Nello spazio vacante solo una vaschetta di ghiaia per le gocce d’olio.
Alle pareti erano appesi manifesti di corse d’automobili e aerografie di automobili falliche.
Stu e gli aiutanti dello sceriffo avevano smesso di guardare. Uomini e macchine. Petra era una delle rare donne in grado di comprendere quella sindrome. Forse per via dei quattro fratelli, forse per il suo senso estetico, la conoscenza dell’arte funzionale. Una delle ragioni per cui era andata d’accordo con Nick era stata la sua capacità di nutrire con naturalezza la sua stima di sé. Glielo doveva: quel bastardo non aveva un’anima, ma sapeva creare capolavori. Il suo prediletto era la Stingray del ’67, l’apice del design, la definiva. Quando Petra lo aveva informato di essere incinta, lui l’aveva contemplata come se fosse una Edsel…
Greg Balch li precedeva di qualche passo, intento a guidare Ramsey nella stanza successiva, mentre i detective si riprendevano dalla vista dell’interno della rimessa. Lo fece sedere su un ultraimbottito divanetto rivestito di raso color panna e lì l’attore rimase raccolto in sé come in preghiera, capo chino, le mani intrecciate sul ginocchio destro, i muscoli tesi nel collo taurino.
I quattro poliziotti si accomodarono davanti a lui su un divano di tre metri, spostando i cuscini per farsi spazio. Uno di essi finì nel vasto grembo di De la Torre e le sue tozze dita scure cominciarono a tamburellarne il tessuto luccicante. Banks sedeva tranquillo. A delimitare lo spazio fra i poliziotti e Ramsey c’era un tavolino composto da un blocco di granito su cui era appoggiata una lastra di cristallo. Balch andò a occupare una poltrona.
Petra si guardò intorno. Il locale era di dimensioni grottesche, se voleva essere solo uno studio. Presentava una fuga di tre spazi ugualmente cavernosi, tutti arredati con uguali mobili sproporzionati, tutti ugualmente pallidi, rilievi in legno decolorato, gigantesche, terribili opere astratte in colori pastello alle pareti. Attraverso porte a vetri vedeva erba e palme, una vasca in pietra con fontana, un campo da golf di quattro buche, dove l’erba era rasata a zero, quasi grigia.
Sul green erano abbandonati due ferri cromati. Dietro al minigolf c’era il recinto dei cavalli e una graziosa piccola stalla rosa.
Dov’era il veicolo numero cinque? Nascosto in attesa di essere ripulito delle macchie di sangue?
E non potevano nemmeno parlarne. Aveva visto quanto tempo impiegavano i tecnici per controllare con la dovuta cura un veicolo. Se l’indagine fosse giunta al punto da richiedere un mandato di perquisizione, solo per esaminare tutte le automobili di Ramsey avrebbero dovuto impiegare uno squadrone per chissà quanti giorni.
I suoi occhi tornarono al recinto. Balle di fieno, impilate con precisione. Due cavalli a passeggiare, uno dal pelo scuro, uno bianco. Immaginò Lisa in sella a quello bianco, con una giacchetta e calzoni da cavallerizza su misura, i capelli dorati al vento.
Si rese conto di non sapere niente di lei.
Due cavalli. Cinque automobili. E… a che cosa era riservato il posto macchina vuoto?
Ramsey era ancora chino in avanti e taceva. De la Torre, Banks e Stu lo osservavano senza dare nell’occhio. Balch sembrava a disagio, un braccio destro che non sapeva come rendersi utile. De la Torre si girò a guardare di nuovo le automobili. Faccia dura, molto professionale, ma indugiò sulle cromature, gli smalti, le pelli lubrificate, i copertoni color liquirizia. Banks se ne accorse, sorrise. Incrociò gli occhi di Petra e sorrise un po’ di più.
Stu era una sfinge. La sua espressione era quella che lui stesso chiamava della tabula rasa. Che fosse l’interlocutore a riempire gli spazi. Forse lo trovava facile con Ramsey perché non aveva un debole per le automobili, non che Petra sapesse, in ogni caso. Il suo mezzo di trasporto personale era una piccola Chevy, un’utilitaria bianca con due seggiolini per bambini e giocattoli dappertutto. Petra vi aveva viaggiato un paio di volte, ospite a cena di Bishop, se si può definire cena rimorchiarsi dietro sei bambini al Chuck E. Cheese. Ma i videogame erano stati divertenti. Il mondo dell’infanzia le piaceva…
Si ritrovò a sfiorarsi il ventre, ritrasse la mano e riportò la sua attenzione su Ramsey.
