Выбрать главу

Nel maggio del 1987 aprii la mia cassetta della posta nell’atrio, e trovai una lettera della Visu Ent Inc. che mettava fine alla nostra opzione con infinito rammarico e senza risarcimento. Andai subito all’appartamento di Shara, ed ebbi la sensazione che il midollo della mia gamba fosse stato sostituito con la termite incendiata. Fu una camminata lunghissima.

Quando arrivai, lei stava lavorando a Peso è un verbo. Trasformare in studio il suo grande soggiorno era costato tempo, energia, ingegno, e una bella somma per far star buono il padrone di casa, ma costava sempre meno che affittare uno studio vero, considerando gli scenari che volevamo noi. Quel giorno sembrava alta montagna, e quando entrai appesi il cappello a un falso ontano.

Shara mi lanciò un sorriso e continuò a muoversi, spiccando balzi sempre più alti. Sembrava la più bella capra di montagna che avessi mai visto. Io ero di pessimo umore e volevo spegnere la musica (McLaughlin e Miles insieme, e anche loro spiccavano balzi notevoli), ma non sarei mai stato capace d’interrompere Shara quando ballava. Costruiva la sua danza gradualmente, con un contrappunto direzionale, fino a che sembrava lanciarsi nell’aria, restarci fino a quando era pronta, e poi lanciarsi di nuovo giù. Qualche volta rotolava, quando toccava il pavimento, e qualche volta atterrava sulle mani, e ogni volta l’energia della caduta si trasformava in qualcosa, anziché venire assorbita. Era un output d’energia totale; e quando lei ebbe finito, io mi ero calmato abbastanza per prendermela quasi con filosofia per la nostra comune rovina professionale.

Lei finì accasciata su se stessa, con la testa china, squisitamente umiliata nel tentativo di sfidare la gravità. Non potei fare a meno di applaudirla.

Era banale, ma non seppi trattenermi.

— Grazie, Charlie.

— Che mi venga un colpo. Il peso è un verbo. Pensavo che fossi matta quando mi hai detto il titolo.

— È uno dei verbi più forti della danza… e puoi usarlo per fare qualunque cosa.

— O quasi.

— Eh?

— La Visu Ent ha sciolto il nostro contratto.

— Oh. — Nei suoi occhi non si vedeva nulla, ma io sapevo che cosa pensava. — Bene, qual è il prossimo nell’elenco?

— Non c’è più nessuno.

— Oh. — Questa volta si vedeva. — Oh.

— Avremmo dovuto ricordarlo. I grandi artisti non vengono mai apprezzati in vita. Avremmo dovuto crepare… allora sarebbe andato tutto bene.

A modo mio cercavo di essere forte per lei, e lei lo capiva e cercava d’essere forte per me.

— Forse dovremmo occuparci di assicurazioni sulla morte per gli artisti — disse. — Paghiamo al cliente un premio in cambio del controllo della maggioranza della sua futura eredità, e poi facciamo in modo che muoia.

— Sarebbe infallibile. E se diventasse famoso in vita, potrebbe riscattare la polizza.

— Grandioso. Smettiamola prima che io muoia dal ridere.

— Già.

Restò in silenzio a lungo. La mia mente funzionava con efficienza, ma sembrava che la trasmissione fosse saltata… non concludeva niente. Alla fine lei si alzò e spense il registratore che aveva continuato a gemere in sordina da quando era finita la musica. Si sentì un clic.

— Norrey ha un po’ di terra nell’Isola Prince Edward — disse lei, evitando di guardarmi negli occhi. — C’è una casa.

Cercai di distrarla con la battuta finale della vecchia barzelletta sul ragazzo che pulisce la gabbia degli elefanti nel circo, quando il padre gli propone di riprenderselo e gli offre un buon lavoro. — Cosa? Abbandonare il mondo dello spettacolo?

— Al diavolo il mondo dello spettacolo — disse lei sottovoce. — Se andassi all’isola adesso, forse riuscirei a ripulire la terra e ad ararla in tempo per piantare un orto. — Poi cambiò espressione. — E tu?

