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Entrambi rimasero in silenzio, tra i cinguettii degli uccelli e il frinire delle cicale. Alla fine Vetro disse: «Dev’essere un peso difficile da sopportare.»

Keith non fece commenti.

«Rissa lo sa?»

«Sì, eravamo già sposati a quell’epoca. Era venuta su Silvanus per scoprire come mai su quel pianeta non si erano sviluppate forme di vita autoctone benché, secondo i nostri modelli evolutivi, le condizioni sembrassero favorevoli. Ma non ho mai parlato molto di ciò che è accaduto a Saul, né con Rissa né con altri. Non trovo giusto scaricare le mie sofferenze su coloro che mi circondano: ognuno di noi ha la sua parte di problemi.»

«Dunque ti sei tenuto tutto dentro.»

Keith scrollò le spalle. «Io sono per un certo stoicismo… per un certo riserbo emotivo.»

«Lodevole» commentò Vetro.

Keith ne fu sorpreso. «Credi?»

«È un sentimento che condivido, anche se mi rendo conto che è insolito. La maggior parte della gente vive, perdonami la battuta, in modo trasparente.» Vetro fece un gesto per indicare il suo corpo. «Il loro io privato coincide con il loro io pubblico. Perché tu sei così diverso?»

«Non lo so. Sono fatto così.» Tacque a lungo, riflettendo. Poi aggiunse: «Quando avevo nove anni o giù di lì, c’era un ragazzo del vicinato che faceva il bullo. Uno zoticone sui tredici o quattordici anni, che aveva l’abitudine di prelevare i ragazzi più piccoli e scaricarli in un cespuglio spinoso nel parco. Quelli che venivano catturati scalciavano, strillavano e piangevano, e lui sembrava goderne. Un giorno venne da me, mi afferrò mentre correvo, mi portò verso il cespuglio e mi ci buttò dentro. Io non mi dimenai. Non ce n’era motivo: era grosso il doppio di me e non sarei mai riuscito a liberarmi. E nemmeno strillai o piansi. Mi buttò nel cespuglio e io mi limitai a rialzarmi e uscire di lì. Ne ricavai qualche abrasione e un bel po’ di graffi, ma non dissi nulla. Lui restò a fissarmi per una decina di secondi, poi commentò: “Lansing, tu hai le palle” e non mi toccò mai più.»

«Allora la tua interiorizzazione è un meccanismo di sopravvivenza?» domandò Vetro.

Keith fece spallucce. «Serve a rafforzare ciò che c’è da rafforzare.»

«Però non sai da dove provenga.»

«No» ammise Keith. Poi aggiunse: «Be’, in realtà sì, credo di saperlo. I miei genitori erano entrambi piuttosto polemici e se la prendevano per nulla. Non si sapeva mai quando uno dei due avrebbe dato in escandescenze. In pubblico, in privato… non faceva differenza. Non si era al sicuro nemmeno durante una conversazione di cortesia. Cenavamo insieme ogni sera e io restavo sempre in silenzio, con la speranza che almeno per una volta la cena si concludesse senza traumi, senza che uno di loro si alzasse da tavola infuriato e se ne andasse, senza scenate o frasi cattive.»

Keith fece una pausa. «In verità il legame tra i miei genitori aveva anche altre caratteristiche che da piccolo non comprendevo. All’inizio entrambi avevano una carriera, ma col passare degli anni l’automazione eliminò sempre più lavori… questo avveniva prima che la vera intelligenza artificiale fosse messa fuori legge. Il governo canadese modificò le leggi sulle imposte in modo tale che il secondo stipendio pagasse tasse pari al 110 per cento: era una mossa studiata per distribuire il poco lavoro che c’era alla maggior parte delle famiglie. Papà guadagnava meno della mamma, così fu lui che dovette lasciare il lavoro. Adesso so che la sua irritabilità derivava in gran parte da questo, ma a quel tempo tutto ciò che capivo era che i miei genitori riversavano la loro rabbia e la loro frustrazione su chiunque fosse loro vicino. E benché fossi un bambino, giurai che non mi sarei mai comportato così.»

Vetro ascoltava rapito. «Incredibile» commentò. «Tutto quadra.»

«Che cosa quadra?» domandò Keith.

«Tu.»

13

A Keith girava la testa. Troppe scoperte, troppi avvenimenti inattesi. Tamburellò con le dita sulla sua consolle, pensando. Poi disse: «Okay, gente. Adesso che facciamo?»

