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«Ci vado subito dopo aver chiamato i genitori.»

Lui le diede l’indirizzo di Doheny Drive.

«Carini i nostri sceriffi a lasciarci condurre la danza con Ramsey», rifletté lei.

«Dopo tutta la cattiva pubblicità che è piovuta addosso a entrambi i dipartimenti, forse qualcuno ha cominciato a farsi furbo.»

«Speriamo.» Il mese prima gli sceriffi erano stati esposti alla pubblica censura per aver rilasciato alcuni assassini in virtù di un errore burocratico, per aver servito prelibatezze gastronomiche ai detenuti a spese dei contribuenti e per aver perso ogni traccia di alcuni milioni di dollari. Qualche mese prima ancora, alcuni agenti del dipartimento di L.A. erano stati arrestati per una rapina a mano armata condotta durante le ore di libertà e una matricola era stata ritrovata nuda e intontita ad aggirarsi per le colline vicino al posto di polizia di Malibu.

«Quell’indirizzo non mi è nuovo», disse Stu. «È a pochi isolati da Chasen’s. Che demoliscono per costruirci un centro commerciale.»

«Ahimè», sospirò Petra. «Niente più cene in compagnia di personaggi celebri.»

«A me è capitato di andarci davvero una volta», ribatté lui. «Ero nel servizio di sicurezza per il ricevimento di un matrimonio. Si sposava la figlia di non ricordo più quale principe del Foro che si occupava degli interessi di gente dello spettacolo. Gli invitati erano tutti divi importanti.»

«Non sapevo che ti occupassi di quelle cose.» Anche.

«Anni fa. Era quasi sempre solo una scocciatura. Ma di quella volta al Chasen’s non mi posso lamentare. Mi hanno dato da mangiare, chili, puntine, bistecca. Gran bel posto, atmosfera di classe. Il ristorante preferito di Reagan… Va bene, parla alla thailandese e informa i genitori. Io cercherò un modo per indagare con discrezione su Ramsey nel suo mondo, sento la Motorizzazione sulla Mercedes, vedo a che punto sono il coroner e quelli della Scientifica e poi me ne vado a casa. Se è saltato fuori qualcosa di interessante, te lo faccio sapere. Ti va?»

«Io sento anche la società dei telefoni e mi faccio dare i dati sul traffico di Lisa.»

«Buona idea.»

Procedura standard.

«Stu, se è stato Ramsey, come facciamo a incastrarlo?»

Nessuna risposta.

«Credo che quello che vorrei sapere», elaborò allora Petra, «è che speranza abbiamo che una storia come questa migliori la qualità della nostra vita? E come possiamo fare del nostro meglio per Lisa?»

Lui giocò con i capelli, si raddrizzò la cravatta.

«Facciamo un passo alla volta», rispose alla fine. «Mettiamocela tutta. Più o meno quello che dico ai miei figli sulla scuola.»

«E noi siamo come scolaretti davanti a questo caso?»

«In un certo senso.»

11

Le scimmie sono quelle che urlano di più. Sono solo le sei e fanno già chiasso.

Lo zoo aprirà tra quattro ore. Io sono stato quassù quando è pieno di gente, si sente soprattutto baccano, ma certe volte distinguo una parola, per esempio i bambini che strillano perché vogliono qualcosa. «Gelato!» «Leoni!»

Quando allo zoo c’è gente, gli animali stanno tranquilli, ma di notte si scatenano; senti gli strepiti di quelle scimmie… e adesso quest’altro verso profondo, di qualcosa di pesante e stanco, forse un rinoceronte. Mi pare quasi di sentirlo parlare: Fatemi uscire da qui! Siamo chiusi qui dentro per colpa della gente, che cosa brutta che è la gente!

Se uscissero davvero, i carnivori salterebbero addosso agli erbivori, quelli lenti, quelli deboli, li ucciderebbero e li mangerebbero e rosicchierebbero le ossa.

