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Dovemmo scendere due livelli per raggiungere il Salone. La gravità al livello superiore veniva mantenuta a un sesto del normale, un po’ per comodità del personale lunare che faceva regolarmente la spola, e soprattutto (ovviamente) per comodità di Carrington. Ma la discesa portò un sottile aumento del peso, fin quasi a un quarto del normale. La mia gamba protestava rabbiosamente, ma scoprii, con mia sorpresa, che preferivo il dolore alla sua assenza. Fa un po’ paura, quando un vecchio amico vi abbandona così.

Il Salone era molto più grande di quanto mi aspettassi: era abbastanza grande per i nostri scopi. Abbracciava tutti e tre i livelli, e una parete intera era un immenso teleschermo sul quale le stelle turbinavano vertiginosamente, e ogni tanto vi appariva una fetta della Madre Terra. Sul pavimento erano distribuiti gruppi di poltrone e tavolini, ma era facile capire che, togliendoli, Shara avrebbe avuto tutto lo spazio necessario per ballare; e cosa non meno importante, i miei piedi mi dicevano che la superficie sarebbe stata adattissima alla danza. Poi ricordai che il pavimento non sarebbe servito a molto.

— Bene — mi disse Shara con un sorriso, — per i prossimi sei mesi, staremo in un ambiente come questo. Il salone del Due è identico.

— Sei mesi? — disse McGillicuddy. — Impossibile.

— Come sarebbe a dire? — esclamammo contemporaneamente io e Shara.

Lui batté le palpebre, sconcertato. — Ecco, lei potrebbe farcela per tutto quel tempo, Charlie. Ma Shara è già stata più di un anno in condizioni di bassa gravità, quando faceva la dattilografa.

— E con questo?

— Senta, prevede di restare in condizioni d’imponderabilità per molto tempo, vero, se non ho capito male?

— Dodici ore al giorno — disse Shara.

McGillicuddy fece una smorfia. — Shara, mi dispiace dirglielo… ma mi sorprenderebbe se resistesse un mese. Un organismo creato per un ambiente a una gravità non funziona a dovere a gravità zero.

— Ma si adatterà, no?

Lui rise, amaramente. — Sicuro. È per questo che ogni quattordici mesi rimandiamo tutto il personale sulla Terra. Il suo organismo si adatterebbe. A senso unico. Senza possibilità di ritorno. Quando sarà completamente adattata, il ritorno sulla Terra le causerà un arresto cardiaco… se non si verificherà prima qualche altro grosso guasto organico. Senta, è stata sulla Terra per tre giorni… non ha notato dolori al petto? Vertigine? Disturbi intestinali? Nausea durante il viaggio di ritorno?

— Tutti quanti — ammise Shara.

— Ecco. Quando è partita, era ormai vicina al limite nominale di quattordici mesi. E il suo organismo si adatterà ancora più rapidamente alle condizioni di gravità zero. Il primato di resistenza all’imponderabilità è di novanta giorni: lo stabilì l’equipaggio del primo Skykab… e loro, prima, non avevano passato un anno a un sesto di gravità, e non si affaticavano il cuore come invece farà lei. Diavolo, adesso sulla Luna ci sono quattro uomini, dei dodici della prima squadra mineraria, che non rivedranno più la Terra. Otto dei loro compagni ci provarono. Voi due non sapete niente dello Spazio?

— Ma io devo restare almeno quattro mesi. Quattro mesi di lavoro continuo, tutti i giorni. Devo. — Shara era sgomenta, ma si sforzava di controllarsi.

McGillicuddy fece per scuotere la testa, poi cambiò idea. Scrutava il viso di Shara. Sapevo esattamente cosa stava pensando, e questo me lo rendeva simpatico.

Stava pensando: come si fa a dire a una donna incantevole che il suo sogno più caro è irrealizzabile?

E lui non sapeva tutto. Io sapevo che cosa aveva già investito irrevocabilmente Shara in quel sogno: e qualcosa urlava, dentro di me.

E poi la vidi stringere i denti, ed osai sperare.

