Выбрать главу

Lei annuì. «Phantom, riferisci a Hek di scendere qui per continuare la conversazione con Occhio di Gatto.»

Non appena Hek arrivò, entrambi si alzarono dalla propria postazione e lasciarono la stanza.

Keith e Rissa uscirono dall’ascensore e coprirono a piedi il breve tratto che li separava dalla torreggiante porta nera dove era dipinto in arancione fluorescente un gigantesco numero 20. Rientrando di lato, i chiavistelli fecero un rumore che era sempre sembrato vagamente familiare a Keith. Questa volta riuscì a ricordare perché: era lo stesso suono che facevano i fucili nei vecchi western quando venivano armati.

Quasi tutte le porte della nave si aprivano suddividendosi in due pannelli che rientravano nelle pareti a destra e a sinistra. Questa invece, pur pesante com’era, era un pezzo unico e rientrava nella parete di sinistra: la sicurezza richiedeva che non ci fossero fessure o punti deboli nella chiusura.

Rissa trattenne il respiro. Keith rimase a bocca aperta.

C’erano oltre un centinaio di ib nel molo d’attracco, allineati in file ordinate… sembrava un parcheggio pieno di sedie a rotelle. «Phantom, quanti ce ne sono?» domandò Keith sottovoce.

“Duecentonove, signore” rispose il computer. “La totalità delle bioentità integrate presenti sulla nave.”

Rissa scosse lentamente la testa. «Mi aveva detto che soltanto gli amici più cari sarebbero intervenuti.»

«Be’, quanto al fisico Carro Merci è uno schianto» disse Keith entrando nello stanzone. «Immagino che tutti gli ib qui a bordo la considerino una cara amica.»

C’erano altri sei umani presenti, tutti membri dell’équipe scienze biologiche di Rissa. C’era anche un solitario waldahud, del quale Keith non ricordava il ruolo. Controllò l’orologio: le 13:59:47. Qualunque cosa fosse accaduta, non aveva dubbi che sarebbe iniziata in orario.

“Grazie per essere venuti” disse la voce di Carro Merci nell’auricolare di Keith. L’uomo non ebbe difficoltà a individuarla: la sua rete era l’unica che lampeggiava. Quella scena aveva in sé qualcosa di lugubre. La traduzione di Phantom giungeva direttamente al nervo acustico sinistro di Keith, ma l’altro orecchio non udiva nulla… tuttavia, anche se la stanza fosse stata piena di ib urlanti il silenzio sarebbe comunque stato assoluto.

Carro Merci in persona si trovava a quindici metri da Keith e Rissa. Di fronte alle piastre metalliche del portello esterno, però, Phantom proiettava un suo ologramma gigante in modo che tutti gli ib potessero vedere gli scintillii della sua rete. C’era qualcosa di strano: i fili della rete erano di un verde brillante. Keith non aveva mai visto nessuna rete ib di quel colore.

Si girò per dirlo a Rissa, ma lei lo precedette. «Rappresenta una condizione di profonda emozione» disse. «Carro Merci è commossa dalla dimostrazione di solidarietà del suo popolo.»

La rete di Carro Merci lampeggiò. La traduzione fu: «L’intero e le parti… uno solo e tutte loro. La gestalt ha risonanze su scala macroscopica e microscopica. Essa lega.»

Era chiaro che Carro Merci si rivolgeva ai suoi compagni ib. Keith si disse che poteva al massimo sperare di intuire vagamente ciò che diceva… qualcosa sul fatto che appartenere alla comunità degli ib era stato per lei altrettanto significativo quanto essere lei stessa una comunità di parti. Keith andava fiero della sua disponibilità ad accettare gli alieni, malgrado i suoi litigi con Jag. Quella situazione, però, era un po’ troppo surreale per lui. Sapeva che avrebbe assistito alla morte di qualcuno, ma le emozioni che avrebbe dovuto provare non erano ancora salite in superficie. Rissa, invece, aveva l’aspetto di chi si sforza di trattenere le lacrime. Lei e Carro Merci dovevano essere state molto più vicine di quanto lui immaginasse.

«La strada è sgombra» concluse Carro Merci. Rotolò ad alcune decine di metri di distanza dagli altri, portandosi al centro del molo.

«Perché lo fa?» sussurrò Keith.