Un mese fa circa ho esplorato il recinto di filo spinato intorno allo zoo, ho trovato un cancello in cima in cima, sopra Africa. C’era un cartello con scritto: RISERVATO AL PERSONALE — VIETATO ENTRARE. Il lucchetto c’era, ma era aperto. Io l’ho tolto, sono entrato, ho rimesso il lucchetto, mi sono trovato in un posto pieno di quei piccoli veicoli marrone chiaro che quelli dello zoo usano per andare in giro. Dall’altra parte c’erano delle costruzioni che puzzavano come di merda di animali con i pavimenti di cemento che erano appena stati lavati con la canna. Più avanti ancora altre piante fitte e un sentiero con un altro cartello: SOLO PERSONALE AUTORIZZATO.

Sono entrato allo zoo come un visitatore qualsiasi, sono salito con tutti gli altri nella grande uccelliera dove si può entrare, ho visto tutti i bambini piccoli che strillavano. Poi ho fatto il giro completo. Mi sono divertito quel giorno a studiare e leggere i cartelli che insegnano degli habitat naturali e le abitudini alimentari e le specie in pericolo. Alla casa dei rettili ho visto un serpente reale con due teste. Nessuno mi ha guardato in modo strano. Per la prima volta dopo molto tempo mi sono sentito tranquillo e normale.

Avevo portato con me un po’ di soldi delle mie riserve e ho comperato una banana gelata e una pannocchia caramellata e una coca. Ho mangiato troppo in fretta e mi è venuto mal di pancia, ma non importava, era come se nel mio cervello si fosse aperto uno sprazzo di cielo azzurro.

Forse oggi provo ad andarci di nuovo.

Forse è meglio di no. Devo prima assicurarmi di non essere una specie in pericolo.

Non posso smettere di pensare a quella donna, a quello che le ha fatto quel tizio.

Orribile, orribile, il modo in cui l’ha stretta, ciac ciac. Come può venire in mente a qualcuno di fare una cosa così?

Perché Dio lo permette?

La pancia comincia a farmi male da morire e respiro cinque volte a fondo per calmarla.

Ho camminato tutta notte senza sentire troppo male ai piedi, ma adesso lo sento e le scarpe mi sembrano troppo strette. Le tolgo. Anche le calze. Credo che sto crescendo, è da un po’ che sento le scarpe troppo strette. Sono vecchie, quelle che avevo quando sono scappato, e in certi punti le suole sono molto sottili, quasi bucate.

Concedo un po’ d’aria ai piedi, muovo le dita prima di srotolare la mia plastica.

Ah… che bello!

Al Cinque non c’è acqua per fare il bagno. Che forza sarebbe andare allo zoo e buttarmi nella vasca dei leoni marini a nuotare un po’! Con i leoni marini tutti impauriti, che non capiscono che cosa sta succedendo. Mi devo sforzare di non mettermi a ridere forte.

Puzzo di piscia. Non sopporto quando puzzo, non voglio diventare uno di quelli che vanno in giro con i carrelli del supermercato, quelli che li senti arrivare dall’odore quando sono ancora lontani un isolato.

Mi è sempre piaciuto molto fare la doccia, ma quando è arrivato Moron l’acqua calda è scomparsa. Non perché la usava. Mamma voleva sapere di buono per lui, così aveva preso l’abitudine di stare mezz’ora sotto la doccia e poi mettersi profumo spray e tutto il resto.

Perché voleva far colpo su di lui? Perché le piacevano tanto tutti quei falliti?

Ho passato un sacco di tempo a pensarci e la sola risposta che sono riuscito a trovare è che non si vuole molto bene.

So che è così perché quando rompe qualcosa o fa qualche errore, come per esempio tagliarsi mentre si rade le gambe, se la prende con se stessa, si chiama con brutti nomi. L’ho sentita piangere di notte, ubriaca o fatta, e dirsene di tutti i colori. Molto meno da quando è arrivato Moron, perché lui minaccia di suonargliele.

Io andavo in camera sua, mi sedevo accanto a lei, le toccavo i capelli, le dicevo: «Che cosa c’è, mamma?» Ma lei si tirava sempre indietro e diceva: «Niente, niente», con la voce arrabbiata. Così dopo un po’ ho smesso.

Poi un giorno ho capito che piangeva per me. Per avermi avuto senza averlo voluto, per dovermi tirare su senza sentirsi capace di farlo.