Lascio aperto il frigorifero per avere un po’ di luce, poso l’ananas su uno dei mobiletti e apro i cassetti finché trovo coltelli e forchette. Con le posate ci sono anche spille da balia ed elastici per i capelli.
Prendo il coltello più grande e taglio l’ananas a metà. I punti molli sono quelli che sono diventati marroni e si stanno allargando in tutto il frutto come una malattia. Li ritaglio (davvero buono questo coltello) e riesco a ricavare qualche bella fetta di ananas superdolce, una vera squisitezza.
L’ananas mi aumenta l’appetito e assaggio la mortadella e finisce che me la mangio tutta, dalla prima fetta all’ultima, in piedi davanti al mobiletto. Poi altro ananas. Il succo mi cola dal mento sulla maglia e mi brucia la faccia dove mi sono tagliato.
Poi una lattina.
Ora la pancia mi fa morire perché è piena.
Torno al bagno che c’è appena dopo la cucina, faccio pipì, mi lavo le mani e la faccia. Poi vedo la doccia. Su una mensola ci sono sapone e shampoo e balsamo e un prodotto che non conosco, dove c’è scritto che scioglie i nodi nei capelli.
Tutta l’acqua calda che voglio. Ce ne aggiungo di fredda, trovo la temperatura giusta, la faccio scorrere più forte che si può. Chiudo la porta a chiave, mi spoglio e mi metto sotto il getto. L’acqua è come aghi, fa male, ma in una maniera bella.
Faccio la doccia più lunga della mia vita, senza mamma ad aspettare di mettersi sotto e starci mezza giornata per prepararsi per Moron; senza Moron che vuole andare a sedersi sul water per un’ora.
Continuo a insaponarmi e risciacquarmi, insaponarmi e risciacquarmi. Non devo tralasciare nemmeno la più piccola parte di me, capelli e unghie, narici, sedere, fin dentro. Voglio eliminare fino all’ultimo bruscolo di sudiciume.
Poi davanti, sotto le palle.
Mi è diventato duro.
Mi piace.
Sono qui ad asciugarmi, felice di sentirmi pulito e al sicuro, penso a luoghi lontani, a posti immaginari, montagne enormi, maestose e purpuree, come la canzone, un oceano d’argento, i surf sulle onde, ragazze in bikini che ballano l’hula, delfini, Jacques Cousteau, pesci chirurgo blu, pesci chirurgo gialli, murene, nautilus.
Poi sento un rumore e per un momento penso di essere schizzato davvero, di aver creato un film di isole tropicali con tanto di colonna sonora, poi le voci diventano più chiare.
Voci di donne. Poi un tonfo, qualcuno che mette giù qualcosa.
Luce sotto la porta. Dalla cucina.
Un grido.
Un grido vero.
29
«Ho bisogno di mettere qualcosa sotto i denti», annunciò Ramsey. «Le spiace se ci trasferiamo in cucina?»
L’ansia gli mette appetito? «Per niente, Ramsey», rispose Petra. Un’occasione per vedere qualcosa di più della villa.
Lo seguì e lui accese luci illuminando litografie orrende, mobili imponenti. Sbucarono nell’ambiente che Petra aveva previsto: una specie di piazzale delimitato da pareti pseudoadobe e da un soffitto rustico con travi a vista, mobili bianchi, piani di lavoro in granito grigio, elettrodomestici in acciaio satinato, una rastrelliera che pendeva dalle travi con una collezione di armi letali di rame. Sui piani un assortimento di tritatutto, spremitutto, tostapane, microonde. Dall’ampia finestra si vedeva un muro a stucco. Il confine orientale della proprietà. Una porta che dava all’esterno.
Al centro della cucina c’era un tavolo di legno lungo e stretto, cuore di pino stagionato, con il piano levigato e trattato a semilucido, in cui spiccavano le numerose escoriazioni. Un autentico oggetto d’antiquariato, probabilmente, provenzale. Poteva essere un fratino vero. Bello. Ma le otto seggiole all’intorno erano cromature tipo Breuer, con corregge di cuoio, una discordanza che faceva venir voglia di urlare per l’indignazione. Di chi era il gusto per l’eclettico, suo o di Lisa?
Ramsey aprì il frigorifero. Ben rifornito. Uno scapolo che non si faceva mancare niente. Prelevò un’altra Diet Sprite e un vasetto di cottage cheese all’erba cipollina.
