Il corpo che cominciava ad abbandonarlo. Zucchero nel sangue. Gli occhi.
Il pene.
Faceva appello alla sua capacità di commiserazione? Sperava nella tenerezza femminile che la sarcastica Lisa gli aveva negato?
«Dunque Greg l’ha riaccompagnata a casa», riprese lei.
«Siamo arrivati verso le nove e un quarto, nove e mezzo, abbiamo smaltito qualche scartoffia, poi io sono crollato. Il mattino dopo Greg era in piedi prima di me. Quando sono arrivato in palestra, lui stava già facendo ginnastica. Ho una palestra, qui. Ho fatto un po’ di tapis roulant, una doccia e un boccone per colazione. Poi abbiamo deciso di sgranchirci sul green che ho qui dietro e alla fine siamo scesi all’Agoura Oaks Country Club per diciotto buche. Ed è arrivata lei.»
Spiacente di averti guastato la giornata, Herbert.
«Va bene», disse Petra. «Nient’altro?»
«Nient’altro», rispose lui. «Chi poteva immaginarsi?»
Petra richiuse il taccuino e insieme tornarono alla porta d’ingresso.
«Come stanno le macchine?» s’informò lei passando davanti alla vetrata.
«Non è che ci abbia pensato più che tanto.»
Petra si fermò a sbirciare attraverso il vetro nero. C’era anche la Mercedes? Senza luce la visibilità era ridotta a zero.
Ramsey azionò un interruttore. Eccola lì. Una berlina imponente, grigio canna di fucile.
«Giocattoli», mormorò Ramsey spegnendo la luce.
L’accompagnò alla Ford e quando Petra fu al volante, lui le disse: «I miei ossequi a Greg».
Petra lo fissò. Lui le rivolse un sorrisetto mesto. Un sorrisetto da vecchio.
«So che controllerà l’alibi», le disse. «Solo routine.»
30
Sentendosi in colpa e inutile ma attento a mostrarsi calmo e vigile, Stu si sistemò il nodo della cravatta e indossò la giacca dell’abito. Cinque ore di telefonate. Nessun caso con analogie con quello di Lisa Ramsey. O quello di Ilse Eggermann.
Non sapeva che cosa pensare dell’omicidio della giovane tedesca; non stava ottenendo aiuto né dalla polizia austriaca, né dall’Interpol, né dalle compagnie aeree. L’indomani avrebbe provato la dogana e il controllo passaporti. E avrebbe chiesto che cosa ai rispettivi funzionari? Di tenere gli occhi aperti sui possibili spostamenti di un certo Lauch? Buona fortuna. Contemplò la foto segnaletica viennese. Una faccia che non passa inosservata, eppure era peggio di un ago in un pagliaio.
Forse a Petra andava meglio con Ramsey.
Forse no. Gli era difficile prenderla a cuore… Riordinò la scrivania e chiuse i cassetti a chiave. Attraversò la sala operativa. Wilson Fournier era al telefono, ma proprio nel momento in cui Stu gli passava accanto, il detective di colore riappese imbronciato e recuperò la propria giacca. Il partner di Fournier, Cal Baumlitz era in convalescenza dopo aver subito un intervento a un ginocchio e Fournier lavorava solo da giorni. La fatica cominciava ad affiorare.
«Una chiamata nuova?» s’informò Stu sforzandosi di essere socievole.
«Fregatura nuova, piuttosto.» Fournier era di statura media, snello, testa rasata e baffi folti che ricordavano a Stu uno degli attori che aveva visto in Apriti Sesamo quando lavorava di notte e aveva le mattine libere da trascorrere con i figli.
Fournier si allacciò la fondina e raccolse i suoi bagagli. Uscirono insieme. «La vita intera è una fregatura, Ken. Tu e Barbie vi beccate Lisa Ramsey, sotto le luci della ribalta, io mi busco una scarrozzata a fine turno per andare a controllare un presunto malintenzionato ovvero topo d’appartamenti ovvero aspirante stupratore ovvero fumo senza arrosto.»
«Vuoi prenderti Ramsey?»
Fournier rise. «Sì, sì, so che la celebrità ha il suo prezzo.»
«Che genere di presunto malintenzionato stupratore?»
