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Compose il numero dell’abitazione e ascoltò una voce femminile registrata.

Dato il fuso orario, nell’Ohio era pomeriggio. Possibile che la signora Boehlinger fosse fuori a fare la spesa. E Petra aveva in serbo per lei una gran bella sorpresa. S’immaginò la madre di Lisa che scoppiava in un grido e poi in singhiozzi, magari per essere sopraffatta dalla nausea.

Ricordò il cordoglio mostrato da Ramsey, i suoi occhi asciutti. Attore di scarso talento, incapace di produrre lacrime?

Udì il segnale acustico della segreteria di casa Boehlinger, ma non le parve il caso di lasciare un messaggio. Riappese e provò in ospedale. L’ufficio del dottor Boehlinger era chiuso e il cercapersone non diede risposta.

Non provando alcun sollievo per aver solo rimandato un incarico gravoso, chiamò la compagnia dei telefoni e passò attraverso un paio di capi servizio prima di trovare una persona disposta ad andarle incontro. Per avere un anno intero di traffico telefonico intestato a Lisa era necessario un iter burocratico che avrebbe richiesto molto tempo, ma la donna con cui parlò le promise di inviarle via fax l’ultima fattura appena l’avesse trovata. Petra la ringraziò e partì alla volta di Doheny Drive, pronta ad affrontare la domestica di Lisa, quella Patsy Diosolosacomesichiama.

Il Sunset era bloccato, così prese la Cahuenga in direzione sud fino al Beverly Boulevard, riuscendo ad aggirare l’ingorgo. Mentre guidava si dedicò a uno dei suoi giochi preferiti, la composizione di un identikit mentale della cameriera thailandese: giovane, minuta, graziosa, un inglese peggio che approssimativo. Seduta in un’altra stanza color fiordilatte, terrorizzata da tutti i poliziotti che la sorvegliavano, forti e muti come mastini.

Il palazzo era alto dieci piani, a forma di boomerang. L’atrio era piccolo, quattro mura di vetro striato d’oro, qualche pianta e sedie finto Luigi XIV. Era piantonato da un giovane iraniano dall’aria nervosa in blazer blu, con una targhetta che lo identificava come A. RAMZISADEH. Gli teneva compagnia un agente con la divisa di West L.A. Petra mostrò il distintivo e ispezionò i due monitor del sistema a circuito chiuso che c’erano sulla scrivania. Piani sequenza in bianco e nero di corridoi, nessun movimento. Le immagini cambiavano a intervalli di pochi secondi.

Il custode le strinse la mano con scarsa energia. «Terribile. Povera signorina Boehlinger. Non sarebbe mai successo qui.»

Petra fece un gesto di solidarietà. «Quando l’ha vista l’ultima volta?»

«Ieri, mi pare. Quand’è tornata a casa dal lavoro, alle sei del pomeriggio.»

«Oggi no?»

«No, spiacente.»

«Come ha potuto uscire senza che lei la vedesse?»

«Ci sono due ascensori per ogni piano. Uno sul davanti, uno sul retro. Quello dietro porta alla rimessa.»

«Nel sotterraneo?»

«La maggior parte degli inquilini chiamano l’ingresso per farsi portare la macchina davanti.»

«Ma la signora Boehlinger non lo faceva.»

«No, lei scendeva direttamente a prendere la macchina.»

Petra batté l’indice su uno dei monitor. «Il sistema a circuito chiuso controlla anche il sotterraneo?»

«Certo, guardi.» Ramzisadeh le mostrò una lenta perlustrazione in bianco e nero di una serie di automobili parcheggiate. Spazi vuoti e tenebrosi, scintillii di radiatori e paraurti.

«Ecco», disse.

«Conservate delle registrazioni?»

«No, niente nastri.»

«Dunque non c’è modo di sapere con precisione a che ora è uscita la signora Boehlinger.»

«No, detective.»

Petra andò all’ascensore e l’agente la seguì. «Gran bell’aiuto, eh?» Il poliziotto premette il pulsante. «Si va in cima. Al centosette.»

La porta dell’appartamento di Lisa Ramsey non era chiusa a chiave e quando Petra entrò, vide la donna di servizio seduta sul bordo di un divano. La somiglianza con l’identikit mentale che aveva azzardato poco prima la sconcertò tanto da farle quasi perdere l’equilibrio. Dieci punti sul misuratore di capacità extrasensoriali.