Rissa scrollò le spalle, ma Phantom rispose in entrambi gli impianti auricolari: “Nel corso della scorporazione, i componenti… soprattutto le ruote… possono farsi prendere dal panico e cercare di legarsi ad altri ib. È quindi d’uso spostarsi abbastanza lontano per avere il tempo di reagire in modo opportuno, se ciò si verificasse”.

Keith fece un lieve cenno di assenso.

Fu allora che cominciò. Al centro del molo si trovava una normale montagnola da riposo ib. Carro Merci vi rotolò sopra, in maniera tale da usarla come sostegno per il telaio. La rete, visibile nell’ologramma gigante generato da Phantom, assunse un color porpora elettrico, un’altra sfumatura che Keith non aveva mai visto prima. I puntini di luce sulle innumerevoli intersezioni della rete divennero sempre più luminosi, un’affollata mappa stellare nella quale ogni astro era una nova. Poi, una dopo l’altra, le luci si affievolirono e si spensero. Occorsero un paio di minuti perché tutte si oscurassero.

Il telaio di Carro Merci s’inclinò in avanti e la rete scivolò sul pavimento del molo e vi si adagiò scompostamente. Keith aveva pensato che la rete fosse già morta, quando la vide inarcarsi bruscamente come se qualcosa l’avesse colpita da sotto. Ormai i fili avevano perduto tutto il colore, sembravano robusti fili di nylon simili a quelli delle canne da pesca.

Dopo un attimo la rete spirò, crollando in un mucchio inerte. Ora Carro Merci era cieca e sorda (un tempo aveva posseduto anche un senso basato sul magnetismo, ma le era stato estirpato con la nanochirurgia quando aveva lasciato il suo mondo natale: provocava gravi disorientamenti a bordo delle navi spaziali).

Poi le ruote di Carro Merci si staccarono dagli assi del telaio. Lo sganciamento delle ruote, di per sé, non era insolito. Il sistema che consentiva al nutrimento di passare dall’asse alle ruote, infatti, non forniva loro cibo a sufficienza e le costringeva, nel loro ambiente naturale, a separarsi periodicamente dal resto della gestalt per cercare nutrimento. Grossi tentacoli, simili alle corde di manipolazione del fascio, venivano estroflesse dai lati delle ruote per tenerle in equilibrio (o, se cadevano, per raddrizzarle).

Quasi immediatamente dopo la separazione, la ruota sinistra cercò di riagganciarsi al telaio. E quando si accorse che lungo tutta la circonferenza dell’asse erano spuntati bitorzoli che le impedivano di ricongiungersi, proprio come aveva detto Phantom venne presa dal panico. Rotolò avanti e indietro nel molo, mentre i tentacoli estroflessi si estendevano e si ritiravano a ritmo frenetico. La ruota era dotata di sensori visuali propri e non appena ebbe sentore della vasta adunata di ib si diresse in linea retta verso il più vicino. L’ib fece una giravolta, evitando la ruota. Uno degli altri… a Keith sembrò che si trattasse di Farfalla, l’unico medico ib a bordo… le si parò davanti, impugnando con una corda manipolatoria uno storditore medico nero e argento. Lo storditore toccò la ruota ed essa cessò di muoversi. Rimase ritta per alcuni secondi, poi le appendici simili a radici che le spuntavano dai fianchi diventarono molli e la ruota cadde di fianco.

Keith riportò lo sguardo verso il centro del molo. Il fascio di Carro Merci era caduto per terra, accanto alla rete di sensori, e le sue corde si stavano allungando verso il telaio per staccare la pompa azzurra dal verde baccello centrale, depositandola quindi con gentilezza sul pavimento. Keith vide l’ampio orifizio respiratorio centrale della pompa ripetere la consueta sequenza in quattro fasi: aperto, allungato, compresso e chiuso. Dopo una quarantina di secondi, però, la sequenza cominciò a incepparsi, mentre la pompa sembrava perdere cognizione di ciò che stava facendo. I movimenti dell’orifizio diventarono confusi: si apriva, poi si comprimeva di colpo, o tentava di allungarsi dopo essersi chiuso. Si udì un sommesso ansito, l’unico suono nell’intera sala, e infine la pompa smise di muoversi.

Tutto ciò che rimaneva era il baccello, appoggiato al telaio a forma di sella.