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Robert J. Sawyer

Starplex

Anche se l’arco dell’universo morale è lungo, esso si piega verso la giustizia.

Martin Luther King jr

Ringraziamenti

Questo romanzo si è condensato dalla nube primordiale delle mie idee con l’aiuto degli editor Susan Allison, della Ace, e Stanley Schmidt, di “Analog”; Richard Curtis; il dottor Ariel Reich; i colleghi scrittori J. Brian Clarke, James Alan Gardner, Mark A. Garland e Jean Louis Trudel; lo straordinario correttore di bozze Howard Miller; e i consueti e brillanti lettori dei miei manoscritti: Ted Bleaney, David Livingstone Clink, Terence M. Green, Edo van Belkom, Andrew Weiner e, soprattutto, la mia amorevole moglie, Carolyn Clink.

Alpha Draconis

Il costo sarebbe stato spropositato.

La gravità era già stata annullata e Keith Lansing fluttuava a zero G. Di norma quell’esperienza gli distendeva i nervi, ma non oggi. Oggi respirava a fatica e scuoteva la testa. Per riparare i danni alla Starplex ci sarebbero voluti miliardi. E quanti cittadini del Commonwealth erano morti? Be’, questo lo avrebbe accertato l’inevitabile inchiesta, alla quale non dedicò nemmeno una frazione delle sue riflessioni.

Tutte le sue stupefacenti scoperte, compreso il primo contatto con i matos, potevano ancora essere messe in ombra dalla politica… o addirittura da una guerra interstellare.

Keith toccò il pulsante verde sulla consolle di fronte a sé. Udì il rumore dell’esplosione, trasportato dalle pareti d’acciaio dello scafo, quando la scialuppa si staccò dall’anello d’accesso, situato sulla parete posteriore del molo d’attracco. Il tragitto era preprogrammato nel computer della scialuppa: uscire dai moli della Starplex, volare verso la scorciatoia, imboccarla, uscire alla periferia del sistema Tau Ceti e attraccare a uno dei moli di Grand Central, la stazione spaziale delle Nazioni Unite che controllava il traffico della scorciatoia più vicina alla Terra. Poiché era tutto programmato, Keith non aveva niente da fare durante il viaggio se non riflettere su ciò che era accaduto.

In quel momento non era nelle condizioni di apprezzarlo, ma si trattava di un miracolo: ormai attraversare metà della galassia in un batter d’occhio era diventata una routine. Tutt’altra cosa dall’eccitazione di diciotto anni prima, quando lo stesso Keith aveva scoperto la rete delle scorciatoie: una vasta schiera di portali, evidentemente artificiali, che costellava la galassia e consentiva trasferimenti istantanei da punto a punto. A quel tempo Keith la chiamava magia. Dopotutto, vent’anni prima erano servite le risorse dell’intero pianeta Terra per stabilire le colonie di Nuova Pechino su Tau Ceti IV, ad appena 11,8 anni luce dal Sole, e quella di New New York su Epsilon Indi III, a 11,2 anni luce di distanza. Ora, invece, saltellare da un capo all’altro della galassia era diventata un’abitudine per gli esseri umani.

E non soltanto per gli esseri umani. Benché i costruttori delle scorciatoie non fossero mai stati trovati, infatti, esistevano altre forme di vita intelligente nella Via Lattea, tra cui i waldahudin e gli ib. Erano stati loro, insieme con gli umani e con i delfini terrestri, a fondare 11 anni prima il Commonwealth dei Pianeti.

La scialuppa di Keith raggiunse il bordo del molo 12 e s’inoltrò nello spazio. Era una bolla trasparente, progettata per mantenere in vita una persona per un paio d’ore, che conteneva le attrezzature di supporto vitale e i razzi di manovra in un’ampia banda bianca equatoriale. Keith si girò a guardare la nave-madre che si allontanava alle sue spalle.

Il molo d’attracco era sul bordo del grande disco centrale della Starplex. Mentre la scialuppa si spingeva sempre più lontano, Keith osservò il gioco a incastro dei moduli abitativi triangolari, quattro nella parte superiore e quattro in quella inferiore.

“Cristo” pensò mentre guardava la nave. “Gesù Cristo!”

