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Jag imprecò. «Questa fardint scatola è vuota!»

“Esatto” disse Phantom.

Jag premette un tasto e apparve l’ologramma di Rombo. «Teklarg» lo apostrofò Jag, chiamando l’ib con il suo soprannome waldahud «hai mandato fuori una sonda difettosa. Tutto ciò che c’era nel compartimento numero 2 è stato perduto durante il ritorno.»

«Le mie scuse più sentite, buon Jag. Merito una punizione per avere sprecato così il tuo tempo» rispose Rombo. «Invierò un rimpiazzo all’istante.»

«Fallo» sbottò Jag colpendo il pulsante che chiudeva la comunicazione. Passò quindi al compartimento numero 1… per scoprire con costernazione che anch’esso aveva perduto il suo contenuto durante il viaggio di ritorno. «Scalcagnata ingegneria umana» brontolò tra sé.

E i brontolii salirono di tono quando il secondo portacampioni della sonda giunse al laboratorio. Le letture erano identiche, compreso l’anomalo dato di bassissima pressione atmosferica ottenuto quando la sonda era scesa sulla grande sfera.

Ancora una volta Jag evocò l’ologramma di Rombo.

«Caro Jag devo dirti, in pace e con ogni buona intenzione, che non ho individuato nulla di evidentemente sbagliato nella sonda. I sigilli del contenitore sono perfetti. Niente sarebbe dovuto sfuggire.»

«Tuttavia i campioni raccolti se ne sono andati» ribatté Jag. «Il che significa che i campioni devono essere fatti di una sostanza decisamente insolita.»

Sulla rete di Rombo vi fu uno spostamento di luci. «È un’ipotesi sensata.»

Jag fece stridere le placche dentali. «Dev’esserci un modo per portare a bordo un po’ di quella sostanza e studiarla.»

«Indubbiamente tu ci hai già pensato» intervenne Rombo «e spreco il tempo di entrambi menzionando l’idea, ma potremmo usare una trappola di forza. Come quelle che si usano nei laboratori per maneggiare l’antimateria.»

Jag sollevò le spalle superiori. «Accettabile. Ma non un campo di forza elettromagnetica, usa piuttosto campi di gravità artificiale per tenere il contenuto a distanza dalle pareti della trappola, qualunque sia l’accelerazione della nave.»

«Eseguirò con obbedienza» fu la risposta di Rombo.

La trappola di forza doveva essere manipolata con raggi trattori. Consisteva in otto generatori antigravitazionali collocati ai vertici di un cubo, con grandi maniglie a forma di spatola incollate al centro di ogni faccia per dare ai raggi trattori qualcosa cui agganciarsi. La trappola fu spinta verso una delle grandi sfere grigie e lì fu aperta. Una seconda venne inviata nello sciame di ghiaia tra due sfere, dove fu attivata. Entrambe le trappole furono poi rapidamente ritirate a bordo della Starplex.

Infine i contenitori furono trasferiti in due scomparti separati all’interno del laboratorio di Jag. Il trucco dell’antigravità ebbe successo: una trappola conteneva effettivamente campioni del gas che costituiva la sfera, l’altra varie briciole di ghiaia traslucida e un sasso semitrasparente grande quanto un uovo di gallina. Finalmente Jag avrebbe potuto scoprire in che cosa si erano imbattuti.

6

Keith si passò una mano sulla pelata e si appoggiò allo schienale, guardando l’ologramma del panorama stellato che avviluppava il ponte. Fino al rapporto di Jag non c’era granché da fare. Rissa era ancora giù a lavorare con Carro Merci, e il turno alfa stava per smontare. Keith espirò, forse troppo rumorosamente. In quel momento Rombo mosse le ruote verso il computer del direttore, per parlare con lui. Sul mantello dell’ib le luci cominciarono a lampeggiare. «Irritato?» chiese la voce tradotta.

Keith annuì.

«Jag?» domandò l’ib.

Keith annuì di nuovo.

«Con la massima cortesia, faccio notare che non è così male» commentò Rombo. «Per essere un waldahud, è notevolmente garbato.»

Keith fece un cenno verso la parte del cielo stellato che celava la porta da cui Jag era uscito. «È troppo… competitivo. Combattivo.»

«Sono tutti così» osservò Rombo. «Almeno i maschi. Hai passato molto tempo su Rehbollo?»