Patricia Kasempitakpong arrivava al massimo al metro e cinquantacinque di statura per quarantacinque chilogrammi, con un grazioso faccino a forma di cuore sotto una massa densa di lunghi capelli nerissimi. Indossava un top di cotone a maglia color beige, blue jeans e ballerine nere ai piedi. Il divano era ultraimbottito come quelli in casa di Cart Ramsey. Ma niente color panna: l’intuito profetico di Petra si fermava lì.

Lisa Ramsey era stata un’amante dei colori. I divani erano di velluto rosso e blu, i parquet laccati di nero, su cui spiccava una pelle di zebra. Era una pelle vera. La testa della zebra era rivolta a un vaso di vetro nero pieno di giunchiglie gialle.

Da quel che Petra vedeva, l’appartamento era di dimensioni ridotte, con una cucina che era niente più che una nicchia di legno laccato bianco e banchi di mattonelle grigie. Il soffitto era basso e piatto. Nell’insieme uno dei tanti box disseminati per L.A. Ma l’ubicazione d’angolo al decimo piano e le porte finestre scorrevoli garantivano una vista fantastica dei quartieri ovest fino all’oceano. Il balcone era piccolo, senza mobili, senza palme in vaso. All’orizzonte galleggiava un sigaro di smog.

Due agenti in divisa si godevano il panorama. Si girarono giusto il tempo di dare un’occhiata al distintivo di Petra. Contro la parete alle spalle di Patricia Kasemeccetera c’era una scaffalatura di metallo nero con un coordinato stereo altrettanto nero e un televisore con schermo da venticinque pollici.

Niente libri.

Petra non ne aveva visti nemmeno a casa di Ramsey. Niente di meglio di un comune non-interesse alla base di una relazione.

La violenza dei colori lasciava intendere che Lisa si fosse stancata dei pastelli. O che non li avesse mai graditi.

Forse il color panna e il rosa erano l’idea che aveva Ramsey del buongusto? Interessante.

Sorrise a Patricia e Patricia la fissò senza cambiare espressione. Petra le si avvicinò e si sedette accanto a lei.

«Salve.»

La cameriera era impaurita ma dopo un po’ cominciò a sciogliersi. Inglese fluente, nata in America. («Non sforzatevi di pronunciare il mio cognome, mi chiamano tutti Patsy K.») Lavorava per Lisa da due mesi, non vedeva in che maniera potesse essere d’aiuto.

Un’ora di colloquio non produsse niente di valore.

Lisa non le aveva mai detto perché aveva lasciato Ramsey, né fra loro era mai emerso l’episodio di violenza coniugale. Aveva accennato una volta all’eccessiva differenza di età, affermando che sposarlo era stato un errore. La collaboratrice domestica aveva una stanza per sé. Faceva le commissioni, era incaricata delle pulizie. Lisa era un ottimo principale, pagava sempre con puntualità, era una donna estremamente ordinata e pulita. Una «persona veramente a modo».

Patsy K. non ebbe difficoltà a piangere.

Quanto agli alimenti, dichiarò che Lisa riceveva mensilmente un assegno da una ditta che si chiamava Player’s Management.

«C’è un biglietto da visita sul frigorifero.» Petra lo recuperò. L’indirizzo era sul Ventura Boulevard in Studio City. In fondo c’era il nome di Gregory Balch. Financial Manager. Ramsey la pagava tramite la sua azienda.

«Sa a quanto ammontavano gli assegni?»

Patsy arrossì, senza dubbio ricordando una sbirciatina indiscreta.

«Tutto quello che può dirci ci sarà di grande aiuto», la incalzò Petra.

«Settemila.»

«Al mese?»

Patsy annuì.

Ottantaquattromila dollari l’anno. Abbastanza per far fronte all’affitto e alle bollette e divertirsi un po’, ma non più che una goccia nell’oceano a sei zeri di Ramsey. Ma erano lo stesso cose che bruciavano. Dover pagare soldi a qualcuno per cui provi rancore. Qualcuno che ti ha umiliato in televisione su una rete nazionale.

C’era aria di tensione, ma niente che potesse configurarsi in un movente.