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De la Torre alzò gli occhi al cielo con un sorriso divertito. «L’alta pressione si scontra con una bassa pressione e scendono insieme a incontrare una media pressione. Con possibili precipitazioni. Contemporaneamente attori pestano le proprie mogli, con possibile omicidio.»

I due veicoli si avvicinarono alla colonna rosa. Il cancello era rivestito da una patina verde. Sulla colonna di sinistra era montata la piastra del citofono, sopra la scritta FORNITORI. Qualche metro oltre il cancello c’era una guardiola.

Stu si sporse dal finestrino, schiacciò il pulsante e annunciò: «Polizia per il signor Cart Ramsey».

Un custode in divisa sbirciò dalla guardiola e uscì. Stu gli stava già mostrando il suo distintivo e prima che il cancello si fosse aperto del tutto, Petra aveva già giudicato dall’atteggiamento della guardia che era desiderosa di collaborare.

«Sì?» chiese. Anzianotto, pancetta, abbronzatura intensa, molte rughe, capelli tinti di beige. Walkie talkie e sfollagente, ma niente pistola.

«Abbiamo bisogno di parlare al signor Ramsey» rispose Stu. «In privato. Credo che sappia quanto tengono alla privacy il signor Ramsey e i suoi vicini.»

Il guardiano sgranò gli occhi. «Ma certo.»

«Dunque possiamo contare su di lei, signor… Dilbeck, e sulla sua discrezione?»

«Si capisce, si capisce. Volete che avverta che state arrivando? Di solito facciamo così.»

«No, grazie», rispose Stu. «Anzi, la prego di non farlo. Mi dica, Dilbeck, il signor Ramsey è entrato o uscito da RanchHaven oggi?»

«Non durante il mio turno. Voglio dire dalle otto in avanti.»

Sarebbe stato logico a quel punto domandare chi aveva svolto il turno di notte. Stu viceversa lo ringraziò e basta. «Come arriviamo alla casa?»

«Continuate verso la cima e prendete la prima a sinistra, che sarebbe la Rambla Bonita. Salite ancora, fino alla fine, e lì c’è la casa. Quella grande tutta rosa, come queste colonne.»

«Rosa», ripeté Petra.

«Che più rosa non si può. Quando l’ha comperata era bianca, ma lui e la moglie l’hanno fatta ridipingere.»

«Perché, a Ramsey non piace il bianco?»

«Non saprei, non è uno che parla molto. Come quel personaggio che fa in TV… Dack non so bene cosa.»

«Forte e taciturno?» fece Petra.

«Mettiamola così.» Dilbeck indietreggiò.

Giunsero in cima alla prima salita. «Combinerebbe, no?» osservò Petra. «Sono sempre i taciturni.»

9

Il parco mi ha accolto come un amico. Io ho imparato.

Cose come gli orari dei ranger e come evitarli. Quali ristoranti buttano via il cibo più fresco e in quali momenti della notte si può andare a pescare nei cassonetti senza il rischio di essere disturbato.

Chi era chi.

Quelli della Western erano spacciatori e volevano solo farsi gli affari loro senza essere scocciati, così io stavo sull’altro lato della strada e dopo un mese circa, uno di loro ha attraversato ed è venuto da me. «Bravo ragazzo», mi ha detto e mi ha allungato cinque dollari.

Ho imparato come procurarmi la roba che mi serve.

Se ti spingi abbastanza a est su Los Feliz, finiscono le case eleganti e cominciano quelle con tanti appartamenti. La domenica la gente che vive lì vende la sua roba sul prato davanti a casa e se tieni duro fino alla fine della giornata puoi tirar su pezzi per un niente, perché loro non hanno voglia di riportarseli via.

Ho comperato per un dollaro una coperta verde che puzzava di cane bagnato e per tre dollari un sacco a pelo e mi sono fatto sganciare gratis anche un temperino a tre lame, una a forma di cacciavite, dallo stesso che mi ha venduto il sacco a pelo.

Certe volte quelli che vendevano mi guardavano in modo strano, perché certo si chiedevano come mai un ragazzino era lì a comperare biancheria intima, ma non hanno mai rifiutato i miei soldi.

Ho comperato una torcia, due confezioni di batterie, delle vecchie T-shirt e un golf e anche un cuscino rotondo da divano duro come un sasso e mezzo marcio, una fregatura totale.