«No. Benché fossi presente durante il primo contatto tra umani e waldahudin, ho sempre pensato che per me fosse preferibile stare lontano da Rehbollo. Ho in me ancora molta rabbia, credo, per la morte di Saul Ben-Abraham.»

Rombo rimase in silenzio per alcuni secondi, forse per assimilare l’informazione. Poi la sua rete tornò a incresparsi di luci. «Il nostro turno è terminato, amico Keith. Mi concederesti nove minuti del tuo tempo?»

Keith scrollò le spalle e si alzò. Disse, rivolgendosi ai presenti: «Avete fatto tutti un ottimo lavoro, grazie.»

Lianne si girò, facendo ondeggiare i capelli color platino, e rivolse a Keith un sorriso. Keith e Rombo imboccarono il corridoio gelido, le ruote dell’ib accanto ai piedi dell’umano.

Anche un paio di smilzi robot percorrevano il corridoio. Uno portava un vassoio di vivande, l’altro stava passando l’aspirapolvere sul pavimento. Dentro di sé Keith li aveva battezzati robocop: Robot Camerieri Onnipresenti di Phantom… ma i waldahudin avrebbero dato in escandescenze alla sola idea che la terminologia della Starplex comprendesse acronimi che contenevano altri acronimi.

Oltre la vetrata sulla parete del corridoio Keith vide uno dei tubi di accesso verticali per i delfini, formati da cilindri d’acqua alti un metro e intervallati da strati d’aria di dieci centimetri, tenuti fermi da campi di forza. I tratti d’aria impedivano alla pressione dell’acqua di crescere con l’altezza del tubo. Proprio mentre guardava, un delfino risalì il tubo nuotando.

Keith guardò Rombo. Le sue luci lampeggiavano tutte all’unisono. «Che c’è da ridere?» domandò Keith.

«Niente» rispose l’ib.

«Dai, dimmelo.»

«Stavo solo pensando a una barzelletta che Thor ha raccontato oggi. Quanti waldahudin ci vogliono per cambiare una lampadina? Riposta: cinque… e ognuno dice che è merito suo.»

Keith aggrottò la fronte. «Lianne ti ha raccontato la stessa barzelletta qualche settimana fa.»

«Lo so» ribatté Rombo. «E ho riso anche allora.»

Keith scosse il capo. «Non capirò mai come facciate voi ib a continuare a ridere per le stesse cose.»

«Se potessi mi gratterei la testa» ribatté Rombo. «Lo stesso quadro è bello ogni volta che lo si guarda. Lo stesso piatto è gustoso ogni volta che lo si mangia. Perché la stessa barzelletta non dovrebbe essere divertente ogni volta che la si ascolta?»

«Non lo so» rispose Keith. «Ma sono felice che tu abbia smesso di ripetere quella stupida battuta, “questo non è il semiasse, è il mio tubo digerente”, ogni volta che mi vedevi. Era sempre più irritante.»

«Mi spiace.»

Per un po’ proseguirono lungo il corridoio in silenzio, poi: «Sai, buon Keith, è molto più facile comprendere i waldahudin dopo che si è trascorso un po’ di tempo sul loro mondo.»

«Ah sì?»

«Tu e Clarissa siete sempre stati felici insieme, se mi è consentito farlo notare. Noi ib non godiamo di tale intimità con altri individui: mescoliamo il materiale genetico tra i nostri stessi componenti anziché legarci a un compagno. Oh, certo, io traggo conforto dagli altri miei componenti… le ruote, per esempio, non sono senzienti ma hanno un’intelligenza pari a quella di un cane terrestre. Il rapporto che ho con loro è per me fonte di grande gioia. Ma mi rendo conto che la relazione esistente tra voi è qualcosa di molto, molto più grande. Io la comprendo solo vagamente, ma sono certo che Jag l’apprezza. Anche i waldahudin, dopo tutto, hanno due sessi come gli umani.»

Keith non capiva dove volesse andare a parare, ma, soprattutto, si chiedeva se Rombo non facesse troppo affidamento sulla loro amicizia. «E allora?»

«I waldahudin hanno due sessi, ma non un numero equivalente di membri dei due sessi. Ci sono addirittura cinque maschi per ogni femmina» continuò l’ib. «Malgrado questa sproporzione, sono una razza monogama e le coppie durano per tutta la vita.»