— Io? Me la caverò benissimo. Il TDT mi ha invitato a tornare.

— Ma è stato sei mesi fa.

— Me l’hanno chiesto di nuovo. La settimana scorsa.

— E tu hai detto di no. Idiota.

— Può darsi, può darsi.

— È tutto tempo perso. Tutto quel tempo. Tutta quell’energia. Tutto quel lavoro. Sarebbe stato meglio che fossi andata a coltivare la terra all’isola. A quest’ora, almeno, avrebbe incominciato a rendere. Che spreco, Charlie, che spreco schifoso.

— No, non credo, Shara. Ti sembrerà una frase fatta dire niente è sprecato, ma… ecco, è come la danza che hai appena eseguito. Forse non puoi vincere la gravità… ma sicuramente tentare è molto bello.

— Già, lo so. Ricorda la Brigata Leggera a Balaclava. Ricorda Alamo. Anche quelli tentarono. — Rise, una risata amara.

— Sì, e anche Gesù di Nazareth. L’hai fatto per il ricavo materiale o perché sentivi che era necessario? Se non altro, abbiamo registrato centinaia e centinaia di metri delle danze più belle: valore commerciale zero, valore reale incalcolabile, e per me non è uno spreco. Adesso è finita, e tutti e due faremo qualcosa d’altro, ma non è stato uno spreco. — Scoprii che stavo gridando, e m’interruppi.

Lei chiuse la bocca. Dopo un po’ cercò di sorridere. — Hai ragione, Charlie. Non è stato uno spreco. Adesso sono una ballerina molto migliore di prima.

— Verissimo. Hai trasceso la coreografia.

Shara sorrise malinconicamente. — Sì. E persino Norrey pensa che sia un vicolo cieco.

— Non è un vicolo cieco. La poesia non è soltanto haiku e sonetti. Non è necessario che i ballerini siano robot che recitano con il loro corpo le battute imparate a memoria.

— Lo fanno, invece, se vogliono guadagnarsi da vivere.

— Ritenteremo fra qualche anno. Forse allora il pubblico sarà pronto.

— Sicuro. Aspetta, preparo qualcosa da bere.

Quella notte dormii con lei, per la prima e l’ultima volta. La mattina dopo smontai la scena in soggiorno mentre lei faceva i bagagli. Promisi di scriverle. Promisi che sarei andato a trovarla appena avessi potuto. Portai le sue valigie alla macchina e le caricai a bordo. La baciai e mi sbracciai per salutarla. Andai in cerca di qualcosa da bere, e l’indomani mattina alle quattro un rapinatore pensò che dovevo essere abbastanza ubriaco, e gli spaccai la mascella, il naso e due costole, poi mi sedetti addosso a lui e piansi. Il lunedì mattina mi presentai allo studio con il cappello in mano e la bocca che sembrava il portacenere d’una stazione d’autobus e riebbi il mio vecchio lavoro. Norrey non fece domande. Con i prezzi degli alimentari che salivano, rinunciai a nutrirmi d’altro che di bourbon, e meno di sei mesi dopo fui licenziato. M’impantanavo sempre dopo «Carissima Shara…»

Quando mi ridussi al punto di vendere la mia attrezzatura video per pagarmi da bere, un relay scattò da qualche parte e cominciai a riflettere. Quella roba era tutta la vita che avevo lasciato, e perciò anziché andare al banco dei pegni andai alla sede locale degli Alcolisti Anonimi e ridiventai sobrio. Dopo un po’ la mia anima s’intorpidì, e io smisi di rabbrividire quando mi svegliavo. Cento volte incominciai a cancellare i nastri di Shara che avevo ancora (lei aveva le sue copie); ma non ne ero capace. Ogni tanto mi domandavo cosa stava facendo lei, e non sopportavo l’idea di scoprirlo. Se Norrey aveva sue notizie, a me non diceva niente. Cercò persino di farmi riavere il mio posto per la terza volta, ma non ci fu niente da fare. La reputazione può essere una cosa tremenda, una volta che te la sei rovinata. Fu una fortuna, per me, riuscire a trovare un lavoro presso una stazione educativa TV a New Brunswick.