un coltello alzato, le gambe inerti di un bambino.
«Fermo!» aveva gridato, ma non era stato un avvertimento; aveva già cominciato a sparare.
Quando si chinò sul bambino, lui si rifiutò di muoversi, rimase raggomitolato, gemette quando lei gli parlò, urlò quando lei lo toccò. Che piccolo, che magro! Aveva i capelli sporchi di sangue, disseminati di schegge di vetro. Dodici anni, ma della taglia di un bambino di dieci. Era rannicchiato in una pozza giallognola. Sentì odore di feci, vide la macchia che gli copriva il fondo dei calzoni.
L’impulso a sollevarlo, stringerlo tra le braccia, cullarlo, la investì così forte da farla star male. Si inginocchiò, gli parlò, finalmente riuscì ad accarezzargli i capelli senza che lui la respingesse.
Lo sentì smettere di tremare, irrigidirsi, finalmente rilassarsi. Gli cinse la testa e lui la lasciò fare. Sapeva come dargli conforto. In quel momento le sovvenne Nick. Avevi torto, testa di cazzo.
Quando il bambino riprese a respirare regolarmente, lo adagiò con delicatezza sul fondo della vasca e chiamò un’ambulanza e rinforzi. Tornò in bagno e restò con lui, gli tolse i frammenti di vetro dal cuoio capelluto, si ferì un dito, non ci fece caso. Lo chiamò per nome, usò il tono più suadente senza sapere in realtà che cosa dirgli, spinta dal desiderio di calmarlo, ma come consolare un bambino reduce da un’esperienza come quella?