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«Che cosa faccio dei miei altri 187?» esclamò Fournier.

«Vallo a chiedere a lui», replicò Stu. «Sei tu quello che si lamentava di non avere occasione di gloria. Adesso ce l’hai.»

«Oh sì, il Paladino degli Ananas. Come ce la dividiamo?»

«Io dovrei tenere d’occhio Ramsey», spiegò Petra. «L’ho già interrogato, perciò è logico che lo contatti di nuovo. Ma figurati se me ne sto seduta tutto il giorno davanti ai cancelli di RanchHaven.»

«Ti capisco», la compatì Fournier. Si passò una mano sulla testa rasata.

Lei lo conosceva poco, non aveva niente contro di lui. Stu diceva che era sveglio. Lo sperava, perché non aveva molto tempo per istruirlo.

Cominciò. Fournier prese appunti. Stu sembrava di nuovo distratto.

Gli accordi finali furono che Petra avrebbe interrogato Estrella Flores e Greg Balch e magari sarebbe tornata alla carica con Ramsey; Stu si sarebbe occupato del caso Eggermann e Fournier avrebbe cercato di localizzare il ragazzo passando attraverso la polizia minorile di Hollywood, e i centri di accoglienza locali.

Prima che Petra avesse concluso, Stu si alzò e uscì.

«È normale?» chiese Fournier.

«È solo un po’ stanco», rispose Petra. «Si diverte troppo.»

Tornata alla scrivania, chiamò le Persone Scomparse a tutte le sottostazioni del dipartimento, trovò qualche Flores, ma nessuna Estrella. Trascrisse i dati delle due la cui età poteva essere quella giusta, Imelda, di sessantatré anni, East L.A., e Doris, cinquantanove, di Mar Vista, telefonò alle rispettive famiglie e non ebbe fortuna.

Stesso risultato con gli sceriffi. Che cosa poteva essere accaduto? Flores era tornata in patria? Dove? Messico? El Salvador? Poi ricordò qualcosa che le aveva detto Ramsey. Era stato Greg Balch ad assumere la nuova cameriera, dunque forse era stato lui a trovare Flores.

Un altro buon motivo per una chiacchierata con il vecchio Greg.

Prima però doveva una telefonata a Ron Banks, per comunicargli che l’episodio di violenza coniugale aveva avuto luogo fuori della contea di Los Angeles.

Banks era al suo posto di lavoro. «Oh, salve!» esclamò. «Non ti ho richiamata perché non ho ancora trovato nulla.»

«Per forza», rispose lei. «Ho appena scoperto che Ramsey ha una seconda casa a Montecito, Ron. È là che l’ha picchiata.» Un altro elemento che finora aveva trascurato. Si ripropose di occuparsene.

«Ah, capisco», disse Banks. «Quello è il distretto di Carpenteria.» Si schiarì la voce. «Senti, per l’altra volta… quando ti ho invitata fuori. Guarda che non volevo metterti in imbarazzo. So che non puoi concederti distrazioni…»

«Nessun imbarazzo, Ron.»

«Sei gentile a dire così, ma…»

«È tutto a posto, Ron. Credimi.»

«Non sono stato molto diplomatico. La mia scusa è che sono divorziato da un anno soltanto, non sono molto abile in questo genere di cose, e…»

«Vediamoci», propose lei, stentando a credere a se stessa.

Silenzio. «Sei sicura?… cioè… Splendido, mi va da Dio. Scegli tu.»

«Facciamo stasera? Dove abiti?»

«A Granada Hills, ma arrivo dal centro, perciò non conta.»

«Ti va qualcosa di sfizioso?»

«Mi va tutto.»

«Facciamo al Katz’s di Fairfax? Alle otto?»

«Fantastico.» Quasi lo cantò.

Che cosa faceva mai a certi uomini?

34

Un cielo pieno di stelle. L’oceano è più rumoroso degli animali allo zoo.

Sono in spiaggia, sotto il molo, c’è odore di catrame e sale, freddo, anche sotto il foglio di plastica nera.