Il primo mese ho speso altri trentaquattro Tampax-dollari. Aggiungendo i cinque ricevuti dallo spacciatore, me ne restavano cinquantasette. Ho trovato i Cinque Posti e ho distribuito la mia roba.

Ho imparato quando sorridere, quando non farlo, quando guardare, quando far finta di non vedere. Ho scoperto che il denaro sa parlare.

Ho fatto errori. Ho mangiato cibo vecchio e sono stato male, una volta malissimo, ho vomitato per tre giorni di fila con la febbre e i brividi ed ero sicuro di morire. Quella volta ero in una grotta al Tre, in mezzo agli insetti e ai ragni e non me ne importava niente. Il terzo giorno sono strisciato fuori prima del sorgere del sole e ho lavato i miei vestiti in un ruscello. Avevo le gambe così deboli che mi sembrava di aver preso tanti calci dietro le ginocchia. Sono guarito, ma da quella volta mi capita spesso di avere mal di pancia.

Ho imparato il giro delle puttane e dei magnaccia e ho visto gente fare sesso nei vicoli, soprattutto donne in ginocchio a ciucciare tizi che non si muovevano, gemevano e basta.

Ho capito che per procurarmi abbastanza soldi da non dovermi fare usare da nessuno, avevo bisogno di cultura, ma come si fa a studiare vivendo in un parco?

La risposta che ho trovato è: impara da solo. Ci vogliono dei libri di testo, quindi una scuola. Una scuola media perché a Watson ero in prima, anche se una volta era venuto un esperto da Bakersfield che mi aveva fatto dei test e mi aveva detto che avrei potuto saltare subito in seconda se mamma firmava certi moduli. Lei aveva risposto di sì, ma poi non l’ha mai fatto e poi ha perso i moduli e l’esperto non si è fatto vivo, così sono rimasto in prima e se non lasciavo correre la fantasia mi prendeva una noia così mortale che mi sembrava di avere un pezzo di legno al posto del cervello.

In una cabina telefonica ho trovato delle Pagine Gialle, me le sono portate al parco e ho cercato sotto Scuole. Non ho trovato scuole medie e mi è sembrato molto strano, così il giorno dopo ho chiamato il provveditorato facendo la voce più bassa che potevo e ho detto che mi ero appena trasferito a Hollywood con mio figlio di dodici anni e che avevo bisogno di una scuola media.

«Un momento, signora», mi ha risposto una donna e mi ha messo in attesa per un sacco di tempo. Quando è tornata mi ha detto: «Thomas Starr King in Fountain Avenue», e mi ha dato l’indirizzo.

Ci sono andato a mezzogiorno. Era a due miglia circa dal Posto Tre in una zona tutta malconcia, ed era gigantesca, con tante palazzine rosa con le porte blu, un cortile gigadontico con un recinto altissimo. Ho aspettato dall’altra parte della strada e ho scoperto che la scuola finiva all’una, con tonnellate di bambini scaricati nel cortile a ridere e a prendersi a cazzotti. Mi ha fatto sentire un dolore in gola.

Se si usciva all’una, allora potevo andarmene in giro per tutto il pomeriggio senza guai.

Mi sono organizzato in questo modo: la mattina la passavo a lavarmi, mangiare quello che avevo messo via la sera per la colazione, leggere e studiare, visitare i Posti per vedere se c’era ancora tutta la mia roba. Il pomeriggio serviva a procurarmi altro cibo e tutto quello che mi serviva.

Sono tornato alla King all’intervallo delle dieci. I bambini erano fuori in cortile e gli insegnanti che ho visto chiacchieravano fra loro. Sono entrato da uno dei cancelli e ho girato un po’ come uno scolaro qualunque. C’erano due diversi magazzini dove tenevano i libri.

Mi ci sono volute otto visite per trovare tutto quello di cui avevo bisogno.

È stato facile. Chi avrebbe sospettato che un bambino rubava libri?

Ho preso libri di testo di prima, seconda e terza, penne e matite, quaderni a righe. Inglese, storia, scienze, matematica, algebra compresa.

Lontano dai compagni rompiscatole e senza Moron a distrarmi, mi potevo concentrare e mi ci sono voluti solo due mesi per finire tutti i libri. Persino quello di algebra, che non avevo mai studiato prima e mi sembrava molto difficile, con tutte quelle lettere-simbolo che all’inizio non riuscivo a capire, ma grazie ai capitoli introduttivi piano piano sono arrivato fino in fondo.