Keith annuì e Vetro fece un movimento strano, come di sghembo, e scomparve. Sicuramente era passato da una porta nascosta dalla foresta simulata che riempiva il molo d’attracco… l’unica prova visiva che gli fosse stata concessa per contrastare l’impressione di trovarsi sulla Terra. Be’, se c’era una porta l’avrebbe trovata. Mosse una mano nell’aria nel punto in cui Vetro era scomparso, ma senza trovare nulla.
Da qualche parte, comunque, una parete doveva esserci per forza. Il molo non era poi così grande. Keith cominciò a camminare, con la certezza che prima o poi sarebbe andato a sbattere contro una parete. Proseguì per almeno cinquecento metri senza incontrare ostacoli. Era chiaro che se il suo rapitore — appena ebbe formulato mentalmente quella definizione si sforzò di cancellarla e sostituirla con la parola ospite — se il suo ospite avesse voluto batterlo in astuzia avrebbe potuto manipolare le immagini per fargli credere di muoversi in linea retta quando invece camminava in cerchio.
Decise di prendersi un po’ di riposo. Per quanto fin dall’inizio avesse tentato di trovare il tempo per esercitarsi nella palestra terrestre della Starplex, dove la gravità era regolata a 1 G, aveva perso comunque un po’ di tono muscolare dopo tutto quel tempo passato nella più leggera gravità waldahud usata negli ambienti comuni della nave. Avrebbe dovuto accettare le sfide a pallamano che gli faceva Thor Magnor. Con Saul aveva praticato quello sport con regolarità, ma aveva smesso dopo la sua morte.
Keith sedette nuovamente sul terreno, che in quel punto era tappezzato di trifoglio. Passò le dita nel prato apprezzando la sensazione carezzevole che provava sulla pelle. Era una simulazione davvero egregia. Rilassante, molto bella. Guardò alcuni uccelli veleggiare alti nel cielo, troppo lontani per identificarne la specie.
Staccò uno stelo e lo alzò per guardarlo da vicino. Forse era il suo giorno fortunato, sembrava un quadrifoglio…
Che fortuna! Lo era davvero!
Ne raccolse altri e li contemplò a bocca aperta.
Si sdraiò per terra ed esaminò le piantine una per una.
Erano tutti quadrifogli.
Ne raccolse un altro e se lo portò davanti agli occhi, tenendolo tra pollice e indice. Lo scrutò con la massima attenzione, ma sembrava normalissimo trifoglio da ogni punto di vista: aveva perfino una goccia di linfa verde all’estremità dello stelo spezzato. Ciò nonostante tutti quei trifogli avevano “quattro” foglie. Eppure il trifoglio ha tre foglie, lo dice il nome stesso, se non nei rari casi di mutazioni individuali, mentre quelle piante avevano tutte quattro foglie distinte, di forma ovale.
Keith lanciò uno sguardo ai fiorellini bianchi e rosa che spuntavano da alcune piantine: anch’essi confermavano che si trattava di trifoglio. Ma con quattro foglie. Scosse la testa. Com’era possibile che, dopo aver realizzato una simulazione corretta in tutti i dettagli, Vetro avesse commesso un errore del genere? Non aveva senso.
Si guardò intorno, alla ricerca di altre discrepanze. Gli alberi decidui sembravano quasi tutti aceri… aceri da zucchero, per la precisione. E quelle conifere erano pini del genere banksiana, quel grande albero un po’ più lontano era un abete rosso. Inoltre…
E che uccello era quello posato sull’abete rosso? Certamente non un cardinale rosso né una ghiandaia. Aveva sì una specie di pennacchio sulla testa, ma verde smeraldo, e il becco era piatto e a spatola, molto insolito in un uccello canoro.
Quella era la Terra, non c’erano dubbi. Bastava guardare la luna, ancora lassù nel cielo diurno. Eppure non era “esattamente” la Terra: alcuni dettagli non coincidevano.
Keith si mordicchiò il labbro, pensieroso.
7
Jag e Rissa presero l’ascensore per il ponte e, dopo qualche istante, Jag era davanti alle due file di computer a raccontare ai colleghi della fantastica scoperta. «C’è una metafora che viene ripetuta sempre identica da anni» abbaiò. «Quella che la materia visibile sarebbe come la schiuma su un nero oceano di materia oscura. Sapevamo che la materia oscura esisteva, per i suoi effetti gravitazionali, ma non l’avevamo mai vista… finora. Quelle sfere là fuori e la nebbia di ghiaia tra loro sono fatte di materia oscura.»