Fournier scosse la testa. «Questa storia dello stupratore è una merdata. Oh, chiedo scusa, volevo dire escremento. Se non sbaglio noi dovremmo occuparci di omicidi e qui che cosa abbiamo? Non dico uno che c’è rimasto, ma nemmeno che si sia fatto un graffio. Allora che cosa c’entro io? Quando ho quattro 187 aperti e il capo che mi sta sul collo. Maledetto lui e la sua escrementizia politica sociale.»
Qualche passo più avanti, giusto per cortesia, Stu domandò: «Che cos’è successo di preciso, Wil?»
«Una casa a North Gardner, due lesbiche tornano a casa dopo una settimana a Big Sur, scoprono che qualcuno è stato in cucina, si è mangiato dei cibo, si è fatto una doccia. Arrivano che l’intruso è ancora lì, la doccia sta andando. Panico. Scappano urlando dalla porta principale mentre l’intruso se la batte da dietro.»
«Che cos’ha rubato?»
«Da mangiare. Un pezzo di ananas, mortadella, un analcolico. Uno svaligiamento in grande stile, eh?»
«E dov’è lo stupro?»
«Infatti.» Fournier fece una smorfia disgustata. «Lesbiche. Una pila così di posta davanti alla porta. Se ne stanno via una settimana intera e pensi che ci facciano qualcosa? Lascino le luci accese? Mettano un allarme o piazzino in casa un rottweiler o un serpente velenoso o un AK-47? Ma dimmi, Ken, chi vuoi che possa ancora credere di poter contare su di noi per porre un minimo di freno al crimine?»
31
Routine. Sono sospettato?
Giocava al gatto con il topo?
Cercò Stu alla stazione. Era uscito da un’ora e quando provò a casa, non ottenne risposta. Fuori con Kathy e i bambini? Doveva essere bello possedere una vita.
Rientrata a Los Angeles, acquistò un po’ di insalata in un negozietto di Fairfax e la consumò a casa mentre seguiva il telegiornale. Niente su Ramsey. Provò di nuovo Stu. Inutile.
Ora di simulare una vita anche per sé.
S’infilò una felpa già macchiata di acrilici, preparò un sottofondo mozartiano e spremette colore sulla spatola. Appollaiata su uno sgabello lavorò fino a mezzanotte. Prima il paesaggio, che stava rispondendo un po’, si sentiva in vena, quell’ipnotica contrazione del tempo. Poi un’altra tela, più grande, vuota e invitante. Applicò due strati di mestica bianca, sulla quale stese un fondo abbondante di marrone spento e, quando il fondo si fu asciugato, cominciò in rapide pennellate a disegnare una serie di ovali grigi che si trasformarono in volti.
Niente composizioni, solo volti, a decine, alcuni sovrapposti, volti come frutti appesi a un albero invisibile. Alcuni con la bocca innocentemente dischiusa, tutti con occhi neri privi di pupille, forse orbite vuote, ellissi spettrali, in ciascuna delle quali si rispecchiava una variante sul tema della confusione.
Ogni volto più giovane di quello precedente, uno scorrere dell’età all’inverso, finché si ritrovò a dipingere solo bambini.
Bambini perplessi, che crescevano su un invisibile albero di bimbi… Un crampo le contrasse la mano e lasciò cadere il pennello. Invece di farsene un problema, rise apertamente, spense la musica, tolse la tela dal cavalletto e la posò per terra, rivolta al muro. Si denudò lasciando gli indumenti sul pavimento, restò a lungo sotto la doccia e andò a coricarsi. Appena spente le luci, rivisse il colloquio con Ramsey.
Era quasi certa che stesse manovrando.
Non sapeva che cosa farci.
Quando si svegliò, mercoledì mattina, ci stava ancora pensando. L’arroganza con cui aveva acceso le luci della rimessa mostrandole la Mercedes, come sfidandola a indagare più a fondo. Tutti quegli stimoli alla sua compassione, lo zucchero nel sangue, le cataratte, la difficoltà a guidare di notte.
Povero vecchietto, pieno di acciacchi. Ma c’era un problema clinico al quale non aveva accennato.
Il problema che avrebbe potuto essere all’origine di una grave esplosione d’ira.