L’attore continuava a scuotere la testa come per negare la verità a se stesso, facendo dondolare i riccioli neri. Era una scena a cui Petra aveva assistito molte volte. La negazione. Vera o falsa. Ramsey era un teleinvestigatore privato. Gli attori svolgevano le loro ricerche, doveva saperne qualcosa anche lui.
Greg Balch gli posò di nuovo una mano affettuosa sulla schiena. La sua espressione era ancora quella desolata del lacchè impotente.
Ma Petra tornò a riflettere su Ramsey. E se fosse stato innocente? Se si fosse trovata per le mani un caso irrisolvibile?
Poi ricordò a se stessa che quell’uomo aveva picchiato Lisa. Recitava per guadagnarsi da vivere.
Tornò a guardare quelle grandi stanze informi. Tana uno, tana due, tana tre… di quante tane aveva bisogno un lupo?
Finalmente Ramsey si raddrizzò. «Grazie per essere venuti», mormorò. «Immagino che dovrò chiamare i suoi… oh, Gesù…» Alzò le braccia.
«Dove vivono i suoi genitori?» chiese Stu.
«A Cleveland. Nei pressi, un posto che si chiama Chagrin Falls. Suo padre è medico. Dottor John Boehlinger. Non li ho più sentiti da quando abbiamo divorziato.»
«Chiamo io», si offrì Stu.
«No, no, dev’essere qualcuno che… Lei si occupa di solito di queste cose? Voglio dire fa parte della procedura normale?»
«Sì, signore.»
«Oh…» Ramsey inalò e soffiò aria, si asciugò l’occhio con l’anello che portava al mignolo. «No, credo comunque che dovrei farlo io… anche se… il problema è che non siamo esattamente… Io e i genitori di Lisa. Da quando abbiamo divorziato. Sa come vanno queste cose.»
«Tensione?» suggerì Stu.
«Non so se peggiorerei la situazione chiamando io… Gesù, proprio non so che cosa devo fare.» In quel momento parve soffrire. «Ufficialmente, intendo. Non siamo più sposati, dunque qual è il mio ruolo ufficiale?»
«In termini di che cosa?» chiese Stu.
«Identificazione, organizzare le esequie… Sa… io e Lisa… ci volevamo bene e ci rispettavamo, ma eravamo… vivevamo vite diverse.» Alzò di nuovo le mani. «Parlo a vanvera, starò facendo la figura dell’idiota. E chi se ne frega di organizzare qualcosa!» Si calò un pugno nel palmo dell’altra mano. Si girò a destra esibendo il profilo.
Che mascella, pensò Petra. Nel suo mondo affetto e rispetto si traducevano in un occhio nero e in un labbro spaccato. Il suo labbro inferiore cominciò a tremare e se lo morsicò. Possibile che stesse posando?
«C’è niente che potrebbe dirci su Lisa?» intervenne Petra. «Potrebbe esserci d’aiuto, signore.»
Ramsey si girò adagio e la fissò e Petra ebbe l’impressione di scorgere qualcosa di nuovo nei suoi occhi chiari: analisi, pensiero metodico, un indurimento. Poi, trascorso un secondo, l’impressione svanì e le apparve di nuovo colpito dal lutto e si domandò se si fosse immaginata tutto.
Nel frattempo gli occhi di Ramsey si erano inumiditi. «Era una ragazza in gamba», disse. «Siamo stati sposati per quasi due anni.»
«E quella della droga, signore?» domandò Petra.
Ramsey guardò Balch e il suo biondo assistente alzò le spalle.
«Robetta», rispose allora l’attore. «Avrei fatto meglio a non parlarne. Ci manca solo che se ne impossessi la stampa e allora infangherebbero il suo nome… Gesù, è così che andrebbe, vero? Oh, merda! È così stupido, non è mai stata una tossicodipendente, solo…»
Si abbassò lo sguardo sulle ginocchia.
«Ha ragione, signore», convenne Petra, «prima o poi salterebbe fuori, perciò tanto vale conoscere i fatti. Quando ci sono di mezzo le droghe c’è sempre la possibilità di un atto violento, dunque se potesse spiegarci…»