Le altre tre interurbane segnate sulla fattura erano telefonate ad Alhambra, al numero che Petra aveva trascritto nei suoi appunti: una delle amiche di Patsy K. Le altre telefonate erano tutte locali: tre al Jacopo’s di Beverly Hills per ordinare una pizza, due allo Shangai Garden, stessa località, per ordinare una cena cinese, una telefonata a testa a Neiman-Marcus e Saks.
Le ultime quattro telefonate erano a un centralino di Culver City. Corrispondeva alla Empty Nest. Petra chiamò e chiese di Darren. La receptionist chiese: «Darrell Breshear?»
«Sì.»
«Un momento, glielo passo.»
Breshear non aveva una segretaria in carne e ossa, solo una macchina. La sua voce era gradevole. Patsy K. aveva detto che era sulla quarantina, ma dalla voce sembrava giovane. Petra decise di non lasciare un messaggio e di riprovare più tardi. Poi fece eseguire un rapido controllo su Breshear alla banca dati centrale della polizia. Pulito. Rise tra sé perché non avevano mai controllato Ramsey.
Chiamò il catasto e dopo qualche schermaglia con un’impiegata scortese, apprese che H. Carter Ramsey era titolare di una decina di proprietà immobiliari a L.A., tutte nella Valley: la villa di Calabasas, immobili commerciali sul Ventura Boulevard e a Encino, Sherman Oaks, North Hollywood e Studio City. L’indirizzo di uno degli edifici di Studio City corrispondeva a quello che aveva lei per l’ufficio di Greg Balch alla Player’s Management.
Niente a Malibu o Santa Monica, niente che potesse passare per un nido d’amore. Ma forse quando Ramsey si allontanava dalla città, gli piaceva isolarsi. Vai a nord, ragazza, e se non funziona, prova le località di villeggiatura in montagna a est.
Al catasto di Ventura ottenne maggior collaborazione, ma nessun risultato. Con l’impiegato di Santa Barbara rasentò il battibecco, ma fece centro: H. Carter Ramsey (chissà per che cosa stava quell’H?) era proprietario di una casa a Montecito.
Trascrisse l’indirizzo e controllò Ramsey alla Motorizzazione.
Trovò il nome per esteso: Herbert.
Herb. Herbie C. Ramsey. Poco adatto per The Adjustor.
A lui erano intestate tutte le auto d’epoca che aveva visto nel suo piccolo museo più una Mercedes 500, con la targa personalizzata PLYR 1.
C’era inoltre una Jeep Wrangler di due anni. PLYR 0. Sulla registrazione appariva l’indirizzo di Montecito.
Player’s Management: PLYR. Il fatto che Ramsey ricorresse a targhe personalizzate era interessante. Di solito le celebrità aspiravano all’anonimato. Forse aveva la sensazione che la sua gloria fosse in declino, sentiva il bisogno di farsi pubblicità.
PLYR… un attacco di protagonismo?
Un’altra cosa: aveva accennato alla Mercedes ma non alla Jeep. Perché la teneva a Montecito o l’omissione era voluta?
Il veicolo del delitto era forse il fuoristrada e la Mercedes solo un diversivo?
Possibile che avesse una mente così tortuosa? Tortuosa, ma stupida, perché uno stratagemma come quello non avrebbe retto a lungo. Sapeva anche lui che avrebbero controllato quasi subito presso la Motorizzazione.
Ma se la ricostruzione fatta da Petra dell’ultimo appuntamento era verosimile, il delitto almeno fino a un certo punto era stato semimpulsivo, vale a dire fino all’istante in cui Ramsey, prima di montare in macchina, aveva preso un coltello. Dunque se aveva agito sotto la spinta di una collera sfrenata, ora brancolava nel tentativo di salvarsi.
Montecito… Una località in grande stile, tenute immense come a Calabasas, ma più antiche, più di classe. Niente intimo pied-à-terre per Ramsey, lui non poteva fare a meno dei grandi spazi. Signore di due manieri.
Tanto avido da essere patologicamente egoista? Se non posso averla io, non l’avrà nessuno?