Lianne emise un flebile fischio. Keith aggrottò la fronte. Sapeva che cosa fosse la materia oscura, ovviamente: un astronomo del CalTech, Fred Zwicky, aveva postulato la sua esistenza già nel 1933, sulla base di osservazioni delle galassie dell’ammasso della Vergine. Quelle galassie ruotavano l’una intorno all’altra così velocemente che, se la loro massa fosse stata composta principalmente dalle stelle visibili, l’intero complesso avrebbe dovuto sbriciolarsi molto tempo prima. Gli studi successivi avevano messo in luce che quasi tutte le grandi strutture dell’universo, Via Lattea compresa, si comportavano come se in esse ci fosse molta più massa di quella calcolabile tenendo conto dei soli e di tutti i loro possibili pianeti. Esisteva dunque una materia mai osservata prima, soprannominata “materia oscura” perché sembrava non emettere luce né essere particolarmente riflettente, che era responsabile del 90 per cento della forza di gravità presente nell’universo.
Come al solito, Thorald Magnor aveva i grossi piedi appoggiati alla consolle e le dita tozze intrecciate dietro la nuca, affondate nella chioma rossa. «Pensavo che avessimo già scoperto che cos’è la materia oscura» disse.
«Soltanto in parte» replicò Jag, alzando due delle quattro mani. «Sappiamo da parecchio tempo che la materia barionica, cioè quella fatta di protoni e neutroni, giustifica meno del dieci per cento della massa dell’universo. Nel 2037 abbiamo scoperto che l’inafferrabile neutrino tauonico ha una massa, per quanto piccolissima: circa sette elettronvolt. E abbiamo scoperto che anche il neutrino muonico ha una massa, ma quasi evanescente: tre millesimi di elettronvolt. Poiché questi due tipi di neutrini sono estremamente abbondanti, hanno una massa complessiva due o tre volte superiore a quella della materia barionica. Ma questo ci lasciava ancora con i due terzi della massa dell’universo non giustificata… finora.»
«Che cosa ti fa pensare che quella roba là fuori sia proprio materia oscura?» domandò Keith.
«Intanto non è materia normale» rispose Jag. «Questo è certo.» Benché cercasse di nasconderlo, Jag si teneva appoggiato con una mano al bordo smussato della consolle di Thor, per impedirsi di cadere sulle quattro gambe. La Starplex aveva introdotto un ciclo a quattro turni come concessione ai waldahudin, originari di un pianeta con una durata del giorno molto breve, ma Jag aveva continuato a lavorare anche nel suo periodo di sonno. «Nei primi studi sulla materia oscura c’erano due candidati per gli oggetti che potevano costituirla: erano stati battezzati WIMP e MACHO dagli astronomi umani… o, meglio, da quelli tra loro che meritavano di farsi una nuotata nell’urina. I WIMP erano weakly interacting massive particles,cioè “particelle massive debolmente interagenti”… vi rendete conto di quale gergo incomprensibile ci abbiano scaricato per il gusto di trovare acronimi così stupidi? Sia quel che sia, i neutrini tauonici e muonici si rivelarono essere WIMP.»
«E i MACHO?» domandò Keith.
«Massive compact halo objects» recitò Jag. «Cioè “oggetti alone massivi e compatti”, dove l’alone sarebbe la sfera di materia oscura al cui centro si trova una galassia. Si credeva che gli oggetti massivi e compatti fossero miliardi di corpi come Giove, non associati a nessuna stella in particolare… in altre parole, una nebbia di mondi gassosi nella quale si muove la galassia.»
Lianne era china in avanti, col mento appoggiato a una mano. «Ma se l’universo fosse davvero permeato di MACHO» chiese «non avremmo dovuto trovarli già da un pezzo?»
Jag si girò verso di lei. «Su scala cosmica, anche oggetti della grandezza di Giove sono insignificanti. E dal momento che non sono luminosi, potremmo vederli in un solo caso: se nel loro vagabondare passassero davanti a una stella proprio nel momento in cui la stiamo osservando. E anche così l’effetto sarebbe minimo: una lieve focalizzazione della luce stellare, che causerebbe un momentaneo bagliore. Eventi simili sono stati registrati, di tanto in tanto: l’osservazione più antica in questo senso fu fatta da astronomi umani nel 1993. Ma anche se lo spazio traboccasse di MACHO, cioè se ce ne fossero abbastanza da costituire i due terzi della massa dell’universo, soltanto la luce di una stella ogni cinque sarebbe focalizzata gravitazionalmente a causa del loro passaggio.» Indicò con una mano la zona tremolante del campo stellare. «Qui vediamo un effetto intenso perché siamo particolarmente vicini al campo di materia oscura, ma la materia oscura è di per sé trasparente. Ciò che vediamo in realtà è normale polvere cosmica, sparsa in mezzo a oggetti di materia oscura.»