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Forse erano uguali almeno in una cosa!

Si ritrovò a sorridere ricordando quella notte, quella volta in cui aveva veramente sentito qualcosa. Il calore tra le gambe, un calore che le si era diffuso in tutto il corpo, la durezza del terreno che non le faceva alcun male alla schiena.

Gli aranci verdi come vetro di bottiglia, nella luce della luna, innevati di fiori perché era stagione, tutto il frutteto fragrante di quel profumo cremoso e dolce, un cielo splendido, scuro con un alone di bella luce sopra di lei perché la luna era grande e gonfia e dorata e gocciolava luce, come una frittella grondante di burro.

Lei sdraiata là sotto, dopo che lui l’aveva baciata e le aveva detto scusami, devo andare, e lei aveva ancora la gonna sollevata, un’onda di gonna.

Poi una vibrazione, forte, vicina, mentre un inseguirsi veloce di nuvole nascondeva la luna.

Cicale, a milioni, dappertutto nell’aranceto.

Aveva sentito storie sulle cicale ma non le aveva mai viste.

Nemmeno dopo.

Quella volta sì, quell’unica volta.

Forse era stato un sogno, forse tutta quella notte era un sogno…

Insetti enormi come quelli avrebbero dovuto spaventarla.

Due volte più grossi delle luccicanti, nere api selvatiche che la terrorizzavano quando schizzavano fuori dal nulla.

Le cicale erano ancora più rumorose, una miriade, avrebbe dovuto sentirsi paralizzare dalla paura.

Invece no, distesa sulla schiena, sentendosi dolce e femmina, sentendosi come un secchio di polline e miele, aveva guardato le cicale posarsi sui filari di aranci, uno dopo l’altro, riempiendo tutto il frutteto, come pieghe di una coperta grigio marrone.

Che cosa stavano facendo? Mangiavano i fiori? Rosicchiavano le minuscole arance verdi, che erano aspre e dure come legno?

Invece all’improvviso se n’erano andate, erano sfrecciate nel cielo ed erano scomparse come una tromba d’aria dei cartoni animati e gli alberi erano ridiventati quelli di sempre.

La notte delle cicale.

Magica, quasi come se non fosse mai stata.

Invece c’era stata. Lei ne aveva la prova.

Dov’era Billy?

14

Lisa, troia cocainomane.

Balla con me e vedi che cosa succede.

Balla intorno a me e vedi che cosa succede.

Oh, la gioia.

Ode alla gioia… non era Bach?

Odiava Bach. In ospedale dove avevano portato sua madre quando aveva dovuto mettersi un casco da football suonavano Bach e altre stronzate classiche.

Per dare sollievo ai pazienti.

Pazienti. Carcerati piuttosto.

Lisa aveva cercato di farlo ammattire.

Aveva cercato di condurre.

Oh, quell’espressione sul suo viso… balla con me, cara.

15

La registrazione del caso di violenza coniugale andò in onda durante tutti i notiziari delle undici: Lisa e Cart Ramsey, invidiabili e abbronzati, immersi in un ribollire di Jacuzzi, sul green di casa a imbucare palline, in sella a cavalli di razza a esibirsi in un numero alla Roy Rogers-Dale Evans, occupati in pudiche effusioni a uso del paparazzo di turno. Lisa nei panni di reginetta di bellezza e di sposa affascinante, inframmezzata da brevi sequenze in cui appariva in primo piano il suo volto dopo il pestaggio.

Poi la voce tetra dei commentatori nella descrizione della brutalità delle ferite inferte alla vittima, alla quale seguiva il portavoce del dipartimento, un fotogenico capitano di Parker Center che si chiamava Salmagundi, abile nel rispondere alle domande senza dare alcuna risposta.

Petra guardò il telegiornale seduta al tavolino nell’angolo della prima colazione, davanti a metà di un altro sandwich, sentendosi violentata.