Le tre postazioni della fila anteriore ruotarono sui piedistalli per fronteggiare la fila posteriore: Lianne guardava Jag, Thor guardava Keith e Rombo guardava Rissa. Keith scrutò uno per uno i membri della squadra di turno sul ponte. «Qui non c’è che l’imbarazzo della scelta» disse. «Primo, c’è il mistero delle stelle che escono dalle scorciatoie… e che secondo Jag provengono dal futuro. Come se questo enigma non fosse sufficiente, ci troviamo pure di fronte a una forma di vita… “vita”!… fatta di materia oscura.» Keith guardò gli altri. «Considerata la complessità dei segnali radio raccolti da Hek, c’è perfino la possibilità… ma piccolissima, ve lo assicuro… che questo sia un primo contatto con una forma di vita intelligente. Solo ieri sarebbe stata una follia, ma le indagini sulla materia oscura saranno affidate alla divisione scienze biologiche, Rissa.»

Lei fece un cenno di assenso.

Keith si rivolse a Jag. «D’altra parte, le stelle che escono dalle scorciatoie potrebbero rivelarsi una minaccia per il Commonwealth. Se tu hai ragione, Jag, cioè se queste stelle vengono davvero dal futuro, dobbiamo scoprire perché stanno tornando indietro. Forse per un atto deliberato? E, se è così, il fine potrebbe essere ostile? O si tratta soltanto di un incidente? Magari c’è un ammasso globulare che, a miliardi di anni da noi, è entrato in collisione con una scorciatoia e l’ha in qualche modo sovraccaricata facendole trasmettere qui da noi alcune delle stelle che lo compongono.»

«Un ammasso globulare non potrebbe attraversare una scorciatoia» abbaiò Jag. «Passerebbe soltanto una delle sue stelle.»

«A meno che» intervenne Thor, con un tono un po’ petulante «l’ammasso globulare non fosse racchiuso da una specie di super sfera di Dyson… un guscio che circondi tutto il gruppo di stelle. Immagina che qualcosa del genere tocchi una scorciatoia che si trova miliardi di anni nel futuro: nell’attraversare il portale il guscio potrebbe rompersi, distribuendo le singole stelle in diversi punti di uscita.»

«Ridicolo» affermò Jag. «Voi umani vi date sempre manforte, anche per sostenere le più assurde fantasticherie. Prendiamo le vostre religioni, per esempio…»

«Basta così!» sbottò Keith, battendo sonoramente la mano aperta sul bordo della sua consolle. «Basta così. Non arriveremo da nessuna parte bisticciando tra noi.» Guardò il waldahud. «Se non condividi l’ipotesi di Thor, proponi la tua. Perché ci arrivano stelle dal futuro?»

Jag era di fronte al direttore, ma guardava Keith solo con gli occhi di destra, mentre con la coppia di sinistra controllava il resto dell’ambiente: era una istintiva reazione di preparazione al combattimento. «Non lo so» rispose alla fine.

«Abbiamo bisogno di risposte» disse Keith ancora con una punta di durezza nella voce.

«Interrompo con la massima cortesia» disse Rombo. «L’offesa non è voluta e sperabilmente non sarà avvertita.»

Keith si girò verso l’ib. «Che c’è?»

«Forse stai chiedendo alla persona sbagliata, sia detto senza ingiuria per il buon Jag, naturalmente. Ma se vuoi sapere perché le stelle vengono inviate indietro nel tempo, allora bisogna chiedere alla persona che le sta inviando.»

«Vuoi dire che dovremmo chiederlo a qualcuno nel futuro?» domandò Keith. «E come potremmo fare?»

Il mantello dell’ib lampeggiò. «Questa sì è una domanda da porre al buon Jag» rispose. «Se qualcosa che viene dal futuro può uscire da una scorciatoia nel passato, non potremmo noi inviare qualcosa dal passato al futuro?»

Jag restò in silenzio per qualche secondo, riflettendo. Alla fine mosse le spalle inferiori. «Per ciò che posso dire, no. Ogni mia simulazione computerizzata mostra che qualunque oggetto entri in una scorciatoia nel presente viene instradato a un’altra scorciatoia a essa contemporanea. Supponendo che le stelle vagabonde siano state inviate nel passato di proposito, non riesco a immaginare come i controllori delle scorciatoie ci siano riusciti, né ho idea di come si possa inviare qualcosa nel futuro.»