Il dottor Panzarella era un vecchio magro e solido con le sopracciglia che sembravano due bruchi pelosi. Portava una salopette aderente che non si sarebbe impigliata nelle chiusure ermetiche di una tuta pressurizzata se avesse dovuto indossarla in fretta e furia. I capelli lunghi fino alle spalle, che avrebbero formato una criniera intorno alla grossa testa, erano legati strettamente all’indietro, nell’eventualità che la gravità venisse a mancare all’improvviso. Un tipo prudente. Per usare una metafora antiquata, era quel tipo d’uomo che porta le bretelle e la cintura. Visitò Shara, fece esami ed analisi, e le diede poco meno di un mese e mezzo. Shara gli parlò. Io gli parlai. McGillicuddy gli parlò. Panzarella scrollò le spalle, fece altri esami ancora più meticolosi e, con molta riluttanza, rinunciò alle bretelle. Due mesi. Non un giorno di più. Forse meno, a seconda dei successivi controlli delle reazioni dell’organismo di Shara all’imponderabilità protratta. Poi un anno sulla Terra prima che potesse tentare di nuovo. Shara sembrava soddisfatta.

Non capivo come avremmo potuto farcela.

McGillicuddy ci aveva assicurato che Shara avrebbe impiegato almeno un mese solo per imparare a muoversi con efficienza in gravità zero, figurarsi poi a ballare. La familiarità con un sesto di gravità, disse, sarebbe stata un inconveniente anziché un vantaggio. Poi bisognava calcolare tre settimane per la coreografia e le prove, una settimana di registrazione e forse forse saremmo riusciti a trasmettere una danza prima che Shara dovesse tornare sulla Terra. Non bastava. Io e lei avevamo calcolato che sarebbero stati necessari tre spettacoli successivi, e tutti ben accolti dal pubblico, per schiuderle davvero il mondo della danza. Un anno era troppo… e chi sapeva fra quanto Carrington si sarebbe stancato di lei? Perciò aggredii Panzarella.

— Mr. Armstead — ribatté lui, arrabbiatissimo, — il mio contratto mi vieta espressamente di permettere che questa signorina si suicidi. — Fece una smorfia acida. — Mi risulta che sia disastroso per le pubbliche relazioni.

— Charlie, va bene così — insistette Shara. — Posso farci stare tre danze. Magari perderemo un po’ di sonno, ma possiamo riuscire.

— Una volta dissi a un tale che non c’è niente d’impossibile. E lui mi chiese se ero capace di passare da una porta girevole con gli sci ai piedi. Tu non hai…

La mia mente innestò l’hyperdrive, considerò la situazione, si prese varie volte a calci nel sedere, e tornò nel tempo reale in tempo per sentire la mia bocca che diceva, senza interruzioni: — … molte possibilità di scelta. Bene, Tom, faccia sgombrare quel Maledetto Salone Due. Lo voglio nudo e immacolato. E bisognerà dire a qualcuno che dipinga lo stramaledetto schermo video, della stessa tinta delle altre tre pareti, e voglio dire proprio la stessa. Shara, togliti quei vestiti e metti la calzamaglia. Dottore, ci vedremo fra dodici ore. Tom, la smetta di star lì a bocca aperta e vada… andremo subito là. Dove diavolo sono le mie telecamere?

McGillicuddy balbettò.

— Mi dia una squadra armata di fiamme ossidriche… voglio che aprano fori nelle pareti, e mettano le telecamere dietro, con finti specchi, in sei posti diversi; voglio una stanza adiacente al Salone per mettere il banco mixer, e una macchina per il caffé imbullonato vicino alla poltroncina. Ho bisogno di un’altra stanza per il montaggio, con privacy completa e oscurità totale, della grandezza di una cucina efficiente, con un’altra macchina per il caffé.

Finalmente McGillicuddy mi investì con un torrente di parole. — Mr. Armstead, questo è l’Anello Principale del complesso Skyfac Uno. gli uffici amministrativi di una delle società più ricche che esistano. Se crede che l’intero Anello si metta capovolto per far piacere a lei…