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Petra si era alzata e aveva abbracciato le sue grandi spalle dure. «Oh, papà, sono…»

«Era davvero splendida, piccola. Una su un milione, ma non era perfetta, bimba mia. Non era una situazione da libro delle favole.»

Aveva aperto un cassetto e abbassato lo sguardo su quella che doveva essere la bottiglia.

Quando si era girato di nuovo verso di lei, i suoi occhi erano asciutti e sorrideva, ma non era uno dei sorrisi che Petra gli conosceva, non uno di quelli affettuosi e protettivi o uno di quelli asciutti e sarcastici, nemmeno di quelli un po’ sfatti agli angoli di quando era ubriaco e che una volta la preoccupavano ma ora non più.

Quello era diverso: epidermico, scolpito come la bocca di una statua. Aveva studiato la tragedia classica al corso di letteratura ed era stata sicura in quel momento di viverne una rappresentazione dal vivo.

Sconfitto, quel sorriso. Terrificante come uno scorcio di eternità.

«Papà…»

Lui si era grattato la testa, l’aveva scossa, si era rialzato una calza afflosciata sulla caviglia pallida. «Il fatto è, piccola, che comunque la si voglia… Quello che sto cercando di dire, cara, è che gli uomini e le donne sono due specie separate. Forse qui sta parlando l’antropologo, ma non è meno vero. A separarci c’è un pezzettino piccolo piccolo di DNA. E sai una cosa buffa? È il cromosoma X quello che conta davvero, Petra. L’Y non fa che causare problemi, sembra che non serva ad altro che a originare aggressività. Capisci dove voglio arrivare, tesoro? Noi uomini non valiamo un gran che.»

«Oh, papà…»

«Mamma e io avevamo le nostre difficoltà. Perlopiù per colpa mia. È giusto che tu lo sappia perché non ti lasci andare a fantasticherie romantiche, non ti aspetti troppo da… non esigi troppo da te stessa… Hai capito, bimba? Riesco a spiegarmi?»

Le aveva preso le spalle, quella luce negli occhi era quasi maniacale.

«Sì, papà, sì.»

L’aveva lasciata andare. Ora il sorriso era giusto. Umano.

«Il fatto, Petra, è che ci sono interrogativi fondamentali. Quesiti cosmici che non c’entrano niente con le stelle e le galassie.»

Aveva atteso la sua reazione. Lei non aveva saputo come ribattere. Lui aveva continuato.

«Domande come possono veramente gli uomini e le donne conoscersi a vicenda o dovrà essere sempre e soltanto una stupida danza goffa nella sala da ballo dell’interpersonale?»

Un sussulto, una smorfia, un rutto represso. Era balzato in piedi, era andato in camera sua, aveva chiuso la porta. Lei aveva sentito girare la chiave nella serratura.

Il mattino dopo il primo a presentarsi per la colazione era stato suo fratello Glenn, il solo che viveva ancora in famiglia.

«Che è successo a papà?» aveva chiesto.

«In che senso?»

«È uscito. Dev’essere partito prima del sorgere del sole. Mi ha lasciato questo.» Le aveva mostrato un foglietto. C’era scritto: FUORI NEL DESERTO, RAGAZZI.

«Sarà andato a caccia di ossa come al solito», aveva commentato Petra.

«Ha portato via l’attrezzatura da campeggio, perciò si vede che vuole andare lontano», aveva risposto Glenn. «A te ha detto niente? Perché ieri si era parlato di andare giù al Big Five a vedere che cos’hanno nel reparto di hockey.»

«Sì, in effetti me ne aveva accennato», aveva mentito Petra.

«Che bellezza», aveva esclamato Glenn. «Che gioia. A te parla, ma a me non dice mai niente.»

«Sono sicura che ne aveva intenzione, Glenn.»

«Sì sì, figuriamoci. Peccato che io ho davvero bisogno di un bastone nuovo, merda! Non è che avresti dei soldi da prestarmi?»

Telefonò ad altri sette investigatori, subì altri sette «starai scherzando», non trovò altri casi analoghi.

In fondo allo stanzone il fax cominciò a ronzare. Si precipitò e in meno di un secondo stava già raccogliendo i fogli dal cestino. Il suo scatto era stato così repentino che un paio di colleghi le avevano lanciato un’occhiata perplessa. Ma non più di un’occhiata, avevano da fare anche loro. Quella stanza, quella città, il sangue che non smetteva mai di scorrere.