Qui attorno la sabbia è bagnata, ma ho trovato un posticino asciutto vicino a questi grossi pali che reggono il molo. Non riesco a dormire, guardo e ascolto le onde che vanno e vengono, ma non mi sento stanco. L’oceano è nero come la plastica, con una striscia obliqua di punticini di luna. Fa freddo, molto più freddo che al parco. Se resto qui, avrò bisogno di una coperta come si deve.

Prima è passato sulla spiaggia un tipo strano, camminava vicino all’acqua. Un tipo tutto solo sulla spiaggia deserta e per quel modo che aveva di camminare, battendo le mani, saltellando di tanto in tanto, ho capito che era matto.

Quando spunterà il sole dovrò andarmene.

Due notti fa ho visto PLYR uccidere quella donna e ora sono qui. Strano. E non ci ho nemmeno provato. È successo.

Andavo a zigzag tra il Sunset e le vie laterali, passando davanti a tanti ristoranti che avevo il naso pieno di odori di cibo, con quelli in giacca rossa che parcheggiavano le macchine, la gente che rideva. Avevo la pancia ancora piena, eppure avevo anche l’acquolina in bocca.

Non sapevo dove sarei finito, sapevo solo che non potevo restare fermo. Sono arrivato in una parte del Sunset dov’era tutto più elegante, la gente era vestita meglio, c’erano cartelloni con la pubblicità di film e vestiti e liquori. Poi altri locali, altri tipi grandi e grossi davanti alla porta, con le braccia incrociate sul petto.

Il posto dove è successo si chiamava A-Void, su un angolo buio vicino a un negozio di liquori, verniciato di nero con tutti questi sassi neri incollati sulla facciata. Il ciccione che c’era davanti fumava e sembrava annoiato. Nessuno cercava di entrare. Sull’insegna di plastica sopra la porta erano scritti i nomi delle band che ci suonavano: Meat Members, Elvis Orgasm, Stick Figures.

Il negozio di liquori era aperto e alla cassa sedeva un uomo con il turbante. Ho pensato di comperarmi della gomma da masticare, prendere qualcos’altro, ma quando ho varcato la soglia lui mi ha guardato con sospetto e allora me ne sono andato. Proprio in quel momento dall’A-Void è uscito un tizio alto e magro con lunghi capelli neri e crespi e un sacco di brufoli. È corso dietro a un furgone parcheggiato all’angolo, ha aperto lo sportello e ha messo dentro i tamburi che trasportava. Il furgone era pieno di botte e graffi, con la fiancata tappezzata di adesivi. Non ha chiuso a chiave.

Ha fatto altri due viaggi, poi è tornato nel locale e ci è rimasto.

Sempre senza chiudere a chiave il furgone.

Intanto era entrato anche il ciccione.

Io mi sono avvicinato e ho guardato nel finestrino del passeggero. C’era solo il sedile anteriore, tutto il resto serviva per il carico.

Ho aperto la portiera. Non è partito nessun allarme.

Sul sedile c’erano solo immondizie, cartine di caramelle, lattine e bottiglie vuote, pezzi di carta. Forse la radio, se fossi riuscito a rivenderla… Come si fa a staccarne una?

Poi ho sentito delle voci e ho visto quello smilzo sull’angolo, con la schiena girata verso il furgone. Parlava a una ragazza piccolina con i capelli gialli e una striscia rosa nel mezzo. Se avesse guardato dalla mia parte forse mi avrebbe visto, ma stava attenta solo a lui. Mi è sembrato che litigassero. Poi lui si è girato.

Troppo tardi per saltare giù.

Sono entrato del tutto, ho chiuso la portiera, mi sono buttato di dietro e mi sono nascosto dietro i tamburi. Erano coperti per metà da questo telo di plastica nera e mi ci sono infilato sotto, picchiando contro qualcosa di metallico. Una botta dolorosa, ho dovuto morsicarmi il labbro per non gridare.

La plastica era fredda e puzzava come di candeggina.

Si è aperto di nuovo lo sportello posteriore, il furgone ha traballato e mi è piovuto addosso qualcosa.

Un tonfo. Un altro tonfo.

Sento la voce della ragazza, davanti. «Siete stati forti.»