I finestrini dei quattro moduli inferiori erano bui. Cicatrici da laser, sottili come capelli, zigzagavano in tutto il disco centrale. Quando la scialuppa si spostò più in basso, Keith vide le stelle attraverso il foro circolare aperto nel disco centrale, dal quale era stato staccato di netto un cilindro dello spessore di dieci ponti.

“La spesa sarebbe stata uno sproposito” pensò ancora Keith. “Un vero sproposito.”

Tornò a guardare davanti a sé, oltre le pareti curve della bolla. Da tempo aveva smesso di esaminare il vuoto in cerca di un indizio della presenza delle scorciatoie: prima di essere toccate da un oggetto materiale non erano che invisibili, infinitesimali, punti geometrici. E la sua scialuppa ne avrebbe toccata una — diede un’occhiata alla consolle — entro 40 secondi. A quel punto la scorciatoia si sarebbe dilatata e avrebbe inghiottito ciò che la stava attraversando.

Lui sarebbe rimasto a Grand Central forse per otto ore, il tempo necessario per fare rapporto al primo ministro Petra Kenyatta sull’attacco alla Starplex. Poi sarebbe tornato indietro. Per allora, se tutto andava bene, Jag e Lunga Bottiglia avrebbero avuto notizie sull’altro grosso problema in cui erano coinvolti.

I razzi di manovra della scialuppa si accesero secondo schemi complessi. Per uscire all’altezza di Tau Ceti era necessario imboccare la scorciatoia locale da sopra e da dietro. Le stelle si spostarono velocemente mentre la scialuppa modificava la sua traiettoria secondo l’angolo appropriato, per poi… toccare il punto. Attraverso lo scafo trasparente, Keith vide l’ardente discontinuità color porpora tra i due settori di spazio passare oltre la scialuppa: prima e dopo, due panorami stellati che non combaciavano. Dietro, la stregata luce verde della regione che stava lasciando; davanti, una rosea nebulosità…

Nebulosità? No, era tutto sbagliato. Non c’era nessuna nebulosità a Tau Ceti.

Quando la scialuppa ebbe completato il transito, non ci furono più dubbi: era sbucato nel posto sbagliato. Una bellissima nebulosa color rosa, dall’aspetto di una mano a sei dita, riempiva quattro gradi di cielo. Keith si girò a guardare in tutte le direzioni. Conosceva bene le costellazioni visibili da Tau Ceti, versioni leggermente distorte di quelle terrestri, tra le quali Bootes, che oltre alla lucente Arcturus conteneva lo stesso Sole. Quelle invece erano stelle sconosciute.

Keith sentì l’adrenalina entrare in circolo. Sapeva che nuovi settori di spazio si aprivano a gran ritmo, e ogni istante una nuova uscita diventava una scelta possibile nel reticolo delle scorciatoie. A quanto pareva, una scorciatoia giunta da poco all’esistenza aveva reso più stretti gli angoli d’avvicinamento a Tau Ceti.

Niente panico, si disse Keith. Poteva ancora arrivare a destinazione con una certa facilità. Doveva semplicemente tornare alla scorciatoia secondo un tracciato un po’ diverso, accertandosi di ridurre a zero lo scostamento dal centro matematico del cono di angoli accettabili per la stazione Grand Central.

Eppure… un intero nuovo settore! Con questo, il totale saliva a cinque nell’ultimo anno. “Buon Dio” pensò “sarebbe davvero un peccato che avessero cannibalizzato metà della futura sorella della Starplex per le parti di ricambio. Avrebbero potuto mettere in pista immediatamente un’altra nave-madre esplorativa, se le cose fossero andate in modo diverso.”

Keith controllò il registratore di volo, per assicurarsi di poter fare ritorno a quelle coordinate. Gli strumenti sembravano in perfetto ordine. Il suo primo istinto sarebbe stato quello di lanciarsi nell’esplorazione, di scoprire che cosa aveva da offrire quel nuovo settore, ma una scialuppa era progettata soltanto per rapidi trasferimenti attraverso le scorciatoie. Inoltre aveva un appuntamento da rispettare, al quale — consultò l’orologio impiantato — mancavano solo 45 minuti. Abbassò lo sguardo sul pannello di controllo e digitò le istruzioni per un altro passaggio nella rete delle scorciatoie. Poi controllò i parametri che l’avevano condotto lì, e aggrottò le sopracciglia: aveva impostato l’angolo di approccio a Tau Ceti con la massima esattezza. Prima di allora non aveva mai sentito di un trasferimento andato male, però…