Le tornò alla mente un Thomas Hart Benton riprodotto in un libro d’arte che era stato una sua passione da bambina. La ballata dell’amante geloso della Lone Green Valley. Uno scarno campagnolo con Stetson in testa e occhi da psicopatico pugnalava una donna al petto sulle meste note di alcuni musicisti country in un paesaggio verdeggiante le cui scoscese inclinazioni volevano evocare le vertigini della vittima. Le aveva provocato autentico terrore e per quel che ne sapeva aveva influenzato la sua opinione sugli uomini e l’amore, forse persino la scelta della carriera che aveva poi intrapreso.
L’amante geloso di Calabasas/Montecito.
Hollywood o no, nelle circostanze di quel delitto c’era probabilmente la replica di una storia antica come il mondo. Rifletté che se fosse rimasta alla squadra Omicidi, avrebbe passato il resto della vita collezionando i peggiori cliché.
Gli accordi erano che si sarebbe incontrata con Stu al Musso and Frank, ma alle due meno un quarto lui telefonò. «Scusa», le disse. «Ma sono bloccato. Ti dispiace?»
«Non c’è problema» gli rispose lei sollevata. «Niente di clamoroso?»
«Finora sono riuscito solo ad appurare che nessuno rispetta Ramsey come attore. E tu?»
Gli riferì della casa a Montecito e della Jeep, poi aggiunse: «E, sorpresa delle sorprese, abbiamo un caso simile». Gli illustrò i particolari dell’omicidio di Ilse Eggermann.
«Fantastico», commentò lui. «Phil Sorensen è bravo. Se non ha risolto il caso, è probabile che non sia risolvibile. Forse faremmo davvero bene a mollare tutto alla Centrale.»
Allora Petra fu certa che c’era qualcosa che non andava. Stu non aveva mai visto di buon occhio i funzionari della Centrale, li considerava palloni gonfiati, assai meno abili di quanto piacesse loro ritenersi. Perdere un caso importante era sempre una cocente sconfitta per un detective di una stazione decentrata che non avesse la vocazione dell’imboscato e non si poteva certo tacciare Stu di accidia. E adesso era disposto a lasciarsi mettere sotto da quelli della Centrale? Sacrificando anche lei?
Ma non avrebbe buttato al vento la possibilità di una promozione a meno che fosse sicuro che quel caso era destinato a finire male e avesse deciso che subire un danno calcolato subito era meglio che fare più tardi la figura dell’idiota del villaggio globale.
«Scherzi», ribatté brusca.
«Sì, sto scherzando», rispose lui in tono stanco. «Non avevo voglia di sentire che esiste un caso analogo, ma pazienza, incasseremo anche questo.» Lo sentì trarre un sospiro. «D’accordo, se hai bisogno di qualcosa usa il cercapersone. Niente sulla macchina di Lisa?»
«No. Ma mi piacerebbe andare a dare un’occhiata alla casa di Montecito.»
Silenzio. «Prima di prendere iniziative così dirette, dovremmo consultarci con Schoelkopf.»
«Non vedo perché», obiettò Petra. «Da quello che ho dedotto dalla riunione di stamane, dopo aver mandato giù la nostra dose di rospi quotidiani al telefono, siamo liberi di fare gli investigatori veri. Ha ammesso che se non sentiamo Ramsey presto, faremo la figura di due imbecilli. Io credo che dovremmo organizzare un altro faccia a faccia senza perdere troppo tempo. E senza interferenze da parte di qualche tirapiedi. Se Ramsey si rifiuta di parlare con noi senza un avvocato, già avremo avuto una prima risposta. Se sta al nostro gioco, lo tratteremo con la dovuta cortesia, ma cercheremo lo stesso di strappargli qualcosa.»
«Credo che tu abbia frainteso Schoelkopf, Petra. Il suo problema non è quello di ottenere risultati concreti, ma di proteggersi. Ed è in questi termini che dovremmo metterla anche noi…»
«Stu…»
«Ascoltami. Chi è finito bruciato con O.J.? I rematori o il comandante? Appena chiediamo di esaminare le case e le macchine di Ramsey, fosse solo una richiesta informale, senza mandato di un tribunale, Ramsey diventa l’indiziato numero uno e la musica che si suona è tutta diversa. Basta che qualcuno sappia che lo hai fatto controllare alla Motorizzazione, e vedi che roba.»