«Se è questo che desidera, ha il mio permesso.»
«Grazie, dottor Lansing. Le sono davvero molto grata.»
Keith fece un cenno di assenso e andò alla porta. Ripercorse il corridoio tiepido e tornò alle condizioni di STRESS dello stelo centrale. Di solito, quando passava da una zona ibese alla bassa gravità del resto della nave gli sembrava di galleggiare, si sentiva leggero come una piuma. Ma non questa volta.
«Un impulso tachionico!» annunciò Rombo dalla postazione delle operazioni esterne. «C’è qualcosa in arrivo dalla scorciatoia. Un oggetto piccolo, al massimo di un metro di diametro.»
“Con ogni probabilità un watson” pensò Keith. «Diamogli un’occhiata, Rombo.» In una zona dell’ologramma sferico comparve una cornice azzurra, nella quale c’era un ingrandimento telescopico dell’oggetto sbucato dalla scorciatoia.
«Bentornato a casa!» esclamò Thor Magnor, con un largo sorriso.
«Meglio che qualcuno faccia scendere Hek e Shanu Azmi» disse Keith.
«Ci penso io» disse Lianne. Dopo un attimo aggiunse: «Arrivano subito.»
Nel panorama stellato si spalancò una porta e lo specialista waldahud in comunicazioni aliene fece il suo ingresso sul ponte. Quasi simultaneamente si aprì dietro le sedie della galleria un’altra porta, dalla quale entrò Shami Azmi. Indossava pantaloni corti e aveva in mano una racchetta da tennis. Keith indicò l’immagine ingrandita: «Guardate che cos’è tornato» disse.
Hek sgranò tutti e quattro gli occhi. «Ma questo è meraviglioso!»
«Rombo» ordinò Keith «controlla che non ci siano trappole. Se è pulito, portalo con un raggio trattore al molo 6.»
«Controllo eseguito… niente di sospetto. Lo aggancio con un raggio trattore.»
«Appena sarà a bordo isolalo in un campo di forza.»
«Lo farò, con rispetto.»
«Vorrei che fosse arrivato la settimana scorsa» disse Azmi.
«Perché?» domandò Rissa.
«Mi avrebbe risparmiato tutto il lavoro che ho fatto per costruirlo.»
Rissa scoppiò a ridere.
«Shanu, Hek, vogliamo avviarci al molo 6?» suggerì Keith.
«Anche a me piacerebbe dare un’occhiata» si affrettò a dire Rissa.
Keith sorrise. «Si accomodi.»
I quattro si trasferirono al molo d’attracco. Quando arrivarono osservarono l’oggetto oltre il velo del campo di forza. Hek era due metri a destra di Keith, Azmi subito dietro di lui, e Rissa era così vicina al marito che i loro gomiti si sfioravano. Il cubo venne spostato all’interno del locale da raggi invisibili. Non appena si posò a terra fu circondato da una bolla di forza, mentre un portello uscito dal soffitto chiudeva l’apertura verso lo spazio. I quattro attesero che l’aria nel molo tornasse alla giusta pressione, poi andarono a dare un’occhiata al cubo.
Aveva resistito bene agli eoni. Sembrava che qualcuno ne avesse sfregato la superficie con una paglietta d’acciaio, ma tutti i segni incisi che rappresentavano le domande erano rimasti leggibili. Quasi subito si resero conto che Rombo aveva manovrato il cubo in modo tale da farlo appoggiare proprio sulla faccia con la risposta.
«Phantom» disse Keith «ruota il cubo di un quarto di giro per farci vedere la faccia di sotto.»
Alcuni raggi trattori manipolarono la capsula temporale. Nello spazio lasciato libero per la risposta c’erano simboli neri tracciati su uno sfondo bianco che sembrava in qualche modo incollato alla superficie del cubo.
«Dèi» esclamò Hek. Rissa spalancò la bocca.
Keith rimase immobile, come pietrificato. Nella parte alta dello spazio per la risposta c’era una serie di numeri arabi:
10-646-397-281
E sotto, in inglese, c’era scritto:
MANDARE INDIETRO LE STELLE È UNA NECESSITÀ, NON UN’AZIONE OSTILE. SARÀ UN BENE PER TUTTI. NON DOVETE AVERNE PAURA.