Karlheinz Lauch era un omone, un metro e ottantatré per centodieci chilogrammi. E brutto. Occhietti scuri e sfuggenti piantati come uvette in una faccia pastosa e deforme. Una virgola a fargli da bocca sbilenca, baffi che sembravano uno schizzo di grasso. Capelli dritti, chiari; secondo la descrizione ufficiale dovevano essere castani, quindi probabilmente se li ossigenava. L’acconciatura era quella arruffata in voga ancora in certi paesi europei.

Dall’aspetto Petra lo giudicò uno sgradevole poco di buono.

Il ritratto era una copia di una foto segnaletica scattata a Vienna quattro anni prima, un sacco di parole tedesche di cinquanta lettere l’una e manciate di umlaut. La nota di Sorensen diceva che Lauch era stato arrestato per aggressione l’anno prima dell’omicidio di Ilse Eggermann. Era stato coinvolto in una rissa e non aveva scontato pene detentive.

A vederlo in fotografia, sembrava capace di qualsiasi atrocità. E se davvero quel bastardo fosse tornato a L.A. a caccia di belle bionde e fosse casualmente entrato in contatto proprio con Lisa?

Che bel colpo se si fosse trattenuto in città e loro fossero riusciti a prenderlo. Un caso importante, risolto con disinvolta maestria, così Stu avrebbe ottenuto la sua promozione e lei avrebbe aggiunto dei punti al suo curriculum.

Fantasie, bimba.

Studiò ancora per un po’ le sembianze di Lauch e si domandò come avrebbe potuto uno come lui indurre Lisa a indossare un vestitino nero e dei brillanti?

D’altra parte era pur riuscito ad avvicinare Ilse Eggermann, che, secondo Phil Sorensen, non era da meno di Lisa. Ma una stewardess non era l’ex moglie di una star della TV che aveva assaggiato la bella vita.

D’altro canto era anche vero che Lisa aveva scelto di girare le spalle alla bella vita. E certe donne, anche donne molto belle, avevano un debole per la fauna dei fondali, trovavano stimolo nel rozzo e nel brutale, erano eccitate da uomini che si trovavano sotto di loro nella gerarchia sociale.

La bella e la bestia? Lisa che metteva a repentaglio la propria vita nel sottomondo e ne subiva le conseguenze?

Continuava a fissare la fotografia di Lauch. Il pensiero di permettere al suo corpo di entrare in contatto con quello di lei le dava il voltastomaco.

A lei piacevano gli uomini intelligenti, premurosi, attraenti nella maniera più convenzionale.

Probabilmente perché suo padre era stato un uomo intelligente, dolce, di bell’aspetto. Per la gran parte un gentiluomo.

Com’era il padre di Ilse Eggermann?

Com’era il dottor John Everett Boehlinger quando non era ottenebrato dal dolore?

Basta psicoanalisi. Più lontano di così non le era dato spingersi.

Inserì i dati del caso Eggermann-Lauch nel fascicolo sull’assassinio di Lisa, attraversò lo stanzone, aprì il suo armadietto e prese uno Snickers dalla borsa che conservava sul ripiano più alto, sopra le scarpe da ginnastica e la tuta e gli indumenti neri che serbava a portata di mano per le notti fredde e i cadaveri straziati.

I suoi asciugamorte, li chiamava.

Acrilici che sembravano acrilici, occhio, care clienti, i nostri cardigan all’ultima moda ora in saldo a 13,95 dollari in un’ampia gamma di colori. Ne comprava cinque alla volta, tutti neri, li gettava appena erano intrisi di sangue.

In otto mesi ne aveva fatti fuori dieci.

Non ne aveva indossato uno per Lisa, perché la chiamata era arrivata di sorpresa.

Non si era macchiata con il cadavere di Lisa.

Non si era avvicinata abbastanza.

21

«Muoviti, muoviti, cammina, piccolo bastardo.»

Mi sibilano dentro l’orecchio, mi stringono, mi spintonano.

Lei è quella rabbiosa, lui è impaurito, nervoso. Inciampa persino un paio di volte.