Dopo la telefonata con il dottor Boehlinger aveva cercato di dipingere. Un paesaggio desertico al quale lavorava da mesi, strisce di terra di Siena e terra d’ombra sostenute da tracce di ocra rossa, palpiti di lavanda come sottintesi, lampi di nostalgia delle escursioni con suo padre. E mentre dava colpetti di pennello era certa che stesse funzionando.

Ma quando si era allontanata dalla tela aveva visto solo fango e quando aveva cercato di rimediare i suoi interventi erano stati goffi, come se a un tratto le si fossero intorpidite le mani.

Mentre lavava i pennelli, aveva acceso la televisione pensando di nuovo al dottor Boehlinger, alla madre che doveva ancora rincasare.

Chissà com’era perdere un figlio. Un figlio vero.

Chissà com’era avere un figlio, e quella riflessione aveva spalancato le porte dell’inferno sul ricordo delle sensazioni della gravidanza, quella sensazione quasi schiacciante di importanza.

A un tratto piangeva, fiotti di lacrime inarrestabili. Una reazione incontrollabile, se non per un angolo minuscolo del suo emisfero sinistro, che osservava e criticava: Che cosa diavolo ti ha preso?

Già, che cosa?

Solo dopo qualche rantolo era riuscita a dominarsi e si era asciugata rabbiosamente gli occhi con un fazzoletto di carta.

Dio, che spettacolo, che disgustoso patetismo! Il povero John Everett Boehlinger e sua moglie avevano perso un essere umano e tu stai lì a compiangerti come se la cosa espulsa dal tuo utero avesse anche solo una lontana sembianza umana.

Una pallottolina di polpa grossa come un acino d’uva in uno sciroppo di sangue.

Un grumo di sanguinolento potenziale, a galleggiare nell’acqua del water mentre lei in ginocchio si torceva nel dolore dei crampi e nei conati di vomito, provando per Nick odio abbastanza da desiderare di ucciderlo, per essere responsabile di quanto le stava accadendo.

Perché lo era, ne era certa. Lo stress, la gelida disapprovazione.

Averla piantata, il contrario preciso di quanto aveva promesso. Per aver saputo che lei era cresciuta senza una madre, che suo padre si stava consumando in un sanatorio di Tucson, che restare sola per lei sarebbe stato inferno autentico, mai e poi mai lui l’avrebbe abbandonata.

Forse era stato sincero quando aveva giurato.

Un uovo fecondato aveva il potere di cambiare ogni cosa.

Credevo che fossimo d’accordo, Petra! Prendevamo precauzioni, santo cielo!

Una sicurezza al novanta per cento non è il cento per cento, caro.

Allora perché non hai usato qualcosa di più affidabile?

Credevo che andasse bene… Stava chiedendo scusa? Davvero si stava scusando?

Splendido, Petra. Mandare a farsi fottere la tua vita e la mia così, per una svista. E tu saresti una donna istruita! Come hai potuto fare una cosa così stupida?

Sanguinolento potenziale. Dolori così spaventosi che le sembrava che la stessero squartando. Aveva appoggiato la guancia alla fredda porcellana del water, aveva fatto scorrere l’acqua, aveva ascoltato il gorgoglio che se lo portava via.

Sola, quasi incapace di reggersi in piedi, era montata in macchina per recarsi all’ospedale. Analisi, dilatazione e raschiamento, altri test, tre giorni in una cameretta di fianco a una donna che aveva appena dato alla luce il quarto figlio. Due maschi, due femmine, una girandola di parenti, cicciccì e tututù.

La cartolina di Nick era arrivata due settimane dopo. Tramonto su spiaggia. Santa Fe. Mi prendo un po’ di tempo per pensare. Non l’aveva più rivisto.

Lo squarcio apertosi nella coscienza di Petra si era ampliato, la zona di vuoto si era dilatata abbassando la sua soglia di immunità. Altri crampi, febbre, un’infezione, di nuovo in ospedale.

Controllo ambulatoriale. A gambe sollevate, spalancate, troppo provata per provare umiliazione.

La mesta solidarietà del dottor Franklin. Andiamo a parlare in ufficio. Disegni e fotografie.