«Devo stare attento alla linea», si scusò, mentre cercava un cucchiaio. «Sul serio non posso offrirle niente? Qualcosa da bere, almeno?»
«Niente, grazie.»
Ramsey si sedette a capo del fratino e lei occupò una sedia laterale.
«A lei sembrerà strano», commentò lui affondando il cucchiaio nel formaggio. «Che mi metta a mangiare. Ma sono ancora a stomaco vuoto da stamattina e mi pare di cominciare a sentire la carenza di zucchero nel sangue.»
«Ipoglicemico?»
«C’è diabete in famiglia, perciò ci bado.» Cominciò a mangiare cottage cheese, togliendosi i pezzettini bianchi che gli rimanevano nei baffi. Senza preoccuparsi della sua presenza. Forse si era sbagliata sul suo dongiovannismo. O forse era altalenante. Lo guardò mandar giù un sorso, mettersi in bocca altre due cucchiaiate di cottage cheese, poi richiamò la sua attenzione estraendo il taccuino.
«Va bene, torniamo a quella notte», disse Ramsey. «Le ho detto che ero a Tahoe, no? Quand’è stata qui la prima volta.»
Petra annuì.
«In cerca di esterni per la prossima stagione», continuò lui. «Abbiamo alcuni episodi che si svolgono in una casa da gioco e ancora non abbiamo deciso dove girarli. Si comincerà tra un mesetto.»
«Chi c’era con lei?»
«Greg e il nostro responsabile per gli esterni, Scott Merkin. Abbiamo visitato alcune delle proprietà sul lago e qualche casinò, abbiamo pranzato all’Harrah’s, abbiamo fatto qualche giro dopo il tramonto e siamo rientrati.»
«Volo di linea?»
Lui posò il cucchiaio, bevve di nuovo. «Tutti questi particolari. Dunque sono sospettato?»
Nessuna sorpresa nella voce. Il sottinteso era: finalmente.
«È solo routine, signor Ramsey.»
Lui sorrise. «Certo, certo. La stessa risposta che do io migliaia di volte agli indiziati… in scena. ‘Solo routine’ vuol dire che Dack Price ti ha inquadrato.»
Petra sorrise. «Nella vita reale routine significa routine, signor Ramsey. Ma se questo non è un momento opportuno per parlare…»
«No, va benissimo.» Gli occhi celesti si fermarono in quelli di lei. Ramsey mangiò altro cottage cheese, si portò la lattina alle labbra, si accorse che era vuota e andò a prenderne un’altra.
«Immagino che sia logico che si sospetti di me. Per via… per via di quell’incidente. È il taglio che hanno scelto i media.»
Fissandola.
Corda. La vedeva dipanarsi come un cobra.
«Un atteggiamento generalizzato», commentò Ramsey. «È quello che si pensa di me dopo quel programmino. No, non abbiamo usato un volo di linea ma un aereo privato, come facciamo sempre. Ci serviamo della Westward Charter. Anche il pilota era lo stesso, Ed Marionfeldt. Mi piace perché è stato pilota nella marina militare, un autentico Top Gun. Siamo decollati da Burbank ed è tutto registrato presso la Westward. Partiti verso le otto del mattino, rientrati verso le otto e mezzo di sera. Scott è tornato a casa in macchina e Greg mi ha accompagnato qui. Quando si fa tardi di solito guida lui, perché al buio io non vedo molto bene.»
«Problemi agli occhi?»
Ramsey si pulì di nuovo i baffi, sebbene non li avesse sporcati. «Cataratte in via di formazione. Il mio oculista vuole operarmi con il laser, ma io continuo a rimandare.»
Per farle sapere che non avrebbe potuto accompagnare Lisa al parco di notte?
«Dunque non esce molto la sera.»
«Esco, esco, non è così grave», rispose lui con un sorriso. «È solo che le luci mi danno un po’ fastidio. Non mi vorrà dare la multa, spero.»
Petra ricambiò il sorriso. «Prometto di non farlo.»
Lui affondò di nuovo il cucchiaio nel formaggio, lo guardò, lo posò. Petra notò segni di cedimento intorno alla bocca. Maculazione dietro le orecchie e alcune linee sottili che potevano essere i resti di un intervento di lifting. Un ciuffetto grigio gli spuntava da un padiglione. Nella luce viva della cucina ogni ruga e vena era in risalto.