Ancora più giù, in caratteri un po’ più piccoli, c’era scritto
KEITH LANSING.
«Non ci credo» disse Keith.
«Ehi, guardate» abbaiò Hek, chinandosi più vicino al cubo. «Non è così che si scrive quel carattere. O sbaglio?»
Keith esaminò la scritta. La stanghetta discendente delle “u” minuscole si trovava sulla sinistra della lettera, anziché a destra. «Anche l’apostrofo di “un’azione” è rovesciato» osservò Keith.
«E che ne dite della serie iniziale di numeri?» chiese Rissa.
«Sembra un numero di identificazione personale» suggerì Keith.
«No… un’espressione matematica, piuttosto» disse Hek. «Il risultato è… è… computer centrale?»
“Meno 1314” disse la voce di Phantom.
«No, dev’essere qualcos’altro» intervenne Rissa, scuotendo lentamente la testa. «Quando gli umani scrivono una lettera, quello è il punto in cui mettono la data.»
«In che forma?» domandò Hek. «Prima l’ora, poi il giorno, poi il mese, poi l’anno? No, così non funziona. Potrebbe essere il contrario: il decimo anno e il seicentoquarantaseiesimo giorno, ma neppure questo ha senso, dal momento che nell’anno terrestre ci sono soltanto 400 giorni, o giù di lì.»
«No» disse Rissa. «Il giorno non c’entra. Quello è l’anno. L’intero numero rappresenta l’anno: dieci miliardi seicentoquarantasei milioni trecentonovantasettemila duecentoottantuno.»
«L’anno?» ripeté Hek.
«L’anno» confermò Rissa. «Anno terrestre, dopo Cristo. Cioè cominciando a contare dalla nascita di Cristo, un profeta.»
«Ma io ho visto un sacco di numeri scritti da umani» obiettò Hek. «Lo so che quando sono grandi li separate in gruppi, gruppi di tre cifre, mi sembra… il mio popolo preferisce gruppi di quattro cifre… Però credevo che usaste… come si chiama quel segno scritto in basso?»
«Punto» rispose Rissa. «Usiamo i punti, o qualche volta le virgole.» La donna sembrava avere difficoltà a mantenere l’equilibrio: si avvicinò alla parete del molo e vi si appoggiò. «Ma… immagina un tempo così lontano nel futuro che l’inglese non sia più usato… un tempo nel quale siano trascorsi milioni o miliardi di anni da quando la nostra lingua è stata usata per l’ultima volta» fece un gesto verso Keith. «È possibile che ricordino male qualche particolare: le convenzioni per scrivere i grandi numeri, per esempio, o la grafia dell’apostrofo o magari da che parte si deve mettere la gambetta sporgente della u.»
«Deve essere una contraffazione» disse Keith.
«Se lo è, è perfetta» notò Azmi, che aveva in mano uno scanner portatile. «Abbiamo inserito nella struttura del cubo alcune sostanze radioattive a vita lunghissima. Adesso questo cubo ha un’età di dieci miliardi di anni terrestri, più o meno 900 milioni. L’unico modo per ingannare questo sistema di datazione sarebbe quello di fabbricare un finto cubo usando il giusto rapporto di isotopi per simulare l’età. Questo oggetto, però, è identico all’originale in ogni minimo dettaglio, a parte il decadimento radioattivo e l’abrasione superficiale.»
«Ma il fatto di aver firmato il messaggio con il mio nome» obiettò Keith «non ti sembra un errore?»
«Forse in qualche modo il tuo nome è rimasto associato a quello della Starplex» ipotizzò Hek. «Dopotutto sei il suo primo direttore. E, per essere sincero, noi waldahudin abbiamo sempre pensato che ti siano stati attribuiti meriti in eccesso. Forse quella non è una firma. Forse indica il destinatario, o un saluto, oppure…»
«No» disse Rissa, con occhi sempre più sgranati. La voce le tremava per l’emozione. «No… viene da te.»